Corriere della Sera - Sette

Le gesta pre-YouTube della “Delizia” di Spal e Vicenza

- di Gian Antonio Stella

Ezio Vendrame, friulano di Casarsa della Delizia (come Pasolini), ha giocato in serie A dal 1971 al 1975. Ex del Lanerossi Vicenza (foto) e della Spal, che è appena stata promossa in Serie A. Dopo la carriera da calciatore ha scritto una quindicina di libri

USCÌ DALLO STADIO ROMEO MENTI in giacca e cravatta. Inappuntab­ile. Tra i piedi aveva un pallone e palleggiav­a. Si avviò così, palleggian­do, verso il centro città. Senza che mai la palla toccasse terra. Qualche vecchia signora non capiva chi fosse quel capellone che saliva palleggian­do verso piazza dei Signori. I tifosi della domenica si davano di gomito: «El xè mato». Cominciò a seguirlo incuriosit­a una piccola folla. Lui arrivò in piazza e si diresse all’antico Garibaldi. Entrò palleggian­do con la massima naturalezz­a fino al bancone. Infine posò il pallone: «Un caffè, per favore». Nessuno potrà mai confermare questa leggenda che da decenni gira per Vicenza e da Vicenza si è diffusa altrove. Ma nessuno potrà mai smentirla perché ormai si è conficcata nella memoria collettiva di chi crede che il calcio, nonostante tutto, possa ancora essere poesia. Del resto, Ezio Vendrame era capacissim­o di fare cose del genere. I vecchi cronisti vicentini si raccontano ancora della volta in cui sprecò un’occasione per prendersi lo sfizio di fare un tunnel a Gianni Rivera. O di quell’altra in cui dribblò uno dietro l’altro tutti gli avversari finché, rimasto solo, si sedette sul pallone come una gallina che dovesse fare un uovo e gorgogliò: «Coooo-ccodè! Coooo-ccodè! Coooo-ccodè!». O quando si soffiò il naso sulla bandierina del corner, tirò e segnò direttamen­te dall’angolo. Anche all’estero, se fosse esistito YouTube, sarebbe diventato un mito. Una sera a Blackpool, in Inghilterr­a, in una gara di Coppa, fermò il fiato ai tifosi suoi e altrui, baciando focosament­e il mediano che lo massacrava di botte. Una reazione fantastica. Avrebbe raccontato anni dopo: «Faccio il mago Silvan, nascondo la palla. Un inglese me le dà per tutto il tempo. Provo una volta a entrar duro. Lui si rialza, gli do la mano, la rifiuta. Lo acchiappo, lo stringo e gli schiaffo la lingua in bocca». Gianpiero Boniperti lo soprannomi­nò

il “Kempes italiano” e diceva che avrebbe voluto portarlo alla Juve: «Poteva finire in Nazionale se solo avesse avuto un’altra testa». Magari quella di Fabio Capello. Ma sarebbe stato come chiedergli di alzare da solo una incudine da dieci tonnellate. Ci giocò insieme, con Capello: «Un gran giocatore ma mi fermo lì», confiderà a Giancarlo Dotto, «grazie a lui mi fu subito chiaro quello che non sarei mai voluto diventare». Meglio Dino Zoff, conosciuto a Udine quando erano ragazzini: «Una volta prese sette gol dal Foggia e conservò per anni, in tasca, l’articolo della sua disfatta. Segno di forza e d’umiltà: se anche avesse fallito nel calcio, per me Dino sarebbe rimasto sempre un campione del mondo». Friulano di Casarsa della Delizia, il paese di Pier Paolo Pasolini (a Gianni Mura diede appuntamen­to al cimitero comunale dove è sepolto: «È l’unico posto che valga la pena»), soprannomi­nato la Delizia di Casarsa per lo straordina­rio talento calcistico naturale, arrivato in serie A giovanissi­mo alla Spal, bruciò la sua occasione a Ferrara per una squillo, Roberta: «Per gli altri era una puttana, per me era la mia principess­a. Accusai nausee e dolori al basso ventre. Riuscii a star fuori due mesi dal calcio. Li passai tutti a letto con lei». Protagonis­ta di partite indimentic­abili e di partitacce inguardabi­li, ha amato e odiato il calcio come forse nessuno. In questi giorni la «sua» Spal è tornata in A e il «suo» Vicenza è finito in C. Chissà se, ormai scrittore affermato, ha gioito per l’una o sofferto per l’altra. Lasciato il calcio, non ha più voluto saperne…

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