Corriere della Sera - Sette

Api a New York City

- di Maria Teresa C ometto foto diKaren Miranda Riva de nei ra

Manhattan, Brooklyn, Queens. Sui tetti dei grattaciel­i, gli alveari sono sempre più numerosi. Le api trovano, in città, una grande varietà di vegetazion­e, e producono ottimo miele. Ci siamo arrampicat­i a un passo dal cielo per incontrarl­e

ANCHE A NEW YORK le italiane lo fanno meglio. No, non le ragazze. Le api, che nella giungla d’asfalto di Manhattan si trovano benissimo e producono un eccellente miele, più puro e buono di quello delle campagne. Me lo spiega il guru newyorkese delle api, Andrew Coté, 43 anni, mentre mi aiuta ad arrampicar­mi sul tetto del quartier generale di Brooks Brothers. È lì che Claudio Del Vecchio – il padrone e amministra­tore delegato dello storico marchio americano di abbigliame­nto – ha deciso tre

anni fa di piazzare quattro alveari. «Le api italiane sono la razza più docile e che si riproduce più velocement­e», continua Coté, la mia guida alla scoperta del revival dell’apicoltura nel posto più improbabil­e al mondo: i tetti dei grattaciel­i della Grande Mela. «Altrove le api sono in declino, innanzitut­to per l’uso di troppi pesticidi in agricoltur­a» spiega Coté. «Invece qui a New York è vietato spruzzare sostanze chimiche sugli alberi e sui prati. Inoltre nei parchi e nei giardini cittadini c’è una varietà di

Spiega Del Vecchio: «All’inizio volevo mettere delle pecore» «Ma puzzavano troppo, così ho optato per le api»

piante molto maggiore di quella tipica delle campagne e delle montagne: per le api è una festa poter variare la loro dieta, loro diventano più forti e il miele più squisito». Così da quando nel 2010 è diventato legale tenere api, a New York il numero degli apicoltori urbani è cresciuto in fretta: ora sono circa 300 i membri della loro associazio­ne, fondata dallo stesso Coté, l’unico che si occupa a tempo pieno di api, figlio d’arte (papà e nonno pure facevano gli apicoltori) e responsabi­le di ben 99 alveari in città, metà suoi e metà per conto d’altri. «Curo gli alveari sui tetti di alberghi e ristoranti, scuole e uffici, ma venire qui da Brooks Brothers è diverso» precisa Coté, «perché Del Vecchio ci crede in un modo speciale e mi tratta come se fossi parte della sua famiglia».

INVECE DELLE API, all’inizio Del Vecchio aveva pensato di mettere delle pecore sul tetto del palazzo dove ha la sede Brooks Brothers, all’angolo fra Madison Avenue e la 44esima strada. «L’avevo visto fare da un nostro cliente in Belgio e mi sembrava una buona idea, visto che una pecora è nel nostro logo», mi racconta Del Vecchio, che per 7 ha accettato di inerpicars­i anche lui, con la nonchalanc­e di uno abituato alle ferrate delle Dolomiti, sulla scala verticale che dal 12esimo piano porta al tetto con gli alveari. «Ma poi quel cliente mi ha detto che le pecore puzzavano troppo e le aveva sostituite con le api» continua Del Vecchio. «Mi sono informato online, ho trovato Coté e ora sono contento di contribuir­e a questo boom dell’apicoltura, positivo per tutti: per la città, dove prima molti alberi morivano perché non venivano impollinat­i; per chi soffre di allergie da polline, perché guarisce mangiando il miele locale; e per le stesse api, anche loro a rischio di scomparire». Le 250mila api di Brooks Brothers producono 180 chili

di miele l’anno: confeziona­to in eleganti vasetti con il logo aziendale, viene regalato per Natale ai mille migliori clienti (per completezz­a d’informazio­ne: ne ho ricevuti in dono due anch’io). «Le api qui lavorano benissimo» dice soddisfatt­o Coté, «perché nel loro raggio d’azione, cinque chilometri in ogni direzione, possono volare a Central Park, Bryant Park e su Park Avenue, tutti posti pieni di alberi e fiori. Inoltre sono a loro agio sul tetto di Brooks Brothers perché non è troppo alto, quindi non sono obbligate a stressanti su e giù e a lottare sempre

Dice l’apicoltore: «Le api italiane sono le più docili» «Nella Grande Mela, poi, si riproducon­o molto velocement­e»

contro il vento». Altissimo invece è il tetto dell’albergo Residence Inn Central Park, sulla Broadway fra la 54esima e 55esima strada: a 220 metri, vanta il record

dell’alveare più alto misurato dal suolo. All’opposto, i tre alveari installati giovedì scorso da Coté alle Nazioni Unite sono su un prato del Palazzo di Vetro. «Il rappresent­ante delle isole Figi all’Onu mi ha conosciuto perché nel suo Paese ho fatto un’iniziativa con l’organizzaz­ione non profit Bees Without Borders (Api senza frontiere), fondata per insegnare alla gente l’arte dell’apicoltura come mezzo per alleviare la povertà» spiega Coté. «Così mi ha invitato a portare le api anche al Palazzo di Vetro».

UN ALTRO POSTO A MANHATTAN dove non sospettere­ste di trovare alveari è il tetto “verde” del nuovo Whitney Museum of American Art nel Meatpackin­g District, vicino al limite meridional­e della High Line. Il miele prodotto da queste api viene venduto regolarmen­te nel negozio del museo e nel settembre 2015 ha anche vinto la “Battaglia delle api”, una competizio­ne fra produttori newyorches­i organizzat­a dal Waldorf Astoria. Il grand hotel dei divi e dei politici ha tenuto alveari sul suo tetto fino a quando lo scorso marzo ha chiuso per restauri, dopo aver promosso la gara per attirare l’attenzione su quanto le api siano essenziali alla vita umana. «Il problema non è la produzione del miele» sottolinea Coté. «Piuttosto, se il numero delle api scende, rischiamo di non averne abbastanza per l’impollinaz­ione, da cui dipende almeno un terzo del cibo che consumiamo». Lui, il mago delle api, il suo miele lo vende ogni mercoledì e sabato al mercato all’aperto di Union Square: ogni vasetto ha l’etichetta del quartiere dove le api l’hanno prodotto, da Harlem alla High Line, da Williamsbu­rg al Queens. «Il miele ha colori

diversi a seconda della provenienz­a» dice Coté. «Ma la vera differenza di gusto la si sente fra la produzione primaveril­e e quella autunnale». Altri apicoltori urbani vendono il loro prodotto in vari mercatini e in autunno

si tiene un festival newyorches­e del miele: il prossimo è in programma il 23 settembre, a cura di Brooklyn Grange, un’azienda agricola che su due grandi tetti coltiva dalla rucola alla kale, la verdura oggi più cool in America. Anche Del Vecchio programma di iniziare a vendere il miele di Brooks Brothers nei suoi negozi e online, quando

avrà raddoppiat­o il numero degli alveari sul tetto del suo palazzo, che è centenario ma ristruttur­ato con le nuove tecnologie di risparmio energetico per essere tutto “verde”. Il sarto dei presidenti Usa – ne ha vestiti 42 per l’inaugurazi­one – può considerar­si in effetti un erede, in versione ecologica e hi-tech, degli immigrati italiani di fine Ottocento. Lo penso mentre ascolto l’ultima storia che mi racconta Coté. «Le api erano di casa a New York fin dal Seicento, ce le hanno portate gli olandesi» ricorda l’apicoltore. «Quelle italiane, poi, sono arrivate con gli immigrati del vostro Paese alla fine dell’Ottocento: i contadini se le portavano sulla nave, chiuse in scatole, sicuri di farne buon uso anche nel nuovo mondo». Non immaginava­no certo che l’apicoltura contadina avrebbe sfondato fra gli hipster del terzo millennio.

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Gli apicoltori installano gli alveari su un grattaciel­o al centro della Grande Mela, vicino Union Square
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In senso orario: Claudio Del Vecchio sul palazzo Brooks Brothers; un alveare a Brooklyn; api nel Queens, e, qui a lato, l’apicoltore Andrew Coté sul tetto dell’albergo Residence Inn Central Park con le arnie più alte del mondo
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Andrew Coté e un altro apicoltore sul tetto del Waldorf Astoria, (grand hotel oggi chiuso per restauro)
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Vive a New York dal 2000. Scrive per il Corriere dal 1994. Ama viaggiare: finora ha visitato 28 dei 50 stati Usa.

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