48 (ore) davanti alla tv (guardando Netflix)
Serie, film (anche made in Italy), documentari. Ecco cosa succede quando si passano due giorni interi davanti allo schermo di una rete particolare. Compresi pranzi, cene e notti (quasi) erotiche
CHE COSA C’ENTRANO I MUSCOLI ADDUTTORI
delle mie cosce con Netflix, la più celebre e rigogliosa piattaforma di streaming video? C’entrano, basta fare come me: spegnere il resto del mondo e per 48 ore di seguito vivere dentro Netflix. Cioè sopravvivere, ciondolare per casa e resistere al sonno (dormire è l’unico concorrente di N), consumando soltanto film e soprattutto le serie tv per cui è ineguagliabile. Il piatto è gigantesco: le stime, approssimative, parlano di 40mila ore di video. Se non facessi altro, proprio niente, giorno e notte, per guardarle impiegherei 4 anni e mezzo (novità escluse). A distanza di giorni, il Ta-tam! Ta-tam! – minaccioso e consolatorio avvertimento che una nuova puntata è in arrivo – risuona nella mia testa. Per chi già dubita che due ore al cinema valgano più di due ore di vita, è stata dura, istruttiva e distruttiva.
-48 ore
Otto di mattina. Ho tempo, rinuncio alle ovvietà e mi butto su un film indipendente. Little Sister. America profonda, famiglia disfunzionale, mamma drogata, figlio che torna dalla guerra sfigurato come la Cosa, la sorellina Colleen pronta a diventare suora. Lei fa quello che può, ma è troppo anche per lei. E anche per me: non cominci una maratona da una salita.
-47 ore
Altra libertà: scegliere nel mucchio ciò che non mi attrae. Grace and Frankie. La serie con Jane Fonda e Lily Tomlin, mogli scaricate dai rispettivi mariti che fanno coming out: si amano e vogliono sposarsi tra loro. C’è uno stupefacente Martin Sheen. Recitazioni mesmerizzanti m’incollano per quattro puntate. Fantastico, leggero.
VIA ALL’IMMERSIONE TOTALE! PRESTO SONO IN BALIA DI UNA VOCINA CHE DICE: «ANCORA!»
-42 ore
Soddisfo la mia passione per la fantascienza: su Netflix abbonda. Assaggio Sense8. Pensavo di mollarlo alla prima ma, in basso a destra, il countdown dei 14 secondi che mancano alla prossima puntata scatta più rapido della decisione di fuggire con il comando “Torna a Sfoglia”. Ecco il binge-watching. Non ne hai davvero voglia, ma sei in balìa di qualcosa dentro di te che dice: «Ancora!». Dipendenza? Da qualche parte, nella testa, la dopamina si sarà risvegliata.
Sense8 è della coppia Wachowski. Colpisce vedere quanti grandi nomi siano fuggiti dal cinema per trovarsi qui.
-38 ore
Ho attraversato il pomeriggio sparandomi bocconcini di film già visti – la N rossa ha qualcosa per ogni stato d’animo – e spiluccando da Boris e dalla seconda stagione di Master of None, creatura del comico Aziz Ansari. Sorpresa: da Brooklyn la serie si è spostata a Modena. Ci sono Alessandra Mastronardi e Riccardo Scamarcio... E il protagonista, l’indiano Ansari prepara tortellini. Netflix come Barilla?
-34 ore
La cena è consumata davanti a documentari sugli animali per mia figlia, e in compagnia dei primi “sintomi” – gli occhi strabuzzano, guardano fuori: si avvinghiano alla serata primaverile. Scegliere diventa faticoso come guardare. Prevale un classico: Quasi amici. Poi stravince il letto. È un errore. La tensione tra stanchezza e attenzione diventa un thriller in più. Rido con la mia compagna davanti a una scena di Grace and Frankie. I due mariti
HO PERSO I SENSI: LA TESTA UBBIDISCE, IL CORPO NO, E PREVALE
ora accoppiati preparano la cena per i figli. Il marito di Lily (Frankie) è teso. Il marito di Jane (Grace) lo rassicura: «Tranquillo, i ragazzi ti adorano». Replica: «Sì, prima di scoprire che sono la loro matrigna». Sfoglio a caso, e il caso vince. La serie giapponese
Midnight Diner: Tokyo Stories si svolge in un ristorante aperto da mezzanotte alle sette di mattina. Mi sento sullo stesso fuso. I clienti raccontano la loro sgangherata esistenza. E c’è il Master, il cuoco: i giapponesi dicono mastaah. Ci pensa lui, e con una raffinatezza morale ineguagliabile, a consolarci tutti. -32 ore Ora sono solo con quella sottile linea rossa dell’avanzamento video, l’unico orologio che conti. E il sole di Netflix non tramonta mai. Alle tre di mattina il letto è un amico nemico, muovo le articolazioni, smanetto su Facebook pensando così di riposare gli occhi: ogni tanto mi risveglio con il cursore fuggito in avanti, in un’altra puntata. A farne le spese è il thriller The OA. Ritorno al punto in cui ho perso i sensi: la testa ubbidisce; il corpo no, e prevale. Per vedere l’alba devo provare un sentimento forte per qualcuno lì dentro, illudendomi, come da bambino, che non siano attori ma persone. Soluzione:
Better Call Saul (prequel di Breaking Bad) come se non ci fosse un domani. Il mio tifo per l’avvocaticchio di genio Jimmy McGill e l’incantevole alleata Kim Wexler, unito all’odio per l’avversario e fratello di Jimmy, producono l’adrenalina emotiva per passare la notte.
L’UNICO OROLOGIO CHE CONTI? LA LINEA DI AVANZAMENTO VIDEO
Accelero fino all’ultima puntata disponibile, la sesta della terza stagione. Jimmy si trasforma in Saul Goodman... È una nascita. Io ci sono! Io li amo. E fuori c’è il sole.
-24 ore
Mentre bevo il caffè guardando La mafia uccide solo
d’estate, con mentalità suicida decido di trascorrere la seconda notte senza avvicinarmi al cuscino.
-20 ore
La mattina è volata, o quasi. Mi aiuto con un po’ di Vivin C per la testa, mi siedo alla scrivania oscillando sulla palla ortopedica, leggo le classifiche del sito Netflixlovers.com e finisco su Stranger Things. Ancora America di provincia, famiglie distrutte. Un bambino scompare nel nulla (c’è sempre un ragazzino che va in bici e si mette nei guai). Non mi cattura, nonostante la tenera presenza di Winona Ryder. L’alterno con un altro hit, Orange Is the New Black. Sono esausto, ma penso che i doppiatori italiani, eccellenti, lo siano mille volte di più.
-16 ore
Agguanto la bandierina del mezzogiorno. Zappo tra:
Il capitale umano, Mean Streets e la serie tecnologica Black Mirror ( Zitto e balla è un episodio cattivissimo). L’alternativa leggera Arrested Development non fa ridere come speravo. Hanno appena approvato la quinta stagione, ho un mancamento. Supero il pomeriggio partendo dall’ipotesi che la realtà si sia un po’ spostata dentro Netflix, o questo
ANNUNCIO CHE A LETTO NON CI VADO
nella realtà. Comincio a crederci: mi aspetto che, come nelle serie, gli eventi della mia giornata saranno d’ora in poi annunciati da un prologo. E forse anche gli amici che, su Facebook, annunciano: finito di lavorare, cucinare... vado su Netflix! E giù “cuori”. Seguendo l’onda della realtà, scelgo Tredici: con la vicenda della giovanissima suicida Hannah, racconta il bullismo dei giorni nostri. In calo di energia, ricorro all’eccelso comico americano Louis C.K. e al suo show 2017. È come un triplo Gin&Tonic a stomaco vuoto. La sua scorrettissima sparata contro gli intoccabili, tipo le coppie di vecchietti innamorati mano nella mano, mi gasa di cattiveria.
-12 ore
Seconda cena dentro Netflix. Fame zero. Nausea di testa. La voce di David Attenborough che in Frozen
Planet accompagna a morte lenta e sicura una foca dilaniata dall’orca, m’irrita. Vorrei che l’orca si sbrigasse. Annuncio che a letto non ci vado.
-8 ore
Sono arrivato a mezzanotte trascinandomi per casa, accucciato nei luoghi più insoliti, spalle al frigo, sul bordo della vasca, pur di percepire un cambiamento fisico. Mi ripeto: respira. Sono ridotto a uno sguardo. Poi ho trovato una cosa abbastanza bieca (io non sono sempre così) da svegliarmi. La serie brasiliana
3%. In portoghese: un po’ distopico anch’io. Per combattere la stanchezza, c’è un’altra risorsa, il sesso. Non devi capire, non tieni a nessuno.
Su Netflix niente porno. Ma si trova il film Love. È francese... È erotico e fantasioso, ma i torvi pensieri ad alta voce del protagonista rovinano tutto. -6 ore Alle due, l’indice destro è l’unica parte di me ancora viva. Mi affido alla sua fortuna. Voglio un cielo, cerco la luce del sole. E li trovo in Marseille un’adrenalinica serie francese sulla lotta per la poltrona di sindaco della città. C’è un maestoso Depardieu. C’è il meglio o il peggio di Netflix: un attimo prima dei titoli di coda, piomba il colpo di scena. Fermarsi a metà di una puntata? Inumano, anche se non ce la fai più. Cambiare? Troppo stress. L’ultimo tratto della maratona – otto puntate di fila! – l’ho percorso trascinato dal corpaccione di Depardieu, dal suo naso che sembra aver inghiottito un tartufo. Toccherò terra così, guardando l’attore, immenso, che guarda me e poi ha un infarto. ZERO. Basta Ta-Tam! Mi alzo accorgendomi soltanto in quel momento di aver visto Marseille nella – per me inconsueta – posizione yoga con le gambe incrociate, seduto così sul divano. Parte una fitta a quelli che credo siano gli adduttori. Spengo il computer.
Michele Neri, giornalista, nato nel 1959, tre figli, già direttore dell’Agenzia Grazia Neri, è autore di Scazzi insieme al figlio Nicola e di Photo Generation.
ALLE DUE, L’INDICE DESTRO È L’UNICA PARTE DI ME ANCORA VIVA