PARAMANKENI, TAMIL NADU.
Abitiamo in una casa in riva al mare nel sud dell’India, in una zona molto rurale dello stato del Tamil Nadu. A parte gli amici che ci vengono a trovare, le uniche persone che incontriamo sono pescatori, mandriani, muratori e guardiani di proprietà che popolano i villaggi attorno a noi. E ciò che si manifesta con chiarezza ai nostri occhi è la forza impressionante delle donne. Che stiano guidando a bacchetta mandrie di capre o di vacche, strappando erbacce con le mani in qualche orto o campo, trasportando mattoni, pescando vongole con le mani dal bagnasciuga, o semi-immerse nella laguna dietro casa a raccogliere molluschi, queste donne sono l’esempio di una costante fatica nel lavorare con la natura, ma anche di una vigore che qui nel sud dell’India ha particolare visibilità. Il Tamil Nadu è stato storicamente un luogo progressista per i diritti delle donne. Fin dagli Anni Trenta il leader politico Periyar Ramasamy iniziò una crociata femminista in anticipo sui tempi, anche in confronto all’Occidente. La potente Chief Minister Jayalalitha è morta solo pochi mesi fa, dopo anni al potere. Ma è evidente che emancipazione, comfort e libertà raggiunte in contesti urbani come Chennai, a un’ora e mezza da qui, faticano a trovare lo stesso equilibrio nelle campagne. Per le donne non ci sono le stesse opportunità di studio e vengono sempre pagate meno degli uomini. Fotografare queste realtà, che sia nei romanzi, nei reportage, con la lente di un obiettivo o nelle poesie diventa un modo per fare i conti con queste ineguaglianze. È il tentativo di mettere in risalto un cambiamento che deve avvenire. Ma con le nostre parole e immagini cerchiamo anche di celebrare l’evidenza che le donne dell’India hanno una forte bellezza oltre che una bella forza. Tishani Doshi e Carlo Pizzati
Quella donna è di nuovo qui. Ha trovato i l modo di uscire dal sottoscala. Per secoli ha pianto una canzone sugli uomini perduti, l a scomparsa della bellezza, l a disgrazia. Adesso è di nuovo nel mondo, l aggiù tra le l uci del traffico, all’ombra degli alberi, che corre dall’estetista per riparare l e crepe sul suo viso. Non diventare quella donna, disse mia madre. E i ntendeva quindi, non diventare quella donna che non si sposa o non fa f i gli. Quella donna che apre l e gambe, che viene picchiata, che non riesce a contenere i l suo dolore o l ’alcol. Non diventare quella donna. Ma io e quella donna abbiamo continuato a muoverci assieme per anni, come due uccelli che volano sul fi l o della superficie dell’acqua, sempre vicini alla morbida pazzia del disfacimento; l ’oscura parte i nferiore dei nostri corpi i ndistinguibile dai nostri rif l essi. Tishani Doshi, Quella donna ( Dolce Marcescenza, 2016)