Aspettando Juve-Real, tra ricordi e scaramanzie
E MARIO VITALE, lo jettatore cosmico? Nell’interminabile attesa di Juve-Real (si gioca il 3 giugno,
ndr), dominata tra i bianconeri dalla speranza e insieme dall’inquietudine per la «maledizione della Champions» che, con due sole eccezioni, incombe sulla Juve dal maggio ‘73 quando i bianconeri persero contro l’Ajax la prima delle loro tante finali continentali, è mancato solo lui: «’u jettaturi» di Licata. Storico «vice-campione mondiale di disoccupazione cronica» (il campione è Antonio Peritore, grandissimo scrittore che non è mai riuscito a pubblicare la sua opera fondamentale:
Carlo Marx e Miss America) fa il «menagramo professionista» da quando, dopo «17 retrocessioni e altrettanti esoneri», scoprì d’avere «un grandissimo, cosmico, straordinario» talento «da 10° grado della scala Richter!»: fa vincere gli amici, giura, portando una sfiga fatale agli avversari. Capace (giura) di «svuotare un bar antipatico alla concorrenza» o «render impotente un minchione», l’anno scorso spiegò al sito Forzapalermo.it che i tifosi dovevano star sereni: il Palermo si sarebbe salvato. «Ho fatto il malocchio al Carpi». E «pure al Verona». E così finì: rosanero salvi. Perché dunque non schierare i sortilegi del «jettaturi» contro il Real? Macché… Lui no. Meno male. Il mondo del calcio infatti, sempre meno gioco e sempre più business legato a spot e diritti di immagine e merchandising e scommesse, è già troppo schiavo di superstizioni. Scaramanzie. Amuleti. Rituali «magici» ripetuti all’infinito. Senza memoria per quanto spiegava anni fa Luciano De Crescenzo ne I pensieri di Bellavista: «Non bisogna essere superstiziosi. Oltre tutto porta male». Va da sé che gestire l’ansia dell’attesa («chi dice che gli è dura cosa l’aspettare, dice el vero», spiegava già Niccolò Machiavelli) è diventata sempre più una gran fatica. Aiutano un po’ gli esempi di allenatori immensi come Nereo Rocco. Che prima della finale europea del Milan contro il Benfica a Wembley nel 1963, narra la leggenda, avendo visto che i ragazzi erano fin troppo carichi,
convocò tutti intorno e disse: «Alora, la tattica xè questa: ti, Cudicini, ti zoghi in porta. E tutti i altri fora». Risata generale. E vittoria. Sul fronte opposto, Helenio Herrera. Che per caricare i suoi interisti, più ancora che le «misteriose polverine» dopate diluite nel caffè, stando a quanto ha raccontato Sandro Mazzola ad Aldo Cazzullo, usava il «doping psicologico»: «Nello spogliatoio
diceva: “Oggi si vince facile. Quelli non sono nessuno. Il terzino è lento, il mediano è un brocco...”. Prima della finale del ‘65 col Benfica ci convinse che Eusebio, uno che ha segnato più di 700 gol, fosse una pippa». Ahi ahi… Quell’anno magico lo stesso Helenio, mentre la squadra era lanciata verso lo scudetto, la coppa continentale e quella intercontinentale, pensò bene di far visita anche a Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Voleva una benedizione speciale. Racconta Giovanni Scarale, cantore e biografo del Santo, che il frate rispose: «Va bene: vincerete lo scudetto, ma qui col Foggia perderete». E così fu. Tre a due. Anche Silvio Berlusconi, alla vigilia della finale di Coppa Campioni del 1989 a Barcellona contro lo Steaua Bucarest, come ricorderete, passò prima a portare un cero a un santuario: «Ho pregato la Madonna che ci facesse vincere contro i comunisti». Vinse: quattro a zero con doppiette di Ruud Gullit e Marco van Basten. Non bastasse, pochi mesi dopo in Romania cadde anche il comunismo e Nicolae Ceausescu venne fucilato dopo un processo sommario. Forse il cero era speciale…