AFGANI A CASA NOSTRA
Azad e il cugino Hamzad, entrambi minorenni, sono arrivati fino a Ventimiglia da Kunduz, da dove erano fuggiti, in una drammatica notte, al reclutamento forzoso dei talebani. Li abbiamo seguiti nel loro tentativo di arrivare in Francia attraverso i ripidi
« MORT AU PASSEURS » «Morte ai trafficanti». « We will make it ». «Ce la faremo». Queste le scritte che campeggiano su un muro graffiato dal tempo, e dai solchi di chi, passando di lì, ha voluto lasciare traccia di un viaggio che può cambiare una vita. È all’interno di queste vecchie case abbandonate che i migranti trovano rifugio nella notte, durante la traversata che li porterà dall’altra parte della rete. Oltre la frontiera italiana, a Mentone, il primo comune della costa francese.
Siamo in prossimità del cosiddetto “Passo della Morte”, in mezzo alle montagne, al confine tra la Francia e l’Italia. Sulle pareti scrostate, il disegno di un cuore separa due nomi e qualche preghiera scritta in arabo si fa ancora spazio tra la selva di edera che ha inghiottito le casupole nella valle. Un documento che resiste negli anni, come la minuscola scarpetta impolverata a terra, tra le piastrelle in frantumi: fermo immagine dell’ennesima, e anonima, storia di migrazione. A poche centinaia di metri, un ragazzo afgano di 16 anni si china su un ruscello per bere un sorso d’acqua. Nessuno dei suoi compagni di viaggio ha pensato di portare con sé qualcosa da bere o provviste per il viaggio che li aspetta. Nessuno di loro è maggiorenne. Un’ora prima, nell’unica strada che spacca in due Grimaldi, ultima località italiana di frontiera, Azad mi mostra il portafoglio. Vuoto. E trova ancora la forza di sorridere. Ha uno sguardo fiero e negli occhi la Francia, con tutte le aspettative di chi, alla sua età, fugge da guerra e terrore.
«Sono in Italia da pochi giorni», racconta mentre percorriamo la strada che imbocca il sentie
ro. « Sono dovuto scappare dalla regione del Kunduz, in Afghanistan, quando i talebani sono piombati in casa nostra e mi hanno obbligato ad arruolarmi. Con i miei genitori ho pensato che la cosa migliore da fare fosse partire, così nella notte ho lasciato la mia famiglia e quando i miliziani sono tornati a prendermi ero già in viaggio». Della strada che deve percorrere, Azad sa poco e niente. Sulle rive del fiume italo-francese Roia, dove ha dormito per un paio di notti con i suoi compagni, qualcuno gli ha consigliato di provare a oltrepassare il confine passando per il buco nella rete che divide la Francia dall’Italia, su un aspro sentiero di montagna. «Questo non è niente in confronto ai monti che che abbiamo
affrontato in Iran» , accenna Hamzad, 17 anni, cugino di Azad, che con lui ha attraversato l’ Europa fino a qui. Nessuno dei due sa che proprio nel Passo della Morte un ragazzo ha perso la vita lo scorso 21 marzo. Chi sceglie di non attraversare il confine percorrendo i binari del treno, per non rischiare di morire folgorato o schiacciato, o di non camminare lungo i tunnel dell’autostrada, si avventura lungo gli inospiti sentieri della vallata. E lo fa perlopiù di notte, per non essere visto dalle autorità. Arrivati in cima, molti di loro seguono le luci di Mentone, rischiando di precipitare in un burrone di 300 metri. La maggior parte dei migranti che riesce ad arrivare in Francia, viene trattenuta dalla polizia di frontiera e rispedita direttamente in Italia. Dove a fare i conti con le conseguenze fisiche, ma soprattutto psicologiche, di un’inutile traversata, sono anche quelli che, fatti salire dalla polizia italiana sui pullman, vengono trasferiti all’hotspot di Taranto. Secondo i recenti dati della Caritas, il 20 per cento degli arrivi a Ventimiglia sono minori stranieri non accompagnati. Come dicono i rapporti dell’Unhcr, i minori soli arrivati in Italia nel 2017 sono ad oggi 5.190. Ragazzi e bambini che dovrebbero poter godere della protezione internazionale, e che la Francia continua a respingere, infrangendo la legge nazionale e internazionale.
L’ARTICOLO 8 DEL REGOLAMENTO DI DUBLI
NO III stabilisce infatti che i minori stranieri non accompagnati hanno il diritto di fare richiesta d’asilo nel Paese membro Ue nel quale si possa verificare un ricongiungimento familiare. In Francia, ogni minore straniero non accompagnato dovrebbe avere a disposizione 24 ore prima che il trasferimento sia effettuato, nelle quali le autorità sono tenute a telefonare ai familiari del minore o a trovare un legale che lo rappresenti. In mancanza di familiari, la competenza è dello Stato dove il ragazzo ha presentato la domanda di protezione. Niente di tutto questo sembra verificarsi al confine, come già denunciato da Amnesty International Francia, dove i minorenni respinti sono costretti a dormire per le strade, esposti alle intemperie, al traffico di esseri umani e agli abusi. A Ventimiglia, Azad non è riuscito a trovare ospitalità in nessuno dei centri per migranti. Quello gestito dalla Croce Rossa, a cui i giornalisti non hanno accesso, è al completo. Il centro di accoglienza gestito da Don Rito Alvarez, un prete colombiano che ha aperto le porte della chiesa di Sant’Antonio ai migranti, offre rifugio alle famiglie, alle donne e ai più piccoli. Ora
Chi sceglie di non attraversare il confine percorrendo i binari del treno, per non morire folgorato o schiacciato, e di non camminare nei tunnel dell’autostrada, deve avventurarsi sui monti
rischia la chiusura. «Siamo tenuti a dare la precedenza ai soggetti più vulnerabili. E non vogliamo separare le famiglie quando vengono a chiedere aiuto. Per questo non riusciamo a ospitare tutti», racconta Don Rito, circondato dalle grida dei giochi in cortile. A pochi passi dalla chiesa, i volontari italiani e internazionali fanno a turno per distribuire la cena. Una volta al giorno, se possibile, portano ai migranti un pasto caldo, per alleviare le durissime condizioni nelle quali sono costretti a vivere, mentre aspettano, sulle rive del fiume.
È QUASI SERA Azad ha oltrepassato la rete di confine e si fa spazio tra un mucchio di vestiti sgualciti, abbandonati da chi prima di lui ha tentato di arrivare in Francia dal sentiero. Nel tentativo di non farsi riconoscere, in molti lascia- no i loro abiti lungo il cammino della speranza, per indossarne di nuovi e puliti. Sarà una lunga notte per Azad, che da sei mesi sogna Parigi e la Torre Eiffel. Aspetterà che faccia buio per alzarsi da sotto l’albero dove siede e scenderà in strada, per poi salire su un treno e tentare l’ultima tratta di un grande sogno. Poi spererà di accedere al suo profilo Facebook, rispondere ai tanti messaggi e commenti degli amici che chiedono di lui. Allora caricherà una foto in cui sorride, e sullo sfondo, la nuova vita che si merita.