QUANTO SI GUADAGNA CON L’OBIETTIVO
Si riesce a vivere di foto?
CHE UN’IMMAGINE VALGA più di mille parole – sia stato Confucio, oppure Mao a dirlo – lo sanno tutti. Ma in euro, come si traduce? Che benefici materiali offre, in Italia, la professione del fotografo e del fotoreporter, amata, mitizzata dai giovani? Stupirà scoprire che proprio quando l’immagine via smartphone (ecco un motivo), furoreggia, i professionisti non se la passino tanto bene. Al fotografo, il decennio 2007-2017 ricorda il titolo di John Reed: I dieci anni che sconvolsero il mondo. Prima, era il tempo dei reportage contesi dai giornali. Prima, un ritrattista trattava sul compenso della propria giornata. Poi è arrivata la crisi dell’editoria e della pubblicità, con tagli di budget e l’affermazione di meccanismi, quali abbonamenti e contratti con le agenzie, spesso indigesti per l’attività del fotografo indipendente. E poi, il problema non si riduce a questo, ma se online trovo foto a meno di un euro... L’identikit economico del fotografo è parcellizzato. Gli stipendiati sono rari, e uno scatto può valere uno o mille; così come c’è chi pretende 10 mila euro al giorno, e chi ne accetta 100. Le tre voci principali
dell’attivo sono costo della foto singola, del servizio, valore di una giornata di lavoro (o commissionato). Al passivo, è il costo dell’attrezzatura. Marco Garofalo, 41 anni, milanese, da 15 anni è un versatile fotografo editoriale. Come va? «Nella mia categoria il calo del fatturato è del 40-50%. Se prima per un reportage che portavo a casa da un viaggio in Africa ricevevo 3.500 euro, ora arrivo a 2.000. Per una giornata prendo 500 euro, spese a mio carico». Cambia, se il cliente è straniero? «Il prezzo del commissionato è più basso: il New York Times paga
400 dollari ( pari a circa 357 euro, ndr). Però chiamano spesso e pagano le spese». Quanto guadagni? «Come la media della mia generazione: attorno ai 30mila euro all’anno. Per due volte ho toccato i centomila. Lavoro come un mulo e dico sì a tutto: per un paio d’anni ho girato Milano per ritrarre i bambini negli asili». Quanto vale la tua attrezzatura? «Circa 15 mila euro, e faccio miracoli per farla durare». Una panoramica la presenta Roberto Tomesani, coordinatore generale dell’Associazione nazionale fotografi professionisti Tau Visual, 2.200 soci. Dice che «le retrovie sono diventate i cinquantenni che fanno piccoli lavori commerciali, foto in studio di qualità media: questo ceto medio è evaporato». Il dato generale è nello studio di settore 2015 dell’Agenzia delle Entrate. I fotografi dichiarano un fatturato medio di 54.800 euro, con un utile di 15 mila. Quello delle pescherie; sopra i fioristi. Ci si può avvicinare a questa professione cercando soddisfazioni tangibili? A sentire Luca Locatelli, 45 anni, attivo da dieci e prima esperto di software, forse sì. «La mia dichiarazione dei redditi è nella fascia 50-100 mila euro: ma più del 90% arriva dall’estero». Locatelli lavora per i grandi magazine, National Geographic in testa. Sul suo sito si definisce “Mostly focused on photography”. Mostly: soprattutto fotografo, ma non soltanto. Aggiungere un’altra professionalità aiuta a sopravvivere.
UN CONSIGLIO A CHI COMINCIA? «Andare all’estero e non seguire i miti, ma puntare sulla propria autorialità, su ciò che si ha di speciale. Il successo arriva». Scesi di una generazione, la questione del mostly non cambia. Christian Mantuano, romano, trentenne, esordio nel 2011. «All’inizio ho trovato un cliente ideale che mi ha dato spazio. Dal 2015 si è fermato tutto, il mio fatturato è calato del 60%. Raccontare cronaca e politica a modo mio non ha sbocco. Realizzo documentari per l’estero. Turismo, Vaticano...». I fotografi dipendenti sono soprattutto a Roma. Le agenzie sono Ansa, LaPresse, Reuters e Afp. Quanto guadagnano i dipendenti? Marco Durante, presidente di LaPresse: «Da noi i fotografi sono assunti con contratto giornalistico. Il costo aziendale di chi è professionista è 54 mila euro, dei pubblicisti 37 mila». Durante conosce bene il mercato. «Nei magazine due settori tengono: gossip e posati. Un bravo ritrattista porta a casa otto-diecimila euro al mese».
COME STANNO I FOTOGRAFI? «IN MISERIA». Ci sono ancora agenzie di rappresentanza artigianali «fuori dalla logica di contratti a minimo garantito e
abbonamenti», spiega Giovanni Picchi di Luz. Anni fa i commissionati erano il pane quotidiano... «Oggi non più, perché molti editori hanno firmato contratti con agenzie». Tra i giovani, chi ce la fa? «Chi sa usare bene i social channel. A quel punto per raggiungere il pubblico non ha bisogno del cliente: ha già la sua audience, è il brand o l’editore a cercarlo». Un esempio? «La coppia Giuli & Giordi, due ragazzi con due figli e uno in arrivo. Amanti di trekking e mountain bike, hanno un seguito sui social. Un cliente che voleva pubblicizzare un elettrodomestico l’ha dato a loro perché raccontassero per immagini la loro vita familiare, elettrodomestico incluso».
PARLO DELLA CRISI DEL MERCATO con un fotografo di studio (chiede l’anonimato) torinese e cinquantenne. Il problema? «La perdita del valore dell’autorialità, che si traduce in perdita di fatturato: dal 2008 a oggi tra 50 e 70%. I clienti hanno scaricato il bisogno di risparmiare sui collaboratori esterni, e i primi a pagare sono stati i fotografi. Nel 2008 un servizio di ritratto in studio per una rivista mi era pagato tra i 2.500 e i 3.000 euro più spese: ora 500, sempre spese a parte. E la post-produzione non è mai valutata tranne che in pubblicità: con l’analogico, pellicole e stampe erano prove visibili dei costi, ora le spese digitali in quanto immateriali sono dimenticate».
QUANTO COSTA L’ATTREZZATURA NECESSARIA a fare seriamente un ritratto? «Sessantamila euro». Come altri e tra i primi, ha trovato una compensazione nei workshop, i seminari di specializzazione. «I workshop sono entrati negli studi di settore dell’Agenzia delle Entrate, è un fenomeno in crescita. Rappresenta quasi il 50% del mio fatturato. Per quelli collettivi chiedo tra i mille e i duemila euro. Per gli uno a uno dipende: mediamente 150 euro per due-tre ore. C’è una grande richiesta didattica; il mercato è quel che è...». E in provincia? Franco Tanel, padovano, giornalista professionista, fotografo nel 1978. «La situazione si è polarizzata e la classe media è sparita. O sei già un grande brand, porti creatività e allora ti difendi, oppure si fa una grande fatica. «Lavoro da tanto, ho la fiducia dei clienti, però capitano esperienze come questa. Mi chiama una grande azienda: vuole un racconto completo, sede, attività, manager... Dopo i sopralluoghi mi offrono, per un lavoro che prende una settimana, 700, 800 euro, al posto dei 4-5.000 che pensavo. Hanno risolto loro con gli smartphone». MI INFORMO SUL MERCATO DEI QUOTIDIANI locali, spesso primo approdo professionale. Per chi collabora ai tre quotidiani presenti in Veneto, la situazione cambia poco. Per un servizio i fotografi percepiscono in media 25 euro. Mille chilometri per arrivare a Reggio Calabria, dove è appena nata un’agenzia, la SF Storie. Uno dei soci, Alessandro Mallamaci, 37 anni: «Per portare a casa uno stipendio occorre fare di tutto: offriamo servizi per matrimoni, famiglie e aziende, servizi di stampa e formazione». Qui le aziende sono poche, i soldi li spende la famiglia. «In Calabria e Sicilia per un matrimonio chiedo dai 2.500 ai 6.000 euro, ma la concorrenza è al ribasso. E tra pochi anni, quante saranno le famiglie in grado d’investire tanto nei matrimoni dei figli?».
MORALE, VALE LO STESSO LA PENA?
Un sondaggio realizzato da Tau Visual tra un migliaio di soci intreccia due dati: redditività economica e soddisfazione personale. Il secondo supera sempre il primo: ottimismo o il fascino della professione? Workshop e mostre sono affollati; alle agenzie bussano aspiranti collaboratori. Nelle scuole migliori, dall’Istituto europeo di design (15 mila euro l’anno per tre annualità), alla Bauer (circa tremila euro l’anno), entrambe milanesi, gli studenti non mancano. La Bauer ha 20 posti per 200 richieste. Molti iniziano. E poi? Chissà, rinunciando a diventare soltanto fotografi...