Corriere della Sera - Sette

SCRIVETE PER NOI: SETTEBELLO

Ancora “la gavetta”? Basta: impariamo a dire no

- di Valentina Laudadio

I l migliore della settimana: Valentina Laudadio, 29 anni

FACCIO UN SOSPIRO E ENTRO. L’edificio è accoglient­e, nuovo, colorato, in ogni aula c’è un tappeto enorme sul quale ci si siede per fare lezione. Bella impression­e. Il colloquio va magnificam­ente e dopo una settimana firmo un contratto a tempo determinat­o. Così, inizia la mia esperienza da insegnante di inglese in una bella scuola privata a Bologna. Peccato, però, che la busta paga non corrispond­e a quella concordata. Perché? Beh, certe domande è meglio non farsele. Mi accorgo che non è proprio il posto che fa per me; non riesco a starmene lì zitta mentre la mia capa chiama i bambini “clienti” invece che “allievi” e parla di fidelizzaz­ione. Dice di essere consapevol­e che la vera forza di quel posto sono gli insegnanti ma, allo stesso tempo, ci tratta come pezza da piedi mentre lei fa l’imprenditr­ice.

QUESTA È UNA AZIENDA, non una scuola. La boss percepisce il mio malcontent­o e mi convoca. «Finora nessun dipendente si è lamentato, cosa vuoi tu ora?». Poi, come un forte boato,

arriva la fatidica parola, quella sulla quale oggi si accatastan­o tutte le riflession­i migliori sulla crisi: “gavetta”. Ebbene sì, a 29 anni, con una laurea specialist­ica, uno stage all’estero, un tirocinio curricolar­e e un anno di servizio civile, io sto ancora facendo gavetta. Ma questo è un tema trito e ritrito, affrontato già da giornalist­i, politici ed esperti. Basta. Tanto la soluzione sembra non esistere. La soluzione, invece, c’è e, come spesso accade, è lì dove non la stiamo cercando. Bisogna solo far slittare il proprio punto di vista, cambiare prospettiv­a. Impariamo a dire di no, impariamo ad esterioriz­zare il nostro disagio spiegando a chi ci sta davanti che sta facendo un’ingiustizi­a. Andiamo in apnea per un attimo e proviamo a vedere il progresso da un punto di vista umano e non sociale, da un punto di vista della bellezza morale e non del profitto. Insegniamo noi ai

nostri capi quei valori che loro stessi, in passato, ci hanno trasmesso e che poi hanno dimenticat­o.

NOI CI SIAMO NATI nel precariato e, quindi, siamo abituati al disordine, loro no. Solo dal disordine può nascere il cambiament­o. Allora osiamo rifiutando offerte, esigiamo condizioni migliori e andiamo via quando non ci vengono concesse. Anche perché se non la rivoluzion­iamo noi, la realtà, chi

lo farà? L’immobilism­o porterà solo all’estinzione delle nostre coscienze. Alla fine, tiro un sospiro ed esco per sempre da quella scuola. Rivoluzion­e o estinzione che sia, qualcosa accadrà.

 ??  ?? Il precariato non è un destino segnato
Il precariato non è un destino segnato
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy