Se il sindaco comanda per interposta candidata
LUI FACEVA DI COGNOME Lo Re, lei faceva di cognome Papa. In paese ridevano: «Questo è il feudo di Papa Re. L’ultimo sopravvissuto dopo Pio IX». Lo scandalo sollevato dalle parole di Angelo Salinardi, il sindaco uscente di Ruoti (3.551 abitanti in provincia di Potenza) che aveva candidato l’amica Anna Scalise con lo slogan «votate lei, tanto il sindaco continuo a farlo io», è sacrosanto. Ed è penoso come la donna delegata dal boss politico alla formale ma fittizia successione, ha risposto alle tante donne che si sono scandalizzate: «Si è solo rivolto ai suoi concittadini, che ha governato per dieci anni, con un linguaggio troppo semplice che è stato frainteso, dovuto all’intimità che ha con la comunità». Detto questo: qual è nella sostanza la differenza tra Angelo Salinardi (che almeno non ha scelto la moglie) e Flavio Tosi che ha candidato a sindaco di Verona (pure lì col sottinteso: tanto poi ci penso io) la sua compagna Patrizia Bisinella? O Clemente Mastella che piazzò la moglie Sandrina a presidente del Consiglio Regionale della Campania? O tanti altri mariti che si sono portati la moglie o l’amante alla Camera o al Senato? Sia chiaro: non succede solo da noi. Basti ricordare il presidente argentino Néstor Kirchner che lanciò alla Casa Rosada la candidatura della moglie Cristina Fernández. O quello del Guatemala Álvaro Colom che a fine mandato candidò la moglie Sandra Torres, battuta dal comico Jimmy Morales. Né succede solo oggi. Miriam A. Ferguson, per esempio, diventò governatrice del Texas nel ’25 coi voti del marito ed ex governatore James Edward Ferguson, rimosso perché messo sotto inchiesta. A farla corta: chi è senza peccato… Nessuno però ha mai dominato un municipio quanto Vincenzo Lo Re a Militello Rosmarino, alle spalle di Sant’Agata di Militello. Medico, primario di ginecologia, disprezzato dalle «anime belle legalitarie» ma amato da tutti i falsi invalidi (era un Padre Pio a rovescio: dove posava la mano spuntava una cecità, un’allergia, una depressione, una sclerosi…) diceva d’avere una missione: «Distribuire a un po’ di poveracci un milionesimo dei soldi regalati alle industrie del nord». Nipote del podestà Vincenzo, figlio del sindaco Calogero, era famoso sui monti Nebrodi per i comizi. Su tutti, uno scrosciante monologo sul «gallo di Trinacria» sfociato in una chiusa indimenticabile: «Un masculo siciliano se davvero è masculo... Insomma: moglie, ti ho messo le corna!». A modo suo, un mito. E guai a chi si metteva di traverso al suo potere. A un avversario che l’accusava di tirar su voti «distribuendo ricotte» rispose: «Abbiamo regalato ricotte perché non avevamo mogli prosperose che potevano dare dell’altro». Per non dire di quando, per liquidare Nuccio Carrara, un deputato che era riuscito miracolosamente a diventare sindaco e aveva cercato di dar battaglia agli abusivi facendo abbattere dei pollai, riuscì a parlare per due ore chiamandolo «il pennuto», «‘u pollaiolo», «‘u gallinaceo» senza nominarlo mai... Impossibilitato a farsi rieleggere sindaco del paese dopo non so quale grana giudiziaria, candidò il figlio Calogero, erede dei Papa Re. Eletto. E infine la moglie, Concetta Papa. Eletta. Quando ne parlava, rideva: «Le ho detto: Concettina, molla un momento la pasta ‘ncasciata che devo farti fare il sindaco...». Era uno scherzo. Però…