Corriere della Sera - Sette

DOVE FINISCE IL VENTO DEL MONDO

- DI R OCCO C OTRONEO FOTO DI A LEJANDRO S ALA

Mangiare agnello a pranzo e a cena, cercare i veneti finiti qui a coltivare mele, rivedere un vecchio amico sperduto in un villaggio pieno di pub gallesi. È la Patagonia vera: ce la racconta chi ci è andato tante volte. Forse troppe

È la fine del mondo, no? Un dei “santuari” nel Chubut, Patagonia argentina: piccoli “ex voto” creati da chi venera il Gauchito Gil, morto nel 1878, a cui la gente chiede miracoli d’ogni tipo anche se non è riconosciu­to dalla chiesa cattolica

SI POSSONO TRASCORRER­E GIORNI E SETTIMANE VEDENDO SOLTANTO LINEE RETTE, NUVOLE E PECORE MAGARI, QUALCHE CIMA INNEVATA

PER GLI ARGENTINI «FIN DEL MUNDO»

è la loro città più a sud, Ushuaia; lo stesso dicono i cileni di Punta Arenas. Ma quando il cardinal Jorge Bergoglio – non si sa quanto a sorpresa – dovette trovare una battuta per sciogliere la tensione dopo la fumata bianca, pensò bene di estendere la definizion­e: «Per trovare il nuovo vescovo di Roma siete andati alla fine del mondo!», e voleva soltanto dire Buenos Aires. Ce ne sarebbero di posti sulla Terra che potrebbero contenders­i il titolo, ancor più deserti e difficili da raggiunger­e, eppure la Patagonia non ha rivali come metafora, perché essa stessa è vuoto, spazio assoluto,

la nada come dicono in spagnolo, meraviglio­samente al femminile.

È qui che il mondo finisce perché è già finito prima di arrivarci. In vent’anni di America Latina sono stato in Patagonia una mezza dozzina di volte, a passeggiar­e nel posto più bello del mondo – per molti il parco nazionale Torres del Paine consacra la superiorit­à del versante cileno –, veder sorgere i presidenti venuti dal freddo (il “pinguino” Nestor Kirchner e poi la moglie Cristina), mangiare agnello pranzo e cena in una

estancia, trovare gli ultimi italiani portati con l’inganno in Terra del Fuoco e i veneti che coltivano le mele lungo il Rio Negro, rivedere un vecchio amico che si era autoesilia­to in uno strano villaggio pieno di pub gallesi. I racconti di Bruce Chatwin e Paul Theroux – che tutti ci siamo portati nello zaino – hanno avuto il merito di creare da queste parti una generazion­e di viaggiator­i coscienti prima dell’ondata di turisti. E prima ancora c’erano stati i coloni inglesi e tedeschi, i massacrato­ri di indigeni, banditi Liberi equini in libero spazio In alto, cavalli selvaggi vicino al Rio Senger. A destra un ragazzo alle prese con la sellatura

adesso cosa mai ci sarà dietro quel via vai di cinesi e di radioteles­copi puntati verso il cielo attorno a Neuquen? Solo un osservator­io? Non ce la contano giusta. o alle mulatte di Jorge Amado dimentica cosa è stata capace di generare questa terra fredda, arida e ventosa. celebri come Butch Cassidy, gli acquirenti di terre estese come piccoli Stati europei (Ted Turner, i Benetton), persino comunità hippy che negli anni Sessanta scelsero la Patagonia sul mappamondo con l’idea che sarebbe stato l’unico angolo della Terra a salvarsi dall’olocausto nucleare.

Storie, personaggi, miti, città perdute e una quantità notevole di frottole, fake news come le chiamiamo oggi.

LUNGO MIGLIAIA di chilometri di strade inesorabil­mente dritte si gioca il contrasto tra l’essenziali­tà della natura e la ricchezza della biodiversi­tà umana. Come mostrano le fotografie di questo servizio si possono trascorrer­e giorni e settimane soltanto vedendo linee rette, nuvole a perdita d’occhio e pecore, e tuttalpiù qualche cima

Dai numerosi luoghi dove è stato segnalato Adolf Hitler nel dopoguerra ai presunti complotti degli imperialis­ti americani o sionisti per mettere le mani sulle ricchezze locali. Ancora pochi anni fa vi cadde persino il New York

Times che pubblicò un reportage su un inesistent­e movimento di indipenden­za della Patagonia. E

ALTRO CHE FINE del mondo, questo era il luogo per sfuggirvi. E dare continuità alla razza umana. Chi associa il realismo magico soltanto ai caldi villaggi lungo il rio Magdalena che ispirarono la Macondo di Garcia Marquez

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[…] Ti racconto della sua erba che non si stanca né finisce, tesa come una madre dalla chioma sciolta e ondeggiand­o silenziosa, anche se piena di parole. La brezza la delizia e il pazzo vento la alza di Gabriela Mistral, poetessa cilena, 1922) ( da...

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