DOVE FINISCE IL VENTO DEL MONDO
Mangiare agnello a pranzo e a cena, cercare i veneti finiti qui a coltivare mele, rivedere un vecchio amico sperduto in un villaggio pieno di pub gallesi. È la Patagonia vera: ce la racconta chi ci è andato tante volte. Forse troppe
È la fine del mondo, no? Un dei “santuari” nel Chubut, Patagonia argentina: piccoli “ex voto” creati da chi venera il Gauchito Gil, morto nel 1878, a cui la gente chiede miracoli d’ogni tipo anche se non è riconosciuto dalla chiesa cattolica
SI POSSONO TRASCORRERE GIORNI E SETTIMANE VEDENDO SOLTANTO LINEE RETTE, NUVOLE E PECORE MAGARI, QUALCHE CIMA INNEVATA
PER GLI ARGENTINI «FIN DEL MUNDO»
è la loro città più a sud, Ushuaia; lo stesso dicono i cileni di Punta Arenas. Ma quando il cardinal Jorge Bergoglio – non si sa quanto a sorpresa – dovette trovare una battuta per sciogliere la tensione dopo la fumata bianca, pensò bene di estendere la definizione: «Per trovare il nuovo vescovo di Roma siete andati alla fine del mondo!», e voleva soltanto dire Buenos Aires. Ce ne sarebbero di posti sulla Terra che potrebbero contendersi il titolo, ancor più deserti e difficili da raggiungere, eppure la Patagonia non ha rivali come metafora, perché essa stessa è vuoto, spazio assoluto,
la nada come dicono in spagnolo, meravigliosamente al femminile.
È qui che il mondo finisce perché è già finito prima di arrivarci. In vent’anni di America Latina sono stato in Patagonia una mezza dozzina di volte, a passeggiare nel posto più bello del mondo – per molti il parco nazionale Torres del Paine consacra la superiorità del versante cileno –, veder sorgere i presidenti venuti dal freddo (il “pinguino” Nestor Kirchner e poi la moglie Cristina), mangiare agnello pranzo e cena in una
estancia, trovare gli ultimi italiani portati con l’inganno in Terra del Fuoco e i veneti che coltivano le mele lungo il Rio Negro, rivedere un vecchio amico che si era autoesiliato in uno strano villaggio pieno di pub gallesi. I racconti di Bruce Chatwin e Paul Theroux – che tutti ci siamo portati nello zaino – hanno avuto il merito di creare da queste parti una generazione di viaggiatori coscienti prima dell’ondata di turisti. E prima ancora c’erano stati i coloni inglesi e tedeschi, i massacratori di indigeni, banditi Liberi equini in libero spazio In alto, cavalli selvaggi vicino al Rio Senger. A destra un ragazzo alle prese con la sellatura
adesso cosa mai ci sarà dietro quel via vai di cinesi e di radiotelescopi puntati verso il cielo attorno a Neuquen? Solo un osservatorio? Non ce la contano giusta. o alle mulatte di Jorge Amado dimentica cosa è stata capace di generare questa terra fredda, arida e ventosa. celebri come Butch Cassidy, gli acquirenti di terre estese come piccoli Stati europei (Ted Turner, i Benetton), persino comunità hippy che negli anni Sessanta scelsero la Patagonia sul mappamondo con l’idea che sarebbe stato l’unico angolo della Terra a salvarsi dall’olocausto nucleare.
Storie, personaggi, miti, città perdute e una quantità notevole di frottole, fake news come le chiamiamo oggi.
LUNGO MIGLIAIA di chilometri di strade inesorabilmente dritte si gioca il contrasto tra l’essenzialità della natura e la ricchezza della biodiversità umana. Come mostrano le fotografie di questo servizio si possono trascorrere giorni e settimane soltanto vedendo linee rette, nuvole a perdita d’occhio e pecore, e tuttalpiù qualche cima
Dai numerosi luoghi dove è stato segnalato Adolf Hitler nel dopoguerra ai presunti complotti degli imperialisti americani o sionisti per mettere le mani sulle ricchezze locali. Ancora pochi anni fa vi cadde persino il New York
Times che pubblicò un reportage su un inesistente movimento di indipendenza della Patagonia. E
ALTRO CHE FINE del mondo, questo era il luogo per sfuggirvi. E dare continuità alla razza umana. Chi associa il realismo magico soltanto ai caldi villaggi lungo il rio Magdalena che ispirarono la Macondo di Garcia Marquez