Sul Gran Sasso la fame è una cosa seria
L’AMORE HA BISOGNO DI CUORI RESISTENTI. Ma l’Abruzzo ha bisogno di stomaci forti. Anche solo per arrivare a Fano Adriano, settecento metri d’altitudine sotto il versante nord del Gran Sasso, provincia di Teramo. Se fate la strada vera, cioè quella più scomoda (un tempo battuta dai mulattieri), sono curve e curve impietose che scavano in una montagna aspra, scarna. Ma poi si arriva al Vergaro, l’agriturismo più famoso della zona, una specie di santuario dello stomaco forte. Senza tanti complimenti, Francesca Misantoni, la cuoca di 90 anni, vi accoglie con coratella d’agnello, salame e bruschette con pancetta. Non azzardatevi a protestare: è solo l’antipasto di una lunga giornata che proseguirà con formaggio fritto, tagliatelle ai porcini, gnocchi al castrato, patate al coppo, pecora in umido e “pizza dolce” (che non è una Margherita zuccherata bensì un pan di Spagna farcito con crema al cioccolato). Inutile fare facce sbalordite: da queste parti, una volta, i contadini e i pastori facevano colazione con vino e cacio e nei giorni di festa si mangiava la “pecora alla callara”, praticamente un ovino intero lasciato a marinare per una notte e poi messo a bollire per ore e ore con le spezie. E i proprietari dell’agriturismo sono pastori ancora oggi, fanno la transumanza, per capirci.
NO, NON È UN PAESE PER VEG: se mettete il naso fuori, potrebbe capitarvi di avvistare qualche cucciolo di cinghiale (come è successo una volta a me). Oppure di imbattervi in altri esemplari della fauna che risiede nel parco nazionale del Gran Sasso. E non stupitevi se, persino con il caffè, compariranno dolcetti secchi fatti di mandorle e zucchero: da queste parti solo fino a qualche decennio fa la fame era una cosa seria e ancora oggi nessuno ci scherza.