A VOLERLA NOBILITARE
si potrebbe sostenere che il merito fu tutto di Vangelis. Che fu il tocco del sommo Evangelos Odyssey Papathanassiou a portare anche noi, adolescenti degli anni Settanta, accoccolati ad ascoltare il mare, e fermarci a giocare con una formica e nell’ombra della sera poche stelle, coi vestiti inzuppati stare lì a scherzare... E, invece, no, non fu l’arrangiamento di Vangelis a incastonare in maniera indelebile in testa “tu”, l’ottavo 45 giri di Claudio Baglioni (lato b, per la cronaca,
Chissà se mi pensi). L’imprinting arrivò grazie alle feste delle medie. Rigorosamente di pomeriggio, tapparelle abbassate anche d’estate, ragazze sveglissime, maschi posseduti da eccesso di sebo. Quelli che un’altra generazione avrebbe chiamato nerd si procuravano un numero congruo di vinili, necessari a conquistare l’invito a feste dove avrebbero fatto tappezzeria vicino al giradischi. Aspirina & Coca Cola, lenti, gioco della bottiglia, cose che voi millennial… Negli usi e costumi di una generazione senza nome funzionò come rito di passaggio, fugace ed effimero. Poco dopo a liberare i cuori e i corpi sarebbe arrivata la stagione dell’impegno e il suo tramonto, con una colonna sonora che, complici le radio libere, dagli Inti Illimani e i Claudiololli arrivò dritta dritta ai Clash. Politico faceva rima con personale, le ragazze rimasero più sveglie, i maschi vabbé. Ma l’estate 1974 dal Festivalbar in poi fu tutto un «io vorrei.. cioè / ho bisogno di te» con quel ritornello incantabile se non da Baglioni stesso, straziato negli anni da baby boomer nostalgici.