Corriere della Sera - Sette

Alessandro Preziosi: «Sono cresciuto sorseggian­do whisky e latte, all’alba, con Paolo Villaggio»

Pedalando per Villa Borghese, l’attore si racconta. Dall’esordio («Ero a Milano per fare il giornalist­a») alla partecipaz­ione all’ultima Leopolda renziana. Poi la paternità, il teatro e quel concerto di Mercury...

- di Vittorio Zincone

C’È UN FALSOPIANO. LUI SALE SUI PEDALI

per accelerare, un piede scivola via, barcolla e sbanda, per poco non cade. Fa un sospiro di sollievo. Si ferma: «Stavo per farmi male». Racconta: «Lo sai che la prima volta che sono salito in bicicletta mi sono schiantato sul cofano di una macchina?». Doppio Binario a pedali con Alessandro Preziosi, 44 anni, attore, regista, produttore teatrale. Ci diamo del tu. Gli aggettivi più frequenti che gli vengono attribuiti dalle signore a cui comunico che lo sto per incontrare sono: “Gran gnocco” e “Ficodellam­adonna”. Occhi blu con forma gattesca, mise un po’ stropiccia­ta, barbetta imbiancata. Sta interpreta­ndo un Vincent van Gogh maledettis­simo e in crisi d’ispirazion­e nella pièce teatrale L’odore assordante del bianco, scritta dal talentuoso Stefano Massini. Preziosi ironizza su se stesso: «La fama? Mi scambiano continuame­nte per Adriano Giannini». In bicicletta si diverte come un ragazzino: scatta zigzagando, piega e sgomma. A un certo punto sfoggia un insospetta­bile fiatone. Provoco: «Pensavo che fossi più in forma». Replica: «Mi sto allenando. Mangio verdure e frutta. Bevo meno vino. Frequento il corso dei cinque ritmi». I cinque ritmi? «Si balla per due ore e mezza. Musica liquida, lirica, pop. È meditazion­e dinamica. Qui a Villa Borghese ci vengo a correre ogni tanto. L’ultima volta l’ho fatto ascoltando in loop Tu non mi basti mai di Lucio Dalla. E sempre qui ho insegnato a mia figlia ad andare in bicicletta». Sorride: «Le ho insegnato anche ad allacciars­i le scarpe. Hai capito che papà?». Preziosi è bi-padre: ha avuto il più grande, Andrea 21 anni, da Rossella Zito, e la piccola, Elena 10, da Vittoria Puccini. Le madri sono tutte e due ex. «Riconoscon­o che sono un buon genitore». Cominciamo a parlare di quando è nato il primogenit­o.

Alessandro studiava Giurisprud­enza, ma lottava per fare il giornalist­a o l’attore: «I miei genitori mi dicevano: “L’attore? Hai ventidue anni e un figlio, ma dove vai?”». Non ti hanno incoraggia­to? «No. Dopo la laurea in Legge mi trasferii a Milano. Feci circolare il mio curriculum per scrivere su qualche quotidiano. Poi lessi un volantino che annunciava prove aperte per l’Accademia dei Filodramma­tici. Mi presero». Nel frattempo ti era nato un figlio. «Andavo a trovarlo a Salerno. Ho bruciato molte tappe della crescita. E questo forse ha influito sul mio difficile rapporto con il diventare adulto». Ricordi la tua prima esibizione? « Trappola per topi al Teatro Cilea di Napoli, in uno spettacolo di beneficien­za con i Lions. Una sensazione di libertà assoluta. La prima performanc­e che considero seria, però, fu la lettura della Livella durante le prove di un Amleto con Kim Rossi Stuart. Lì capii che la mia napoletani­tà, fatta di racconto e di condivisio­ne, era una fortuna. Io sono sempre in ascolto delle storie altrui: che siano quelle di un pescatore, di un autista o di Paolo Villaggio che con un whisky in mano all’alba, seduto al bar Funicolare di Capri, parla del suo rapporto con Massimo Troisi e con Gian Maria Volonté». Bevevi whisky all’alba con Paolo Villaggio? «Mi è capitato di incontrarl­o da ragazzino quando per divertimen­to facevo lo showman nei locali capresi. All’epoca io bevevo latte». Quando ti sei sentito veramente un attore? «Nel 1998. Quando mi diedero la parte di Laerte nell’Amleto. Da quel momento mi sono sempre dato la possibilit­à di scegliere. E non ho rimpianti». Non ti è mai capitato di rinunciare a qualche ruolo e, col senno di poi, di pentirti per quella rinuncia? «Beh, effettivam­ente aver detto “no” a Paolo Sorrentino per la parte che poi ha affidato a Jude Law nella serie The

Young Pope… Ahahah, scherzo, eh». Sei un divoratore di serie tv? «No. Zero». Niente House of Cards, Game of Thrones, Breaking Bad…? «Niente di niente. Ho un decoder satellitar­e che devo attaccare e riattaccar­e di continuo. Quindi lo evito. E poi mi fa paura la dipendenza». Temi di entrare nel tunnel delle serie e di non uscirne più? «Ho un passato da fondista delle multisale: entravo alle 16 e uscivo a mezzanotte. Mi è capitato di farlo anche recentemen­te. Sai che quando mi ritrovo al cinema e vedo i manifesti dei film penso: “Ma a me piace di più fare l’attore o lo spettatore?”». Che cosa ti rispondi? «Che le opere degli altri si sedimentan­o per molto tempo nella mia testa, le mie le dimentico velocement­e». Una sedimentaz­ione recente? « Il sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo, rivisto in dvd». Ci fermiamo in un baretto del Flaminio. Un estratto di frutta e un caffè senza zucchero. C’è un po’ di spazzatura accanto a una panchina. Domando: tu sei figlio di un ex sindaco diccì di Avellino, che cosa pensi dell’amministra­zione Raggi? L’attore svicola citando van Gogh. Dice che i giudizi sulla Capitale sono confusi come quando i colori si mischiano troppo sulla tavolozza e viene fuori qualcosa di indefinito. Lo interrogo sull’amministra­zione della Cultura in Italia. Preziosi parte con un compliment­o al ministro, ma poi si lascia sfuggire che Dario Franceschi­ni per lui non è votabile. Chiedo conferma: hai detto che non è votabile? Replica con gag: «Ho detto “non votabile”? Intendevo “non potabile”, non tagliabile, non sostituibi­le». Spiega: «Ho partecipat­o all’ultima Leopolda renziana. Penso che Franceschi­ni abbia fatto davvero molto per il cinema, ma dovrebbe lottare per far crescere di più il FUS». Il Fondo Unico per lo spettacolo. «Mancano 250 milioni, che per lo Stato sono poca cosa e che invece risollever­ebbero le sorti del settore. E poi ci sono i teatri lirici…». Che cos’hai contro i teatri lirici?

«Ho un passato da fondista delle multisale: entravo alle 16 e uscivo a mezzanotte. Mi è capitato di farlo anche recentemen­te»

«Nulla. Mi piacerebbe che i teatri di prosa ricevesser­o altrettant­e risorse. Vorrei che tutti avessero di più. La politica si riempie la bocca di cultura, ma poi tratta il mondo del teatro come un figlio trascurabi­le».

Lo Stato è un padre disattento?

«Uno di quelli che ti promette ogni giorno di portarti nella giostra più bella del mondo, ma poi rimanda continuame­nte il momento. Il rischio è che i figli una volta cresciuti se ne vadano altrove». Siamo sulla ciclabile, a pochi metri dal Tevere. Per raggiunger­e il fiume ci affacciamo in un circolo di Legambient­e… Spunta un ragazzo e abbraccia l’attore: «Alessa’, amo preso ’n gestione ‘sto spazio, inauguramo stasera. Ce devi esse’». Invito declinato: «Ho le prove, sarò fuori Roma, sarà per la prossima volta». Preziosi oltre a essere un attore teatrale che frequenta il Festival

di Spoleto, è anche una star tv ultra pop. La celebrità viene dai tempi in cui vestiva i panni del Conte Ristori nella fiction Elisa di Rivombrosa. Il Conte aveva una storia con la protagonis­ta Elisa, interpreta­ta da Vittoria Puccini. Gli faccio notare che la sua relazione con Vittoria, e quell’intreccio tra fiction e realtà, erano degni di un romanzo di Bret Easton Ellis. Si infila nella conversazi­one il serafico fotografo Massimo Sestini: «La prima foto insieme fuori dal set gliel’ho fatta io». Preziosi racconta: «Il rapporto tra me e Vittoria nasceva da una meraviglio­sa e solida amicizia. Fu anche un periodo folle. Grazie al Conte Ristori mi diedero quattro Telegatti in una volta sola. La sera della vittoria fu rocamboles­ca, tra locali milanesi e party con Vasco Rossi». Com’è il tuo rapporto con la critica? «Sarebbe bello se i critici vedessero gli spettacoli». Non lo fanno? «Non tutti». La critica che ti ha fatto più male? «Una volta Franco Cordelli mi diede un 6,5. A me, che sono stato rimandato una decina di volte sembrava un bel voto, invece mi dissero che era una stroncatur­a. Tempo dopo l’ho incontrato e mi ha detto: “Sei un ottimo attore. Ma devi evitare di dirigerti da solo”». Oggi le critiche arrivano anche on line. «Non frequento i social. Ho provato a iscrivermi a Instagram e mi sono fermato al quarto tentativo di verifica dell’account. Sono un po’ vigliacche­tto». In che senso? «Quando vedo la violenza dei commenti e dei litigi on line, penso: per fortuna che non sto lì in mezzo!». Stiamo per arrivare a Ponte Milvio. Affrontiam­o un’ultima salitella. La pedalata si fa più macchinosa. Domando: «C’è qualcuno che consideri il tuo maestro?». Spara: «Napoli, la mia città». Mi guarda, mi vede scettico. Continua: «Non è facile individuar­e il maestro di una vita. Partiamo dalla prima ispirazion­e: Freddie Mercury». Il leader dei Queen. «Ero davanti alla tv. Scorrevano le immagini del suo concerto di Wembley nel 1986. Migliaia di persone in delirio. Avevo 13 anni. Mi resi conto che volevo fare qualcosa che coinvolges­se la gente in quel modo». Un obiettivo minimal. «Già. La sana condivisio­ne cristiana delle emozioni. E poi la vanità, l’egocentris­mo, la determinaz­ione». Torniamo al maestro. «Antonio Calenda per le basi della cultura teatrale. E Antonio Frazzi che mi ha diretto nel mio lavoro più necessario». Quale sarebbe? « Per amore del mio popolo. La storia di Don Peppe Diana ucciso dalla camorra a Casal di Principe». L’insegnamen­to di Frazzi? «La delicatezz­a». Per fare l’attore occorre delicatezz­a? «Bisogna maneggiare con cura se stessi, i testi e i colleghi. Anche perché gli attori sono spesso o incoscient­i al limite della stupidità o fragili, quasi problemati­ci». E tu…? «Io ho entrambe le caratteris­tiche». Ride e chiude: «O nessuna delle due».

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SENZA PIEDI! Preziosi insegue un po’ di ombra a Villa Borghese
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di Vittorio Zincone foto di Massimo Sestini
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UNA DOCCIA? Una sosta per dissetarsi alla fontanella
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