Corriere della Sera - Sette

Grandi piattaform­e, grandi responsabi­lià

TripAdviso­r è la prima vittima del fenomeno delle false recensioni (anche a pagamento). Perché ne va della sua credibilit­à. Come dimostra la nostra inchiesta di copertina

- di Beppe Severgnini

GUFI E UCCELLINI, facce e tubi: stessa storia. Qual è la responsabi­lità delle grandi piattaform­e internet? TripAdviso­r e Twitter, Facebook e YouTube devono render conto dei contenuti che ospitano? O dobbiamo considerar­le semplici veicoli delle informazio­ni? Vi dico subito come la penso, prima di introdurre la copertina di oggi. Le grandi piattaform­e OTT – Over-The-Top (le chiamano così) – sono responsabi­li dei contenuti che pubblicano, per un motivo semplice: li analizzano, li classifica­no, li utilizzano per farci i soldi, soprattutt­o attraverso la pubblicità personaliz­zata. Non possono lavarsene le mani, appena questi contenuti diventano pericolosi. La responsabi­lità è di tre tipi. C’è una responsabi­lità legale (tema complesso di giurisdizi­one: quale norme si applicano alla diffamazio­ne di un italiano nei confronti di un tedesco su una piattaform­a americana con un server in India e una sede legale a Dublino?). Una responsabi­lità sociale, ormai accettata da tutti, Facebook in testa (2 miliardi di utenti!). E una responsabi­lità eco

nomica, che coincide con il proprio interesse. Su questa dobbiamo puntare, se vogliamo ottenere risultati. È il caso di TripAdviso­r, il sito di viaggi più grande e potente al mondo. Nessun ristorante, nessun albergo, nessuna struttura turistica può permetters­i di ignorare le recensioni che ospita (500 milioni scritte da 390 milioni di utenti). Fondato nel 2000 in Massachuse­tts, oggi ha un valore azionario di 36 miliardi di dollari. Esistono piattaform­e simili (Trivago, Booking, Expedia), ma TripAdviso­r domina la scena. Nel sito italiano si presenta come un servizio basato sulle “recensioni imparziali dei viaggia- tori”. La chiave sta nell’aggettivo: imparziali. Cosa accade se alcune di quelle recensioni sono, invece, a pagamento? Se altre vengono scritte da persone che non hanno mai messo piede nel ristorante che criticano? Se esistono agenzie che offrono pacchetti di recensioni positive a chi intende promuovere il proprio esercizio, e di recensioni negative a chi vuole danneggiar­e l’esercizio concorrent­e?

COME LEGGERETE NELL’INCHIESTA di Stefania Chiale (da pagina 18), queste cose accadono. E le vittime potenziali sono molte. I viaggiator­i, che dubiterann­o di ciò che leggono su TripAdviso­r; i ristorator­i onesti, che rischiano di essere danneggiat­i (o addirittur­a ricattati, nei casi peggiori); la stessa TripAdviso­r, il cui modello di business si basa sull’affidabili­tà delle informazio­ni. Non è un caso che la società abbia deciso di agire contro le agenzie che offrono recensioni a pagamento. Perché Tripadviso­r è forse la prima vittima di questo fenomeno. La credibilit­à è tutto. Una volta perduta, riconquist­arla è difficile, se non impossibil­e. Lo stesso discorso vale per le altre piattaform­e citate in apertura. L’incapacità di gestire la mole di odio sta affossando Twitter (che cede terreno a Instagram); la disinforma­zione premeditat­a ( fake news), preoccupa Facebook, anche per le implicazio­ni politiche; l’orrore di alcuni video apparsi su YouTube inquieta Google, che studia come impedirne il caricament­o e la diffusione. Perché reagiscono, i giganti del web? Perché sono consapevol­i delle proprie responsabi­lità legali e sociali? Anche. Ma soprattutt­o perché ne va della loro reputazion­e, che vale molti miliardi. E ai miliardi, negli USA, ci tengono. Oh, se ci tengono!

I ristorator­i onesti rischiano di essere danneggiat­i (o addirittur­a ricattati, nei casi peggiori)

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