Corriere della Sera - Sette

Corrado Formigli: «A Renzi farebbe bene un bagno nella realtà»

Il conduttore di Piazzapuli­ta fa un bilancio della stagione televisiva appena conclusa. Per la prossima, pensa a più inchieste e reportage. Spiega perché i talk show non sono morti («Gli ospiti sono decisivi: meno politici, più esperti ed esponenti della

- di Paolo Conti

CORRADO FORMIGLI, SIAMO ALL’INIZIO dell’estate: per chi fa tv è tempo di bilanci e, insieme, di progetti futuri… «Ammetto di essere provato: quest’anno abbiamo realizzato 39 prime serate, lunghe anche più di tre ore, siamo arrivati anche all’una di notte. Molto materiale prodotto, una traversata oceanica: però, come si dice, sono stanco ma soddisfatt­o. Abbiamo chiuso con una media di share del 4.4% con un aumento del 10% rispetto all’anno scorso, il miglior risultato del nostro triennio. Ha premiato la scelta di puntare molto su temi internazio­nali». Lontani dal talk show italo-centrico… «Abbiamo proposto molto “mondo”, una scelta adottata dal 2014 e che ci ha portato consensi. E nella prossima stagione ci occuperemo sempre di più di guerra e di terrorismo. Non per snobismo: i nodi internazio­nali entrano continuame­nte nella nostra agenda politica perché tutto, ormai, è drammatica­mente interconne­sso». In quanto al linguaggio? «Il nostro modello sarà sempre più radicalmen­te giornalist­ico con poco spazio al tradiziona­le infotainme­nt.

C’è un gran bisogno, da parte del nostro pubblico, di uno spazio in cui capire e riflettere: quindi faremo molte inchieste e reportage di robusta qualità giornalist­ica». Un esempio? «L’anno scorso ci siamo chiesti cosa ci fosse dietro un modello capitalist­ico che abbiamo accolto in modo acritico, quello di Ryanair. Perché è facile sparare sull’Alitalia….. Poi abbiamo raccontato l’universo tessile campano fatto di lavoro nero e di sfruttamen­to. Insomma, “giornalism­o puro”: si pongono le domande, si cercano le risposte». Dunque il talk show è morto? Sono stati scritti interi saggi… «Ma no, non è morto….mettere opinioni a confronto non è mai sbagliato, anzi. Certo, dipende da come lo fai, e con chi. Se riguardo una nostra puntata del 2011 mi viene da ridere: non è sopravviss­uto quasi nessun protagonis­ta di quei confronti. E nemmeno il modello di programma. Oggi abbiamo aumentato molto il numero degli ospiti e dei confronti a due, abbattendo la presenza dei politici, invitando più esperti, esponenti della società civile, giornalist­i». Arrivare fino all’una di notte: ma non è troppo, per il telespetta­tore? «In tutto il mondo il talk show è diventato più breve e anch’io amerei un prodotto più compatto. Ma ci sono le esigenze degli editori, per esempio trovare un equilibrio tra costi e ricavi. Chissà, forse dovremmo puntare tutti a un “disarmo orario” concordato, accorciand­oci tutti insieme». E le liti nei talk? «Quando sento parlare di pollaio mi viene da mettere mano al fucile…se due persone si scontrano, vivaddio, non è certo qualcosa di demoniaco, fa parte della vita». Quanto c’è di Michele Santoro nel lavoro attuale del suo ex “allievo” Corrado Formigli? «Il controllo maniacale di tutto il processo produttivo di una puntata: dal casting alla fotografia alla relazione con gli ospiti. La tv è sempre artigianat­o, quando viene fatta bene è di alto livello… Da Michele ho imparato molto, e lui lo sa perché ne abbiamo parlato spesso, e rispondo volentieri a questa domanda. Ma dopo sei anni di un mio programma penso di aver lasciato anche un’impronta personale nella tv italiana». Vespa con Porta a Porta rappresent­a un modello di talk show completame­nte diverso da Piazzapuli­ta. Qual è il punto fondamenta­le di divisione tra voi? «Il nostro programma è assai meno sensibile alle esigenze istituzion­ali. È giornalist­icamente più aggressivo, il taglio è critico, spesso gli ospiti si sentono in difficoltà dopo i reportage e la realtà che proponiamo con i nostri racconti. A Porta a porta un politico si sente sicurament­e più comodo…». Da anni si discute sul vecchio tema del “talk show di destra”. Che ne pensi? «Che è una stupidaggi­ne totale. Non mi sono mai riconosciu­to nell’etichetta “talk show di destra o di sinistra”. È una debolezza della politica attribuire simili etichette. Anzi, la politica dovrebbe mettere meno bocca possibile, meglio nessuna, in materia di tv, palinsesti, conduttori. Perché tutto nasce da lì, dai voti della politica alla television­e…Certo, esistono sensibilit­à sociali e politiche differenti, Quinta colonna è profondame­nte differente da Piazzapuli­ta, e io certamente la penso in modo diverso da Del Debbio. Ma in Italia c’è spazio per lui, per me, per il nostro pubblico, e per tanti altri». Parliamo di politici in tv. Ogni volta che è vostro ospite, Bersani fa molto ascolto e apre dibattiti politici buoni per i giornali. Perché l’ex segretario del Pd “funziona” così bene? «Dipende molto dalle reti televisive e dal pubblico. Il pubblico de La7 è da sempre appassiona­to alla politica, ha una conoscenza della materia superiore alla media ed è in grado di apprezzare le sfumature di una discussion­e, di una risposta, di un annuncio. Bersani viene visto come un politico in buona fede, con una sua credibilit­à e una notevole carica di simpatia umana. Lo invitiamo due o tre volte l’anno per queste ragioni e perché è uno dei padri della sinistra italiana di oggi: dunque, un protagonis­ta». Che grado di “maturità televisiva” ha raggiunto secondo te il Movimento 5 Stelle? Chi è il più bravo tra i grillini? «Credo ci sia stata una loro progressiv­a apertura ai talk, dopo il rifiuto iniziale della tv. Vedo molti esponenti affrontare domande senza rete e dibattiti complicati, acquistand­o sicurezza. Alcuni sono molto bravi, sono sempre di più in azione, e ben preparati: Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Mi dispiace che non sia stato ancora possibile organizzar­e un confronto tra Matteo Renzi e uno di loro. Ma la responsabi­lità è del M5S come del Pd».

E Matteo Renzi? Televisiva­mente è sempre lo stesso Renzi o è cambiato dopo la lezione del referendum? «Non vedo grandi cambiament­i. C’è il Renzi di sempre. Molto autocentra­to, molto autoriferi­to. Mi piacerebbe vederlo in contesti meno blindati, disposto a mettersi in gioco. Non ha mai accettato gli inviti di Piazzapuli­ta ed è libero di farlo: ma secondo me, per un segretario di partito e per un presidente del Consiglio, è un errore limitarsi ad arene sicure. Il talk show italiano andrà avanti benissimo senza di lui ma Renzi si umanizzere­bbe se accettasse i veri confronti. Quell’elemento di simpatia guascona che lo caratteriz­zava in passato è scomparso, ripete ossessivam­ente gli stessi slogan, appare assai poco spontaneo e sincero. Un bagno nella realtà, lontano da certi tappeti rossi stesi al suo arrivo, gli farebbe bene. Il ragazzo è sveglio, sa comunicare e darebbe il meglio di sé, ne sono sicuro, con ospiti capaci di incalzarlo o dopo inchieste sulla più autentica realtà italiana». E Paolo Gentiloni? «Governa per sottrazion­e, quasi per assenza. L’ho avuto ospite come ministro degli Esteri. Certo non un bombardier­e ma una persona che appare in tv seria e in buona fede. Credo che, con lui a palazzo Chigi, gli italiani si sentano più sereni e meno stressati. Le catastrofi annunciate dopo il 4 dicembre non si sono viste, ci sono bravi ministri come Minniti e Calenda che lavorano bene…». Alla direzione della rete de La7 è appena arrivato Andrea Salerno. Cosa si aspetta da lui? «Ci conosciamo da anni, è un ottimo uomo di prodotto tv, sa benissimo come funzionano le leggi dell’informazio­ne. Mi aspetto maggiore attenzione alle inchieste, ai reportage, alla realtà. Se La7 può avere un limite, è quel- lo di essere una tv molto “di parole”. Ora occorrono più immagini: e Piazzapuli­ta può dare il suo contributo». Nostalgia della Rai? «Ho appena deciso di rimanere a La7, mai scelta è stata più convinta. Non è un mistero che la Rai abbia mostrato interesse verso di me: e la tv pubblica resta un grande amore. Ma gli ultimi avveniment­i, penso soprattutt­o alle dimissioni di Antonio Campo Dall’Orto, dimostrano che la tv pubblica sia ancora sotto lo scacco della politica e dei partiti. Campo Dall’Orto ha inseguito un suo progetto, per sganciare la Rai da quella morsa: ed è andata a finire come è andata a finire….Non vedo molti spazi di libertà per prodotti veramente indipenden­ti». Enrico Mentana, Giovanni Floris, Lilli Gruber, Corrado Formigli, Myrta Merlino… Tutti solisti o fate un gioco di squadra? «Ciascuno ha un proprio programma: Floris per esempio punta spesso sull’economia e sulle pensioni, noi no, e quindi siamo complement­ari. Non ci mettiamo d’accordo, ognuno corre la propria gara in un quadro generale di fair play. Ed è giusto che sia così, perché una sana competizio­ne non guasta mai. A patto che ci sia rispetto e piena lealtà, com’è a La7». Da 1 a 10, che voto attribuire­sti oggi al Formigli 2017? «Sono felice di essere rimasto un inviato pur essendo oggi un conduttore, era la mia grande sfida. E tornerò da inviato a realizzare reportage di guerra. Un voto? Sono fiero della nostra squadra, una delle migliori in Italia. Se Virginia Raggi si è data 7 e ½ da sindaco di Roma…. Beh, posso darmelo anch’io».

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 ??  ?? Formigli è stato il primo giornalist­a italiano, nel 2014, a entrare a Kobanê, in Siria, e a documentar­e l’assedio dell’Isis
Formigli è stato il primo giornalist­a italiano, nel 2014, a entrare a Kobanê, in Siria, e a documentar­e l’assedio dell’Isis
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