Generazione di talenti. Per pulire i bagni?
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LEGGO UN BANDO sul sito dell’Università di Messina, uno degli atenei coinvolti nelle selezioni operate dai supermercati Lidl attraverso il progetto Generazione Talenti. Il testo è scarno e si limita a specificare che i settori di riferimento sono “vendite” e “logistica”. Condicio sine qua non per la partecipazione alle selezioni: ottima carriera universitaria, inglese fluente, laurea in Scienze della Comunicazione, Economia, Giurisprudenza e Ingegneria. Inoltro la candidatura con relativo CV e resto in attesa di una chiamata da parte dell’Università. Dopo una selezione preventiva, vengo contattato: «Il suo profilo è in linea con la ricerca». Insieme ad altri 60 laureati mi presento presso la sede centrale dell’università. Si comincia alle 10 e 30 con una presentazione dei ruoli ricercati in azienda. Spiegazione esaustiva, personale addetto al recruitment gentile ma perentorio: «Non abbiamo voglia di prendere in giro nessuno: chi entra a far parte della nostra azienda, deve sapere fare tutto. Voi partirete dall’alzarvi alle 5 del mattino per scaricare la merce dai camion, preparare il banco frutta, infornare il pane, stare alle casse e rifornire gli scaffali. A fine giornata dovrete pulire il punto vendita (e suppongo anche i bagni). Dopo un anno in cui sarete valutati, vi sarà proposto di restare o meno e, eventualmente, di ottenere delle nuove qualifiche in azienda». Terminata la presentazione, qualcuno chiede informazioni, molti scelgono di andare via. Io sono tra questi.
ERA L’ESTATE 2006, l’Italia vinceva i Mondiali di calcio in Germania ed io lavoravo come cameriere: avevo 15 anni, era importante capire quanto valesse il sacrificio. Dopo quel mese di lavoro a 30 euro al giorno, ebbi la possibilità di comprare il primo motorino della mia vita: un vecchio Honda Sky per il quale venivo preso in giro dai compagni di liceo. Ma l’avevo comprato io: ne ero orgoglioso. Negli anni ho fatto tanta gavetta: il mio CV riporta pagine di esperienze lavorative e di studio, una laurea a Messina e una specializzazione a Londra. Alla luce di questa storia, in virtù di proposte di lavoro come quella di Generazione Talenti, i miei studi sono stati assolutamente inutili. Con tutto il rispetto, io non ho chiesto ai miei genitori di fare sacrifici, non ho creduto nello studio, non ho frequentato l’università italiana e non ho preso una laurea per fare le pulizie. Ci chiamano “talenti”, ma è questo il mercato del lavoro che ci meritiamo?