48 ore da un bar all’altro
Ingurgitando birre e crodini per mimetizzarsi meglio, un giornalista del Corriere – a lungo timoniere di Sette – passa due giorni di caffè in caffè: dall’osteria del mantovano che frequentava da ragazzo fino ai centralissimi locali di Milano. Tra donne im
NEI PRIMI ANNI 70 DEL SECOLO SCORSO sono stato un frequentatore compulsivo di bar. In quello del mio paese, Casalromano, al confine-confino tra Mantova, Cremona e Brescia, trovavi sempre gli stessi personaggi: i maratoneti di briscola e sigarette, i tormentatori di flipper e quelli che sublimavano il calcio nel biliardino con gli omini blu e rossi. Poi venivano tutti gli altri che perdevano tempo, inzigavano e spettegolavano, parlavano di lavoro e di sesso (tanto le donne lì non si fermavano). Alle 20, il telegiornale apriva le opinioni e unificava i non-consensi: mai sentito una volta dire “non piove, governo galantuomo”. Alla vigilia delle consultazioni si accendeva la discussione politica. Allora, capitava che comunisti e missini si scannassero per riconciliarsi subito dopo con le carte in mano. I diccì, invece, se ne stavano zitti. E vincevano le elezioni. Ma la vera democrazia si esercitava con la Domenica sportiva della Rai perché tutti avevano libertà di parola, d’o- pinione e di genuini vaffa. La partita della domenica durava sette giorni, fino alla domenica successiva. I tempi supplementari erano scanditi dalla lettura della
Gazzetta, immancabile sul frigobar, vero giornale a tempo determinato. Se uno la teneva in mano troppo a lungo veniva sommerso da improperi.
QUARANT’ANNI FA, ARRIVATO A MILANO, ho smesso di frequentare i bar, ma mi è rimasta la curiosità di guardare la vita dai loro tavolini, infallibili carte assorbenti del mondo. Così ho deciso di tornare sugli antichi passi, ripartire dal paese, raggiungere casa mia a Milano e incamminarmi verso il Corriere (e viceversa) facendo soste qua e là. Ecco – 21 caffè, 3 panini, 1 caprese, 1 pasta alle vongole e broccoletti, 5 birre piccole, 6 Crodini e 15 bottigliette d’acqua dopo (il fegato apparentemente è salvo) – una minima non moralia riflessione da bar (nessuna ambizione sociologica, per carità) .
-48 ore
Che fine ha fatto l’osteria dei miei 15 anni? La Vecia Lucandina sembra un pub, si respira ossigeno e non nicotina. Mi sorprendo a riascoltare il mio dialetto, gran patrimonio di provincia protetto come un panda, inconsapevolmente, anche dai giovani: varrebbe un approfondimento di costume.
-38 ore
Trentacinque km e una notte dopo, semiperiferia di Cremona, classico bar sport: sul bancone rivedo la Gazza, bella rosea, rassicurante. E sfogliata. Non manca quasi mai tra caffè, brioches, aperitivi e cocktail: dovrebbe essere dichiarata patrimonio dell’umanità, almeno italiana. Un uomo la prende, si siede al tavolino. Il proprietario lancia una scontatissima battuta su Allegri che, facendo torto all’etimologia del cognome, ha aggredito un onesto vigile: inizia il reciproco sfottò. Non c’è internet che tenga: il calcio da bar, anche quando finisce verbalmente in fuorigioco, comincia sempre in leggerezza, con sarcasmo e ironia, ha bisogno di presenza e condivisione. Aria di casa mia. O quasi.
-34 ore
Parcheggio a Milano, entro ed esco dai bar. Al Domm, due cinesi stanno raccogliendo nei sacchettini una montagna di 10 e 20 centesimi ammucchiata vicina alla cassa. Chiedo: «Che se ne fanno?». «Sono quelli dei ristoranti a fianco, fanno prezzi civetta da 19,90 euro e hanno bisogno di monetine di resto. Meno male che dal prossimo anno non ci saranno più i “ramini” ( 1e
2 centesimi, ndr.). Però tutto sarà arrotondato non ai 50 centesimi, ma all’euro». Pioverà sempre, governo furbo. E, comunque, la Cina è troppo vicina.
-31 ore
Caffè Ambrosiano: il proprietario sbadiglia e un abituale avventore, ironicamente, gli fa notare che il locale
LA GAZZETTA? UN GIORNALE A TEMPO DETERMINATO. CHI LA TENEVA PER TROPPO TEMPO VENIVA SOMMERSO DA IMPROPERI
di fianco, gestito da cinesi, alza la clèr molto prima la mattina. «Mi piacerebbe risponderti come il prete della mia parrocchia che dice “io apro quando voglio, tanto non ho concorrenti”. Non è così, ma non posso corrergli dietro, perderei comunque». A volte il gioco è duro e quando si fa troppo duro persino la quarta età si rimette a giocare.
-28 ore
Alla cassa del Caffè Real ci sono due signore, hanno superato gli ottanta. Ordinate. Colpiscono perché hanno entrambe un bastoncino d’appoggio. Non si conoscono. La prima ha un tailleur beige e una camicetta bianca, porta alla mano sinistra due fedi in due dita differenti. Compra un biglietto del Lotto ed esce silenziosa. L’altra, gonna nera e maglietta di lanina verde, ha dieci euro in mano. Anche lei deve pagare, ma rinuncia al resto per un “Miliardario”. Piccoli tagli alla pensione per ritagliarsi quel che resta del futuro.
-24 ore
Altro bar milanese, altre scommesse. Cambiano età e nazionalità, la posta è sempre la stessa. Un filippino, occhi rossi quasi ipertiroidei, esce da un bugigattolo illuminato solo dai colori di una slot machine. Due ragazzi stanno seduti una di fronte all’altro. Non si guardano, sfregano silenziosi le caselle di un mucchietto di gratta e vinci e si alzano soltanto per scambiare le vincite minime con altri biglietti.
-22 ore
Lo stesso silenzio avvolge due coppie Al Moro, tutti e quattro sono concentrati sui rispettivi telefonini. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi? A volte, non sempre. A volte, al bar, la Rete va in cortocircuito e la solitudine del web ha poco campo: i tavolini vicini, il caffè bevuto gomito a gomito, procurano una scossa che disconnette gli avventori, allacciandoli in connessioni
NEL LOCALE A FIANCO FANNO PREZZI CIVETTA: PER DARE IL RESTO HANNO BISOGNO DI MONETINE
nuove. Lui sudamericano lei italiana, seduti all’aperto per un cocktail. La ragazza sta whatsappando con un’amica. Si intuisce che vuole comprare un paio di scarpe e chiede consigli. Ogni tanto interviene l’accompagnatore, comincia un dibattito a tre a distanza. Piccoli segnali di un bar internettiano. Ma rigoroso degli orari perché è tardi, chiude bottega. Mi cacciano, tiro un sospirone.
-14 ore
Mattina dopo. Altro bar di Milano, Archimede Caffè, altra modalità d’uso: un gruppo di amici si scambia l’iPhone, qualcuno ha trovato un filmato e vuole condividerlo. Tutti commentano: lo schermo diventa una carta da briscola da passarsi di mano in mano.
-12 ore
Due ragazzine entrano All’Amor di Sicilia e chiedono due bottigliette d’acqua. Sono vestite estive, molto estive. Escono. Una coppia di sessantenni le squadra e incrocia uno sguardo d’intesa: «Dai, ma come si fa ad andare in giro così. Poi dicono che gli uomini... e poi con tutti quegli extracomunitari, tutti delinquenti».
-9 ore
Due amiche commentano un fatto di cronaca: il rapinatore italiano ucciso da un gioielliere: «Meno male che adesso c’è licenza di usare le armi per difendersi». «Sì, ma tu lo faresti?». «Certo che lo farei, se me lo trovo in casa, se proprio… sì però…». Tra parola armata e mano armata c’è sempre una sottile linea d’ombra.
-7 ore
Le donne al bar sono frequentatrici seriali. Molte si danno appuntamento per la colazione o per l’aperitivo pre-cena. Altre hanno orari più liberi. Alla Pasticceria Sissi un terzetto intavola un dibattito inaspettato. Tema: fisicamente è più carina Belen o Nina Moric? «La
L’IPHONE DIVENTA UNA SPECIE DI CARTA DA BRISCOLA DA PASSARSI DI MANO IN MANO PER MOSTRARE LE FOTO
Moric ha un c… insuperabile, peccato per la faccia». «Ma anche Belen s’è rifatta, fortunatamente il suo chirurgo è stato più bravo, però se la tira troppo». «Sarebbe da chiederlo a Fabrizio Corona, che rimane sempre un gran figo». Ma la leggerezza del pettegolezzo si appesantisce quando le tre donne cominciano a parlare dei figli: «Ah, io ho fatto presto, le ho tolto l’iPhone per una settimana». «E lei?». «Se ne frega, adesso ha le cuffie attaccate alle orecchie tutto il giorno, ma le toglierò anche quelle». Una volta c’era la televisione, poi la playstation, oggi smartphone e tablet. La tecnologia, per molti genitori, è l’origine di tutti i mali dei figli. Ma, quando entra in ballo il lavoro, qualcuno riesce a trasformare il bar in un ufficio perfettamente funzionante.
-5 ore
Due uomini si incontrano, entrambi accendono il loro computer e si mettono a digitare, tra una telefonata in cuffia e l’altra. Tre ore di telelavoro da caffè.
Zero
Il lavoro è un tormentone anche al bar: chi lo cerca per sé o per i figli, chi vorrebbe cambiarlo, chi ce l’ha da troppo tempo ma qualche anno fa è passata di qua la Fornero. Però il dialogo più singolare è quello tra madre e figlio davanti a un digestivo al Bar Cucchi: «No, stai sbagliando: se il tuo collega ha problemi di autostima e non si inserisce nel gruppo, devi buttarlo nella mischia, lasciarlo solo a risolvere il problema. Sennò non cresce». Pensereste sia la mamma a dar consigli al figlio neoassunto? Macché, l’opposto. Il mondo del lavoro all’incontrario va, e chi ci governa non riesce proprio a raddrizzarlo. In queste quarantott’ore al bar l’argomento “politica” non è mai entrato in scena: legge elettorale, alleanze possibili, Renzi, Berlusconi, Lega, 5 Stelle? Silenzio assoluto. Poi vincono gli uomini qualunque.
ACCENDONO IL COMPUTER E SI METTONO A DIGITARE, TRA UNA TELEFONATA IN CUFFIA E L’ALTRA. TRE ORE DI TELELAVORO DA CAFFÉ