La guida di Pablito e il dribbling tra i tifosi
R I C O R D I P I LOTAT I DA S T E FA N O R O D I
PAOLO ROSSI RICONOSCE CHE UNA DELLE EMOZIONI PIÙ FORTI
provate da ragazzo, tolte quelle sui campi di calcio, è stata quando è uscito da una concessionaria di Torino a bordo di un’A112 blu, con tetto bianco e sedili ribaltabili. «Avevo 19 anni, erano utili». «Guidare mi è sempre piaciuto. Mi sento libero, padrone del mio tempo». Tranne quando si ferma negli autogrill in autostrada, dove l’assalto dei fan continua ininterrotto, anche se dalla vittoria del Mondiale di Spagna sono passati 35 anni. Tra i tanti viaggi in macchina quello che ricorda con più emozione è stato quando è andato a trovare
Enzo Bearzot a casa sua, ad Auronzo di Cadore. Il ct mondiale era malato. «Era il 2010. Mi disse che gli sarebbe piaciuto vedermi. Sono partito subito, con mia moglie, che era incinta al settimo mese. È stata l’ultima volta che l’ho visto e ho il ricordo di un viaggio di andata e di ritorno pieno di emozioni». Un altro indimenticabile è stato un Roma-Prato, anno 1982, dopo un ricevimento al Quirinale per la vittoria del Mondiale («Dall’euforia mi sembrava di viaggiare su un discovolante»). A Pablito però l’auto ha riservato anche momenti brutti, anzi di terrore: in agosto, due anni fa. Stava rientrando da una cena e sua moglie lo seguiva con la sua auto. Aveva con lei le due figlie. «A un certo punto Federica, per evitare un’animale che le ha attraversato la strada, è finita in una scarpata. Stavo guardando lo specchietto e ho visto i suoi fari sparire nel buio». È un episodio raccontato di getto, perché finito bene: una pianta ha frenato la scivolata dell’auto e sono uscite tutte e tre illese. Guidare, per Paolo Rossi, è rimasto un piacere. Continua a macinare tanta strada, in questo periodo anche per raggiungere la sua mostra itinerante sul Mondiale 1982, che sta girando l’Italia.