Intuizione + impreparazione = improvvisazione
Per contribuire a un progetto, bisogna conoscerlo. Troppi se lo dimenticano. Ingenuità, leggerezza o superficialità?
UNA GIOVANE AUTRICE passa in redazione per discutere una collaborazione al nuovo
7. La incontriamo, le chiediamo quali parti del settimanale le sembrano più adatte alle sue proposte. L’ospite manifesta un incomprensibile imbarazzo. Poi, di colpo, diventa chiaro: non conosce il prodotto. È successo tre volte negli ultimi dieci giorni. Una collega, dopo aver presentato la sua idea, balbetta di «averlo solo sfogliato». Un’altra, ragazza iper-tecnologica, si giustifica: «Vivo all’estero, sapete com’è, il settimanale non arriva…». Esiste l’edizione digitale, le rispondiamo sorridendo. Non è obbligatorio conoscere un nuovo prodotto giornalistico, ovviamente. Ma, se vuoi lavorarci, diventa importante sapere, più o meno, com’è fatto. Se non altro per buon senso, buona educazione, istinto di sopravvivenza (professionale). La questione – ed è il motivo per cui ne parliamo qui – va al di là del giornalismo. Cosa possiamo pensare di chi si propone per un lavoro di cui sa poco o nulla? Come minimo, dobbiamo concludere: gli importa tanto poco che non ha ritenuto necessario informarsi. In inglese il vocabolo homework non significa solo “compiti a casa”, ma anche “preparazione in vista di qualcosa”. Molti ragazzi di talento, propositivi e fantasiosi, lo dimenticano. Ingenuità, leggerezza o superficialità? Propendo per le prime due ipotesi; ma non posso escludere la terza. Anche perché là fuori, state certi, qualcuno prenderà in considerazione solo questa. «Lei si presenta
« Homework non significa solo “compiti a casa”, ma anche “preparazione in vista di qualcosa”. Molti ragazzi di talento lo dimenticano»
impreparato? È stato un piacere, quella è la porta». Circolano leggende, in materia. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, vuole che ogni partecipante a una riunione importante riceva una breve scheda introduttiva, in modo che tutti siano allineati in partenza; chi si presenta senza averla letta lo fa a suo rischio e pericolo. Steve Jobs – mi ha raccontato Diego Piacentini, che ha assistito alla scena – disse a un dirigente di Apple che s’era fatto cogliere impreparato: «Dimmi: quante persone ci saranno nella tua struttura, domani, dopo che te sarai andato?”. Quello ci mise qualche secondo a capire: era stato appena licenziato. Non c’è bisogno d’essere così spietati. Ma qualcuno deve spiegarlo ai ragazzi italiani che s’affacciano su questo mercato del lavoro, competitivo e balengo: non esiste alcuna giustificazione all’impreparazione.
GLI STRUMENTI PER INFORMARSI rapidamente oggi ci sono (basta un cellulare); la necessità di farlo c’è sempre stata. L’impreparazione è un tallone d’Achille nazionale? Non è un’attenuante. Noi italiani contiamo, giustamente, sulla nostra brillante intuizione; ma spesso esageriamo, pensando sia sufficiente. Non è così. L’intuizione senza preparazione diventa improvvisazione. La preparazione senza intuizione è solo ripetizione. Preparazione e intuizione, insieme, portano lontano. Vero, Irene?