«LE PERSONE CAMBIANO IN NOSTRA ASSENZA,
MENTRE PERSEGUIAMO IL NOSTRO FUTURO MIGLIORE ALTROVE»
sembra che tutto sia cristallizzato: le insegne sgangherate sempre al loro posto, le costruzioni iniziate e mai portate a compimento, i lampioni fulminati, le buche nell’asfalto, le mozzarelle fresche del caseificio, stai-sciupato-mangia-che-devi-essere-mangiato, i cocktail a 3€ che sbronzarsi diventa quasi un obbligo morale, i parcheggiatori abusivi, i branchi di cani randagi, i negozi chiusi nel primo pomeriggio e di domenica, l’inquinamento, il fancazzismo, le serate in villa, la carta igienica che nei bagni pubblici non c’è mai e ogni volta riaffiora in te il ricordo di quell’adolescenza spesa a suon di «ce l’hai un fazzoletto?»; i cassonetti che tracimano monnezza che figurati se nella settimana di ferragosto la nettezza urbana lavora (anche se – va detto – c’è sempre qualcuno che ti racconta che adesso, piano piano, in qualche comune del circondario sta arrivando la raccolta differenziata obbligatoria; inutile dire che l’eloquio è impreziosito da un tono funebre, come se il progresso ecologico fosse una condanna sociale e l’epoca aurea della pattumiera promiscua volgesse tragicamente al termine). Tutto sembra come è sempre stato, insomma. Tutto sembra dirti: tranquillo, sei a casa. D’altro canto, però, a ogni ritorno, qualcosa cambia. E non solo quella rotatoria che hanno fatto, che ingorga il traffico invece di fluidificarlo, perché da noi cedere la precedenza è inconcepibile,