Le corse blindate di Giuseppe Ayala ricordi pilotati da Stefano Rodi
MACCHINE DEL TEMPO
IL GIUDICE SICILIANO GIUSEPPE AYALA,
pm del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, amico di Falcone e Borsellino, dice che è «sempre stato un grande appassionato di automobili. Guidare è una delle cose che mi sono piaciute di più, fin dall’inizio». «Amavo schiacciare l’acceleratore, anche se non dimenticavo mai che ci fosse anche il freno». Adesso, non solo per i suoi 72 anni, ma soprattutto per tutti i limiti di velocità che sono comparsi, si è un po’ affievolita. Nel 1985, due anni dopo che era cominciata la sua vita blindata, era riuscito a farsi autorizzare alla guida dall’allora
ministro della Giustizia Rognoni. « Viaggiavo con il sistema “a staffetta”: una macchina di scorta davanti e una dietro. Avevo già dovuto rinunciare alla moto, almeno sono riuscito a tenere in
mano il volante. L’unico rammarico è che dopo di me anche Enzo, che all’inizio mi aveva preso in giro («Tu sei un guascone»), decise di farsi autorizzare a guidare». Falcone è morto anche per questa scelta. Ayala l’unico vero incidente l’ha avuto a 19 anni, quando con un amico stava tornando da Roma in Sicilia per vedere la Targa Florio, con la sua prima auto, una 500. «Prima aveva avuto un colpo di sonno lui, e ci è andata bene. Poi è toccato a me: a Paestum ci siamo cappottati, senza farci niente, ma il tetto si è aperto e schiacciato. Così abbiamo fatto 800 km viaggiando con la testa al vento. La gente, quando ci vedeva passare, ci applaudiva». Altro viaggio fissato nella memoria, qualche anno dopo, è quello da Caltanissetta a Rimini, con quattro amici e rispettivi bagagli. «Guidavo sempre io. Ma attraversando un passaggio a livello in Calabria, a schiena d’asino, l’auto è rimasta con le ruote sospese nel vuoto. Loro sono scesi, gli pneumatici hanno ritoccato terra e così abbiamo potuto riprendere la corsa».