Corriere della Sera - Sette

Il potere logora chi dorme troppo

- di Gian Antonio Stella

Ecco il tavolo di lavoro, casalingo, di Matteo Renzi. Si vede in alto a destra un altro piattino per una settima tazzina di caffè, ma quello non è servito

SEI TAZZINE! C’è chi si è spinto come il blogger Leonardo Bianchi, di vice.com, ad analizzare dettaglio per dettaglio (gli evidenziat­ori, il computer, l’orlo di una bozza, un bicchier d’acqua…) la foto della scrivania postata giorni fa da Matteo Renzi per accompagna­re su Facebook l’annuncio della prodezza: «Nottata di rilettura del libro. 238 pagine e sei caffè, per ora. Mi sembra di essere tornato ai tempi dell’università, le notti prima degli esami. Ma ci siamo e #Avanti sarà in libreria dalla settimana prossima. Oggi prevedo una mattinata di sbadigli. Buona giornata a tutti!!!». Ed eccole tutte lì, in foto, le sei tazzine ammucchiat­e. A dimostrare che l’eroico ex premier mica usa sempre la stessa, dopo una passata sotto il rubinetto. No: una tazzina nuova per ogni caffè. E una differente dall’altra. Le ironie del web? Chi se ne frega, a lui interessa il messaggio: il segretario piddino non dorme. Lavora. Messaggio in linea col tweet lanciato alle 6,43 del primo giorno da Presidente del consiglio, corredato dalla foto del cortile del palazzo Chigi alle prime luci dell’alba: «A #PalazzoChi­gi lavorando sui dossier più urgenti del Governo. #buongiorno #lavoltabuo­na». Un esordio che, come rise Filippo Ceccarelli, fu subito infilzato «con divertita leggerezza» da il Mattinale, cioè il bollettino del gruppo berlusconi­ano della Camera: «Tutti dormono, lui è già lì a lavorare. Qui siamo all’auto-agenzia Stefani, al Min Cul Twitter». La recidiva renziana, in effetti, evoca il chiodo fisso di tanti altri predecesso­ri del leader fiorentino. A partire, ovvio, dal Duce. Quello che, come ricorda il tema di uno scolaretto nel libro Mussolini

visto dai ragazzi di Dolores Mingozzi, del 1929, «lavora sempre e non dorme mai, o quasi. Chiude gli occhi ogni dieci minuti, poi si desta, si dà una bella lavata, e torna subito a lavorare che è fresco come una rosa». Se lui non la spegneva mai, la luce, Giulio Andreotti l’accendeva all’alba: «Ho sempre messo la sveglia alle cinque. Dossetti, è vero, alle tre e un quarto: ma lui era un santo». E sempre assai presto si sono vantati di essere già al lavoro Amintore Fanfani ed altri. Come Gianni Letta, che avrebbe confidato di mettere la sveglia alle sei meno un quarto da quando aveva letto che dietro ogni grande carriera c’è una sveglia alle sei. E Silvio Berlusconi? «Ho scritto il discorso alle tre di notte perché mi bastano due-tre ore di sonno» , spiegò una volta. E il suo «addetto al sonno» personale, Umberto Scapagnini, si affrettò a confermare: «Sa controllar­e lo stress. Sa dormire. Gli bastano 3, 4 ore a notte, più mezz’ora strategica al pomeriggio, che gli consente di recuperare il 40% delle energie».

SAREBBE UN PECCATO però, ricordando questi precedenti di vispi galletti mattutini, dimenticar­e Attilio Piccioni, vicepremie­r di Alcide De Gasperi e più volte ministro. «E il governo che fa? Dorme!?», tuonò un giorno Giancarlo Pajetta, puntando l’indice contro di lui, che aveva fama d’una certa pigrizia e russava beato al banco del consiglio dei ministri. Si scosse appena: «Il governo potrebbe dormire se l’opposizion­e non gli rompesse...». Ma memorabile resta la risposta data a chi gli rinfacciav­a di non essere scattante: «La pigrizia mi salva dall’improvvisa­zione». E Dio sa se gli stessi amici di Matteo non sospirano su certe vivacità frettolose…

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