UN MARE DI GRATTACIELI
DOVE NESSUNO DORME (E GLI INGLESI SI UBRIACANO)
Benidorm cerca di costruirsi una nuova immagine. Invano
Fu la prima località spagnola ad autorizzare il bikini. Negli anni Ottanta è diventata la capitale del divertimento alcolico. Oggi, con i suoi 330 grattacieli affacciati sul mare, cerca di rifarsi una reputazione come località turistica per famiglie e anziani. Si può dire? Non c’è riuscita.
«SCUSI, MA LEI QUANTI ANNI HA?». «E chi lo sa. Impossibile dirlo, come di questo posto». Albi Senior appoggia la lattina di Diet Coke sul tavolino e si alza. La scorsa estate sarebbe stato giusto scrivere si solleva, e forse da solo non ce l’avrebbe fatta, perché il comico più famoso di Benidorm pesava almeno quaranta chili in più. Si passa la mano sul pizzetto nero come la pece, che nel 2016 invece era candido come la neve. « Don’t be rude, mate ». Non essere duro, amico. «In fondo stiamo solo provando a sopravvivere divertendoci. Come tutti». Sulla poltrona di pelle scura rimane una enorme chiazza di sudore. Nonostante la dieta recente, è un uomo massiccio. Solo la testa lucida non è addobbata con la Union Jack, e mentre si allontana attraversando l’atrio dell’hotel sembra spuntare da un buco al centro di una enorme bandiera britannica. Le scarpe, i calzini, i pantaloncini e la camicia così larga da sembrare una sottoveste sono tutti uguali, hanno tutti lo stesso disegno bianco, rosso e blu. God save the Queen. Albi Senior ha appena finito lo spettacolo delle 22 allo Zodiac. Sta per cominciare quello di mezzanotte, al Rockfeller. Ogni sera, sempre vestito così. Da almeno un secolo, a giudicare dagli occhi stanchi e l’aria sfatta. Dal 2002, a sentire la sua storia di ex tassista, ex barista, anche ex Gary, perché nessuno lo chiama più così, nato e cresciuto a Darlington, nel nord est operaio dell’Inghilterra, reinventatosi cabarettista nei locali sulla Gold coast di Blackpool e infine divenuto the British bulldog of comedy, una istituzione locale, tratto distintivo del paesaggio umano, simbolo di un’altra costa, bianca, la cui definizione è più sincera dell’altra, che sarà anche d’oro ma ha acque e cieli quasi sempre neri. Millecinquecento chilometri più a sud del suo borgo natale. In un altro Paese, la Spagna. In un’altra luce. «Come essere a casa,
amico. Ma con il sole». Non è vero che Benidorm fosse un villaggio di pescatori, quella è solo una delle tante leggen
de del luogo. L’acqua della baia è sempre stata troppo bassa. Ma qualunque cosa fosse, cambiò per sempre nel 1954, quando il giovane sindaco Pedro Zaragoza Orts salì sulla sua Vespa e percorse 450 chilometri fino a Madrid, parcheggiò davanti al Palazzo Reale e chiese di Francisco Franco. Non è dato sapere come riuscì a convincere il bigottissimo Caudillo, ma tornò a casa con il permesso di far indossare costumi da bagno alle donne sulle spiagge. Benidorm divenne la prima località di mare spagnola dove era consentito il bikini. A quel punto Zaragoza Orts si fece prendere la mano e varò un Plan General de Ordenaciòn, un piano regolatore che prevedeva lo sviluppo in verticale della città. Il risultato di oggi è una Dubai a un’ora d’auto da Valencia. Un posto nel cuore della Spagna
che potrebbe essere ovunque. In un deserto, sulla riva del fiume Hudson, su un’isola. Vennero gli anni Ottanta, e con essi gli inglesi. Non sono ancora finiti. Benidorm ci è ancora dentro, mani, piedi, ognuno dei suoi 330 grattacieli. La Manhattan della Costa Blanca è diventata una quinta di teatro, un centro commerciale sempre aperto dove si vendono sbronze perpetue, addii al celibato da film con annessi stati di incoscienza, soprattutto oblìo, il mondo fuori non esiste più. Ma dove sei di passaggio. Non è una città per pensionati che cambiano
vita inseguendo il clima mite. Le spiagge del buen retiro inglese sono cento chilometri più a sud in città come Orihuela Costa, forse la più grande enclave britannica del mondo, dove il palazzo più alto ha cinque piani e l’unico rumore molesto è quello delle bocce che cozzano durante le partite tra i maturi residenti. Tutte le altre sarebbero venute dopo. La rivale Magaluf,
[...] When you get tight in foreign lands, All foreigners are brothers You drink their drink and grasp their hands And never wish for others [...] [...] Quando ti ubriachi in terra straniera Tutti gli stranieri sono fratelli. Bevi le loro bevande e prendi le loro mani E non desideri nessun altro [...] (The Foreign Drunk, Henry Lawson, 1910, da Skyline Riders And Other Verses, Dodo Press)
nelle Baleari, la cipriota Ayia Napa, fino alle feste sulla spiaggia bulgara di Sunny Beach, che forse rappresenta l’apice dello straniamento, la piccola Russia sulle coste del Mar Nero diventata un’internazionale del rito di passaggio per studenti tedeschi, anche italiani, ovviamente inglesi, il primo viaggio senza nessuno che ti controlla, la libertà misurata in litri di birra o vodka, i prezzi al ribasso degli alcoolici a fare da bussola. Benidorm è stata il paziente zero di questo genere di turismo. La capitale, l’unica metropoli con 70mila abitanti dichiarati che diventano tre milioni d’estate. Anche la prima a capire che vivere e guadagnare in questo modo è usurante, alla lunga dannoso per un posto baciato da Dio, con un microclima che garantisce 3mila ore di sole all’anno, mare limpido e spiagge di sabbia bianca. Con la grande crisi, i commercianti si sono accorti che la media annuale del 90 per cento di camere d’albergo piene vale poco davanti a una clientela bevi e fuggi, tre giorni a massacrarsi e poi Easy Jet da Alicante a Londra o Manchester. Hanno aperto spa e hotel a cinque stelle, lounge chill-out balinesi, campi da golf e country club da 10mila euro al mese. Ovunque i cartelloni e la segnaletica esaltano l’anima verde della città, una scoperta molto recente. L’offerta continua di posti esclusivi e salutisti, una contraddizone in termini per Benidorm, rivelano il tentativo di riciclarsi e presentarsi come un modello di turismo sostenibile
e formato famiglia. Ma è difficile cambiare una vocazione che con il tempo è diventata l’unica anima del luogo.
A MEZZANOTTE in quella che tutti chiamano British square ma che in linea teorica e toponomastica sarebbe Calle Mallorca, non si sente una parola di spagnolo. E non si vede neppure nulla che richiami il Paese dove ci troviamo. I marciapiedi sono affollati di ragazzi inglesi, quasi tutti a petto nudo con lattina o bicchiere in mano, nessuno sobrio. I cartelloni e le pubblicità appesi fuori dai locali promettono colazioni alle sei del mattino, a base di pudding dello Yorkshire, kidney pie irlandese, il micidiale tortino riempito con il rognone di vitello, e soprattutto “pinte”, perché anche le unità di misura qui sono diventate inglesi. Ai pali della luce è appeso un cartello con il faccione di un ragazzo di Newcastle arrivato la sera prima, e ora « missing in Benidorm ». Verrà ritrovato il giorno dopo, ancora ubriaco e privo di sensi, dietro a un cespuglio della playa de Levante. Le pagine interne del Costa Blanca News, il giornale locale in lingua inglese, sono una specie di bacheca dove si chiedono notizie e rassicurazioni sui dispersi notturni. Con quattro euro si può bere una “cubata” alla vodka. Una pinta di Guinness costa la metà. I bar hanno nomi e arredi da vecchia taverna, The Red Lion, The Duke of Wellington, The Mayflower, The Old London, molti di loro si ispirano ai più famosi e tradizio-
nali pub londinesi. I locali di cabaret o spettacoli erotici promettono show “offensivi e volgari”, come quelli di Soho, a Londra, nei primi anni Ottanta, quando era ancora la zona più malfamata della capitale inglese e non uno dei quartieri più multiculturali e alla moda.
ALLA FINE QUEL CHE RESTA non è l’immagine di una metropoli avveniristica, moderna e verticale, al punto da aver ricevuto in questi giorni la visita di una delegazione di dirigenti nord coreani mandata in missione dal simpatico Kim Jong-un per studiare il modo di farne una copia conforme sulle amene, si suppone, spiagge di Wonsan. Anche Benidorm mostra un’età incerta e si è rifatta il trucco, come Albi Senior. Ma come il suo ormai illustre esponente, che da oltre vent’anni racconta le stesse barzellette basate sulla diffidenza britannica per ogni diversità, anche la città non riesce a cambiare un’identità legata a qualcosa di antico. Allo stesso sentimento che ha ispirato il voto per la Brexit in città non proprio internazionali come Sunderland o Middlesbrough. È una nostalgia neppure troppo sincera per una Gran Bretagna perduta che non tornerà più. I ragazzi e i moltissimi adulti inglesi in libera uscita vanno all’estero per sentirsi a casa solo con più sole e meno restrizioni alcoliche, scelgono un posto figlio della globalizzazione per sentirsi meno globalizzati e vivere l’illusione di essere ancora nella Old England. La vecchia Inghilterra, che già stava morendo nell’omonima canzone dei Waterboys. Era il 1985, figurarsi oggi.