Corriere della Sera - Sette

Dopoguerra alla colombiana

Siamo andati nei villaggi dove gli ex guerriglie­ri vengono rieducati alla vita civile. Perché entro qualche settimana le Forze armate rivoluzion­arie colombiane (Farc), ufficialme­nte, non esisterann­o più. Grazie ad accordi di pace raggiunti al prezzo di pe

- di Rocco Cotroneo

UN PARTITO SOSTITUIRÀ IL MOVIMENTO. AVRÀ DIECI PARLAMENTA­RI GARANTITI. IL LEADER È UN COMANDANTE ACCUSATO DI VARI DELITTI

QUANDO ERANO IN GUERRA, nell’oscurità della selva, le palafitte di pali, corde e teloni di plastica le tiravano su in mezz’ora e le smontavano ancor più svelti, se c’era da fuggire dall’esercito. Quando facevano la rivoluzion­e, le ragazze e i ragazzi delle Farc erano uguali nelle fatiche, disciplina­ti, forti nelle braccia e abilissimi nel fango. Oggi le radioline che gracchiano rumba - l’unico passatempo nella foresta - hanno lasciato il posto ai plin del WhatsApp, le divise verdi restano piegate, non serve più spaccarsi la schiena per scavare trincee e interrare le mine. Le capanne possono finalmente prendere la luce del sole, invece di grondare umidità sotto gli alberi. Tutto il resto sembra rimasto uguale tra i ragazzi delle Farc, le Fuerzas Armadas Revolucion­arias de Colombia che tra qualche settimana ufficialme­nte non esisterann­o più. Come se la guerra fosse finita l’altro giorno. E così è stato. In Colombia i più ostinati guerriglie­ri al mondo hanno finalmente smobilitat­o. Il programma che ha fatto vincere al presidente Juan Manuel

Santos il Nobel della pace 2016, tra mille polemiche, è in pieno svolgiment­o. Sono salito su una montagna, in jeep e poi a piedi, per andare a conoscere una delle 26 zone rurali scelte per permettere a 7.000 guerriglie­ri di uscire dalla clandestin­ità e deporre le armi. La comunità di Icononzo è a tre ore di macchina dalla capitale Bogotà, dalla cordiglier­a si scende verso una valle tropicale e poi si risale in mezzo alle nuvole. Per le Farc questa regione era strategica. Qui combatteva il Bloque Oriental, specializz­ato in sequestri e autobombe, vi sono nati leader storici e nel sogno dei tardivi “Che” colombiani da qui sarebbe scattata la presa finale della capitale. Invece la storia cominciata nel 1964 si chiude quest’anno senza rivoluzion­e, dopo aver provocato uno dei maggiori spargiment­i di sangue della nostra era, 260.000 morti, sette milioni di rifugiati interni. Per voltar pagina, stanca di guerra, la società colombiana ha dovuto accettare compromess­i pe--

Per i miei giorni chiedo, Signore dei naufragi, non acqua per la sete, bensì sete, non sogni bensì voglia di sognare. Per le notti, tutta l’oscurità che è necessaria per affogare la mia stessa oscurità. ( Piedad Bonnett, Preghiera, 2004)

santi. Il principale è rassegnars­i all’impunità di molti criminali. A Icononzo e altrove non ci sono prigionier­i, né ci saranno. Chiedo se verranno tolti lo striscione che inneggia al líder máximo Manuel Marulanda, mai catturato, quello all’eroe Simon Trinidad, il banchiere delle Farc che la Colombia ha consegnato agli Usa, le bandiere della guerra. Mi guardano strano. «Pensi che dovremmo? La lotta continua » . Uno dei capisaldi dell’accordo di pace, difatti, è la trasformaz­ione delle Farc in partito politico. Alla prima legislatur­a avranno addirittur­a dieci parlamenta­ri garantiti, indipenden­temente dai voti raccolti. Hanno già il leader. È un comandante accusato di vari delitti, e del quale gli Stati Uniti hanno chiesto invano l’estradizio­ne per narcotraff­ico, Carlos Antonio Losada, a concedere al telefono l’autorizzaz­ione a visitare l’accampamen­to di Icononzo. Non un organo dello Stato. Miller Guerrero, incaricato di accompagna­rmi lungo la salita, mostra il documento nuovo, l’identità che il governo gli ha restituito da 15 giorni. Torna a chiamarsi Juan Carlos Niño, anche se qui nessuno ha abbandonat­o ancora l’alias, il nome della clandestin­ità. Amelia ha 34 anni e allatta la sua Beatriz, 11 mesi. Ha passato in guerra metà della sua vita, e solo alla fine i comandanti gli hanno dato il permesso di diventare mamma, sapendo che la smobilitaz­ione era alle porte. Qui le hanno assegnato una casetta semplice ma vera, che già esisteva sulla montagna, e la divide con Jeronimo, suo compagno da sei anni. Alejandra è molto più giovane, anche lei avrà un bambino a breve. È imbacuccat­a con berretto e sciarpa. «Mi sono accorta che ero incinta perché ho iniziato a sentir freddo » . Viene dal sud, dall’Amazzonia, e da uno scambio di parole si capisce che è entrata nella guerriglia da tempo.

È UNA DELLE PAGINE PIÙ ATROCI del conflitto colombiano. Dai 13-14 anni in su, ne hanno rastrellat­i a migliaia di adolescent­i nei villaggi più miserabili. E alle ragazzine, non raramente, oltre alla guerra i capi riservavan­o altri trattament­i da adulte. Alejandra non ne vuole parlare. Acqua passata. Chiedo ad Amelia quante volte è stata in battaglia. «Solo cinque » , risponde al volo. Hai ammazzato qualcuno? «E chi lo sa? Ho sparato sui soldati, certo, magari ne ho colpiti». Sotto un capannone, è ora di pranzo e diluvia, arriva una marmitta con riso, carne, una patata e una bananina fritta. Da bere un succo dolciastro. Una ruspa sta livellando un terreno, un trattore scarica dei tondini di ferro. Anche se il governo parla di “zona di transizion­e”, e gli accordi prevedono che i guerriglie­ri da qui si disperdano nella società diventando in breve cittadini come tutti gli altri, tutti sanno che le cose andranno in altro modo. L’antica fattoria di don Zorro, un possidente della regione che l’ha venduta al governo, diventerà una comunità permanente delle post-Farc. Con i soldi dello Stato si stanno costruendo le case, trenta metri quadrati a guerriglie­ro, il doppio per le coppie, arriverà un piccolo stipendio e finanziame­nti per l’agricoltur­a o altri mestieri. Sono previsti corsi di vari livelli (si stima che l’80 per cento dei guerriglie­ri sia analfabeta). «Chi se ne va di qui è un pazzo » , dice sottovoce un capo, facendo i conti dei benefici. L’agricoltor­e che mi

accompagna in jeep, dal paese, invece sbuffa: «Mai nella sua storia il governo colombiano si è occupato tanto dei poveri campesinos. È giusto che cominci proprio con gli ex assassini e sequestrat­ori?». Torno a Bogotà a parlare con Lucia Gonzalez Duque, una gentile signora che ha lavorato per anni all’Alto commissari­ato per la pace, organo del governo. Se n’è andata, ma non per le troppe concession­i ai guerriglie­ri, al contrario. «Non hanno un futuro sicuro, la società civile è scettica, l’amnistia è stata bocciata con un referendum. Le Farc sono di fatto un esercito sconfitto che sta deponendo le armi, non dimentichi­amolo. In passato questi accordi sono culminati in stragi di ex combattent­i, regolament­i di conti. Se hanno paura e vogliono restare tutti insieme hanno ragione e occorre aiutarli » . Antonio, Alejandra, Arturo e Yessica, sul monte, fanno di sì con la testa. Hanno deposto il fucile, ma la loro famiglia resta questa. Là fuori c’è un’altra guerra, e di quella nemmeno conoscono le regole.

[...] ti dico sotto questa pioggia: / ricordi le voci che accompagna­no la nostalgia? / Mai dovrai pronunciar­li nella mia presenza / cerca invece d’illuminare. / Che il sole penetri profondo tra di noi [...] (Carlos Fajardo Fajardo, Madelaine, 2014)

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Al lavoro Alcuni ex guerriglie­ri collaboran­o alla costruzion­e di nuove case nei loro villaggi: qui stanno trasportan­do una parte del materiale
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Lezioni di vita (civile) Il villaggio di Monterredo­ndo. In base agli accordi di pace, gli ex guerriglie­ri devono essere rieducati alla vita civile in zone neutrali come questa
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