48 ore a Ibiza. Help me!
La prova di resistenza, fisica e mentale, di un cronista che si è messo in testa di mescolarsi a chi balla (e si sballa) in discoteche dove la musica picchia come i reattori degli F-16 e un litro di acqua costa 60 euro
QUANDO POCHI ANNI FA, in età quindi ampiamente adulta, se non avanzata, sono partito per la Maratona delle Dolomiti con la bici da corsa (138 km, 3.800 metri di dislivello) ero meno preoccupato di quanto non sia ora. Resistere a 48 ore di movida, a Ibiza per giunta, mi spaventa più che tentare la salita al Mont Ventoux, nonostante quanto accaduto a Tom Simpson. Del resto, per tirare le sette del mattino in discoteca, non solo a Ibiza, sono molti che non resistono alla tentazione del doping. Sarà un caso? Sarebbe lungo raccontare come sono finito in questo guaio, personale e professionale. Basti sapere che una cara ma incauta amica, a una cena di redazione di 7, ha fatto capire che a me non piacciono le discoteche. Nulla di grave, se a capotavola non ci fosse stato il direttore ( Beppe Severgnini, Bsev per gli amici, ndr). «Allora sei quello giusto per un “48 ore a Ibiza”», ha sentenziato. L’amica, irresponsabile oltre che incauta, ha esultato: «Grande idea!». Ho provato a resistere, ma non c’è stato verso. Bsev mi ha spinto nel baratro con la complicità della redazione. Quando entravo, partiva il coro: “I-bi-za! I-bi-za! I-bi-za!”. Giovanni Angeli, autore delle caricature, era entusiasta. Stoicamente, ho detto: «E sia! Partirò».
- 48 ore
Eccomi a Linate, alle 12 di un torrido venerdì d’estate, in partenza per “I-bi-za! I-bi-za! I-bi-za!”. Per la cronaca, mi accompagna l’amica responsabile di tutto questo. Ma Elisabetta adora ballare, io lo detesto. Il tabellone luminoso indica l’orario di imbarco sul volo IG279 Meridiana, peraltro carissimo. In aereo, per uno strano caso del destino, ci sono due personaggi noti. Uno è Luca Rossi, che fregò Brigitte Nielsen a Sylvester Stallone negli Anni
TIRARE L’ALBA SOTTO UN MARTELLAMENTO DI DECIBEL È UN’IMPRESA CHE PUÒ NON RIUSCIRE AL PRIMO TENTATIVO
80. L’altro è Peter Gomez, direttore de ilFattoQuotidiano. it. Amano Ibiza, fin dal 1982. Ne parlano con passione e concordano su un punto: «È diventata un’isola per ricchi. Il denaro, negli anni, l’ha trasformata e si è perso molto». Appunto: che ci andiamo a fare?
- 45 ore
L’albergo, in calle Galizia, è caro e brutto. Dal balcone si vedono palazzine scrostate. Usciamo, subito! Per fortuna il centro dentro le mura è bello, e questo mi riconcilia un po’ con il luogo, se non con me stesso.
- 40 ore
Il gioco si fa duro. Avvicinandosi alla discoteca Ushuaia, la musica techno si sente battere già da lontano: stump, stump, stump. È la prima ad aprire, alle cinque del pomeriggio. Le altre attaccano a mezzanotte, ma fino alle tre ci vanno solo gli sfigati. Tutti i locali devono chiudere alle sette del mattino. Il governo, da tre anni a questa parte, ha imposto orari; anche i beach
club non possono pompare musica prima di mezzogiorno. Questo per evitare che parte del mucchio selvaggio (sbarcano in 250mila ogni weekend), tenti veglie da Guinness dei Primati ad altissimo rischio. Non tutti giovani e forti, quasi sempre aiutati da sostanze di vario genere, dopo due giorni molti ospiti cominciano a vacillare. Al terzo, crollano a destra e a manca. Quindi adesso, mal che vada, dalle sette a mezzogiorno, riposano anche loro, e riportano a casa la pelle.
- 38 ore
Mi avvicino all’ingresso, pago 60 euro, entro. Parlare diventa impossibile. Si può comunicare, se è indispensabile, solo a gesti. L’Ushuaia comunque ha un vantaggio:
è all’aperto. La musica è alta, ma non c’è rimbombo. Poi è sul mare, anche se una palizzata ne ostruisce la vista. Di fronte a un migliaio di giovani c’è un grande palco sul quale detta legge il deejay. Ogni sera se ne alternano diversi. La star della serata è Tinie Tempah. Ma noi dobbiamo andare perché ho un appuntamento.
- 35 ore
Siamo in Calle de la Virgen, al Sunrise Ibiza, locale trendy, in una zona credo trendissima: c’è un corteo continuo di mimi, ballerini, culturisti in slip adamitici, per la verità uno anche senza, e compagnia cantando. Arriva puntuale Cat Davies, una 36enne deejay di sangue mistissimo: gallese, giamaicano e siciliano. È un fiume in piena e si capisce che ama alla follia il suo lavoro e anche Ibiza. È venuta qui per la prima volta nel 1991 e adesso ci vive da quattro anni. Prima è stata alla consolle a Miami, New York, in Brasile e Germania. «È difficile spiegarti cosa si prova dal palco. In qualche modo sei tu a far ballare la gente. Io lo adoro, sento l’energia che ci trasmettiamo con la musica, ma sono io che guido». In effetti lo notavo anch’io prima, nel mio piccolo, all’Ushuaia: il deejay sul palco è una specie di sciamano elettronico. Aiutami, signorina Gatta.
- 30 ore
Arriviamo al Privilege – altri 70 euro, senza consumazione – che vanta il primato di essere la più grande discoteca del mondo, adesso forse battuta da una aperta a Dubai. Ci stanno 10mila persone. Età media 24 anni. Ragazze mediamente carine, alcune molto carine. Ragazzi mediamente bruttini, alcuni molto bruttini. Se avessi un’altra età e non rischiassi di apparire come un Briatore senza capelli, e soprattutto senza soldi, potrei
tentare la fortuna. Qualche vecchio orso marsicano, come me, si aggira anche al Privilege. Arriva sul palco, a notte ormai fondissima, il deejay Ale Zuber. Ci dà dentro di brutto con un rap misto techno. Sono le cinque, non ne posso più. Alle sei e mezza mi abbatto sul letto, vestito.
- 26 ore
Alle dieci, mio malgrado, sono sveglio. Completamente cotto, anche perché ieri sera, per reggere allo “stump stump”, ho investito un patrimonio in due gin tonic. Quando, obtorto collo, ho accettato di fare questo servizio, per l’amore che mi lega a 7, sono stato spinto anche da una curiosità personale: vedere le condizioni in cui ragazze e ragazzi escono al mattino da una discoteca. Oggi non c’è l’ho fatta. Domani non voglio subire una nuova sconfitta. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. A ballare, vedremo.
- 24 ore
Per fare riscaldamento, nel pomeriggio andiamo a vedere qualche beach club, discoteche sulla spiaggia che, come detto, possono sparare decibel da mezzogiorno. Il peggio si trova a Sant Antoni, 20 km a nord di Eivissa. È pieno di inglesi, che si aggirano bianchi come il latte, e con postumi evidenti della nottata. Molti si accasciano all’Ocean Beach. È come una gabbia, chiusa da una ringhiera. Entrare costa 40 euro, e rinuncio (il mio editore Urbano Cairo sarebbe orgoglioso di me). Sulla spiaggia di Ses Salina il Satrinka è un po’ meglio: almeno c’è un accesso al mare. Qui si è ripreso a ballare, l’età media è decisamente più alta e l’insieme è raggelante: labbra e tette rifatte non
RAGAZZE MOLTO CARINE! SE AVESSI UN’ALTRA ETÀ (E PIÙ CAPELLI) POTREI TENTARE LA FORTUNA
si contano. Una specie di escort ancheggia con quelli che temo siano i suoi due figli, di 10 e 13 anni. Anche a Elisabetta passa la voglia di ballare, che è tutto dire.
- 12 ore
L’obiettivo è ambizioso: tirare le sette all’Amnèsia, dove al sabato notte va in scena Elrow, uno show di luci e coreografie folli. Per arrivare al traguardo vivi bisogna giocare d’astuzia: andare a dormire alle 23 e svegliarsi alle quattro, come mi ha suggerito un’amica psichiatra di Milano che mi ha preparato a quest’impresa. Quando suona la sveglia mi viene la tentazione di telefonare a Bsev, svegliarlo e dirgli che pago io tutte le spese finora, ma non sono in grado di fare questo servizio. L’idea di riprendere sonno mi attrae come una bottiglia di acqua nel deserto. Dico a Elisabetta: «Dai, vai tu. Poi mi racconti». Risponde: «Ma sei scemo?».
- 10 ore
Arriviamo alle 5: ingresso 80 euro, senza consumazione. Ci sono due sale da 2.500 persone l’una. Nella prima impazza la techno, nella seconda pure. C’è una scenografia molto curata, per la verità: arriva un corpo di ballo sui trampoli, con maschere che ricordano il carnevale di Rio. Nell’altra sala ci sono acrobati, o presunti tali, appesi a elastici tipo bungee jumping: rimbalzano tra soffitto e pavimento, senza sfracellarsi, almeno per ora. Individuo una balconata da cui si dominano le sale sottostanti. Sto morendo di sete. Sogno l’acqua. La prendo, costi quel che costi. Costa 15 euro una bottiglietta da 25 cl. Questi, mi spiace per il Cav. Cairo, li metto in nota spese. Perché così costoso? Semplice. Quando ci si impasticca, e qui lo fanno in tanti, viene molta sete, come se non bastassero le sudate in pista. E far pagare 60 euro un litro d’acqua a ragazzi assetati, e pure sfatti, è barbaro. Un tavolino al privé, cioè tutta la parte a destra della galleria, costa
HO SETE. TANTA SETE. SOGNO L’ACQUA. LA COMPRO, COSTI QUEL CHE COSTI. HO DECISO: LA METTO IN NOTA SPESE
NON BISOGNA MAI LASCIARSI SCORAGGIARE, NEANCHE QUANDO VEDI CROLLARE QUELLI CHE HANNO LA METÀ DEI TUOI ANNI
3mila euro. Una bottiglia di champagne, da sei litri, non ricordo il nome della marca, 5mila. Lo scorso anno, in una sera, un arabo ha speso 90mila euro. I russi seguono a ruota, poi gli americani. Poco fa, sei addetti alla sicurezza hanno preso per braccia e gambe un ragazzo che si sentiva male e si dimenava come un ossesso. Ogni sera càpita una ventina di volte. All’uscita della discoteca, dietro al parcheggio, c’è una casetta con un medico. La metà li rimette in pista lui; gli altri proseguono per il pronto soccorso. Sono le 7.30 del mattino, sul palco sale un gruppo musicale. Lo sciamano elettronico alza il braccio destro per la millesima volta, e se ne va. Attacca la band: suona due canzoni così così. Poi basta, silenzio, senza un applauso. «Gnanca un plissè», per dirla con Enzo Jannacci. La gente defluisce, la maggior parte riesce ad andar dritto, ma c’è chi barcolla. Tra quelli che riescono a tenere la rotta si incrociano molti sguardi spiritati che in volti così adolescenti, non so perché, mi gelano il sangue. “This is the end”, cantava Jim Morrison, uno il cui carisma era superiore a quello di tutti i deejay viventi, e anche defunti.
Zero!
Siamo in aeroporto, in attesa del volo IG280 per Milano / (sempre Meridiana, sempre caro). Sono stravolto. Voglio dimenticare tutto. Ma prima devo scrivere questo pezzo folle. Se no, chi mi rimborsa?
Ringrazio Stefano per l’eroica impresa e il magnifico racconto. Volevo informarlo che per questo servizio non è previsto alcun rimborso spese. Vamos a bailar! Bsev