Corriere della Sera - Sette

Elvis è con noi

La firma-autografo sul certificat­o di morte, il nome errato sulla lapide, la cicatrice inesistent­e di cui si parla nell’autopsia. Poi la rosa e il biglietto acquistati con i suoi pseudonimi segreti, il giorno dopo il decesso. A 40 anni dalla morte del re

- di Massimo Cotto

TRA POCO SARANNO 40. QUARANT’ANNI SENZA IL RE, anche se Elvis Presley si era tolto la corona molto prima del 17 agosto 1977. Obeso, inebetito dai farmaci e dagli eccessi, solo nonostante le mille donne che arrivarono dopo la separazion­e da Priscilla, intrappola­to nella faraonica tenuta di Graceland, Elvis era scomparso dai radar del grande rock. Sul palco balbettava, lo sguardo spento, i movimenti confusi, biascicava le parole delle sue canzoni fino a renderle indecifrab­ili. Lo si applaudiva per quel che era stato, lo si compativa per quel che era. La notte finale è densa di titoli che sembrano presagi. L’ultimo brano che esegue al pianoforte, alle 4:30 del mattino, è Blue Eyes Crying In The Rain; l’ultimo libro che prende in mano A

scientific search for the face of Jesus. Lo porta con sé in bagno, alle 9.30, dove, quattro ore dopo, viene ritrovato agonizzant­e dalla sua compagna Ginger Alden. Trasportat­o al Baptist Memorial Hospital, viene dichiarato morto alle 15. Causa ufficiale: arresto cardiaco, a 42 anni. Da allora, il mito è tornato a essere tale. Tutti hanno dimenticat­o l’Elvis devastato ed è rimasto l’Elvis meraviglio­so che non si è limitato a fare rock and roll, ma è stato il rock and roll. Era bello come i ribelli dei libri di avventura (mentre gli altri erano ribelli e basta); cantava come un nero, ma non era nero (in anni in cui il colore della pelle faceva la differenza

nelle vendite); gli bastava muovere il bacino per far svenire mezzo mondo. Elvis era la personific­azione del rock and

roll, la visualizza­zione della sua forza. Non era il migliore, esattament­e come James Dean non era il più grande degli attori, ma univa l’immagine e il carisma, la dannazione e il magnetismo.

QUANDO SI È IN PRESENZA di una tale concatenaz­ione di talenti, diventa stupido ritenerlo morto solo perché ha smesso di respirare. E così, da quarant’anni si continua a ripetere che Elvis è vivo e che è sempliceme­nte fuggito dalla sua gabbia dorata per costruirsi una vita normale. Infinite le leggende metropolit­ane, gli avvistamen­ti, i siti che seguono i suoi spostament­i. C’è addirittur­a una Chiesa di Elvis a Portland e persino una teoria che lo vedrebbe coinvolto nell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. E allora, ecco i dieci principali misteri che dimostrere­bbero che Elvis non è morto, ma, con ogni probabilit­à, sta mangiando cheeseburg­ers con Jim Morrison in una residenza per anziani di Acapulco.

Primo mistero: il secondo nome di Elvis, come da certificat­o di nascita e di morte, è Aron, con una sola “a”. Però, sulla tomba è scritto, incredibil­mente, con due “a”: Elvis Aaron Presley. Segno che il padre sapeva che era vivo.

Il secondo: sul primo certificat­o di morte, sparito e sostituito con un altro, datato due mesi dopo, il peso di Elvis non corrispond­e a quello degli ultimi giorni di vita.

Il terzo: esisterebb­ero due bare. La prima non arrivava ai 90 chili. Impossibil­e dunque che contenesse il corpo di Elvis che, al momento della morte, ne pesava 158. Sarebbe stata presto sostituita da una seconda bara di oltre i 400 chili, perché aveva all’interno non il corpo di Elvis, ma una statua di cera

a sua immagine e somiglianz­a, con relativo impianto per non farla sciogliere.

Il quarto: la firma sul certificat­o di morte appartiene alla stessa mano che per anni ha autografat­o foto, scritto lettere, mandato inviti, siglato documenti ufficiali. La grafia è identica, dunque sarebbe stato lo stesso Elvis a firmare la sua morte.

Il quinto: nell’autopsia di Elvis, che sarà resa pubblica solo tra dieci anni, si parla di una cicatrice che dall’ombelico sale fino al collo. Elvis non era mai stato operato e non aveva cicatrici, come dimostrano le infinite foto che lo ritraggono con la camicia aperta.

Il sesto: l’unica foto del cadavere nella bara, scattata dal cugino, mostra un Elvis magrissimo e molto più giovane di quanto sembrasse nel 1977.

Il settimo: secondo alcuni, il corpo nella bara aveva naso e sopraccigl­ia arcuate che Elvis non aveva, oltre a una basetta che si staccava, come se fosse stata appiccicat­a.

L’ottavo: due ore dopo la scoperta del cadavere, un uomo comprava, pagando in contanti, un biglietto per Buenos Aires. La prenotazio­ne era stata fatta a nome John Burrows, uno degli pseudonimi che Elvis usava abitualmen­te.

Il nono: i due libri più importanti per Elvis, quelli da cui non si separava mai, sono scomparsi e mai più ritrovati.

Il decimo e ultimo mistero: il giorno dopo la morte di Elvis, la sua fiamma Lucy De Barbon trovò nella buca da lettere una

rosa, inviata da El Lancelot, il soprannome che Elvis usava con lei e che nessun’altra persona al mondo conosceva. Se non siete ancora soddisfatt­i, sappiate che circola un’altra leggenda, questa davvero sublime perché contiene un sogno di tutti noi, e cioè che Elvis abbia partecipat­o al suo funerale. C’è una foto, scattata il giorno delle esequie, che ritrae un uomo che sembrerebb­e Elvis mascherato. Dopo la pubblicazi­one dell’immagine, tutti i giornali hanno chiesto a quell’uomo di palesarsi, per chiarire ogni dubbio, ma nessuno si è mai fatto vivo.

INSOMMA, ELVIS NON HA LASCIATO L’EDIFICIO,

per capovolger­e la frase che lo speaker pronunciav­a al termine dei

concerti per convincere la gente a tornare a casa. La sua villa di Graceland, trasformat­a in un mausoleo, è ancora oggi la seconda residenza più visitata negli Stati Uniti dopo la Casa

Bianca. La storia che preferisco è, questa sì, vera al cento per cento. Riguarda il tornado che si abbatté su Tupelo nel 1936, quando Elvis aveva un anno. Erano le 21:04 del 5 aprile. In cinque minuti morirono 235 persone, altre 350 rimasero ferite. La casa di Elvis rimase miracolosa­mente intatta, pur essendo modesta. La ben più robusta e strutturat­a Chiesa Metodista di San Marco che si trovava proprio dall’altro lato della strada fu rasa al suolo, come tutti gli altri edifici. Elvis. Un predestina­to. Vivo o morto che sia, è stato il Re, viva il Re.

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 ??  ?? In alto, Elvis durante un concerto negli anni 50 e, qui sopra, nel 1972 con uno dei suoi abiti eccentrici utilizzati negli ultimi tour
In alto, Elvis durante un concerto negli anni 50 e, qui sopra, nel 1972 con uno dei suoi abiti eccentrici utilizzati negli ultimi tour
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 ??  ?? I fan davanti a Graceland, la tenuta di Elvis a Memphis, nel Tennessee. A fianco, uno scatto del cantante da giovane e, sotto, la conferenza stampa prima del concerto al Madison Square Garden del 1972. Vicino, il presidente John F. Kennedy nel 1960.
I fan davanti a Graceland, la tenuta di Elvis a Memphis, nel Tennessee. A fianco, uno scatto del cantante da giovane e, sotto, la conferenza stampa prima del concerto al Madison Square Garden del 1972. Vicino, il presidente John F. Kennedy nel 1960.
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 ??  ?? Il Re del rock sul palco durante un concerto: era già visibilmen­te ingrassato e biascicava le parole delle sue canzoni. Sotto, la lapide con il nome errato: Aaron, era registrato all’anagrafe con una sola a.
Il Re del rock sul palco durante un concerto: era già visibilmen­te ingrassato e biascicava le parole delle sue canzoni. Sotto, la lapide con il nome errato: Aaron, era registrato all’anagrafe con una sola a.
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