Corriere della Sera - Sette

La lunga marcia dei poeti social

Brevità, emozione, estetica: la ricetta di un post efficace. E gli ingredient­i di molta poesia. Così sui social rinasce un genere che l’editoria di carta spesso trascura chiedevano al re dei soldi (era un incontro ufficiale): “maestro, perché la ricchezza

- di Irene Soave

BIGHELLONA­VO SU FACEBOOK

e ho trovato quello che noi lettori di poesia speriamo sempre di trovare: versi che ci parlano e rimangono impressi nei pensieri. Quelli che leggete qui sopra stanno nella raccolta Il

libro dei re, scritta da Fabio Donalisio, illustrata da Davide Lippolis e stampata, mi spiegano, in poche copie, inscatolat­e come cartoline. Da ragazzina, incontri simili avvenivano in biblioteca: ci passavo i pomeriggi, cercando poesie anziché studiare. Ora queste scoperte avvengono su internet. Evviva.

LA POESIA SEMBRAVA CONDANNATA ALLA NICCHIA.

Ci sono collane storiche come la “bianca” di Einaudi e lo Specchio di Mondadori: entrambe consacrano i contempora­nei. Ci sono riviste meritorie come Poesia, pubblicata dall’eroico Nicola Crocetti. C’è, sul versante opposto, l’editoria a pagamento (anche gli aspiranti poeti sono vanitosi!). Ci sono piccoli editori che puntano sulla poesia: alcuni si ritroveran­no al festival L’importan

za di essere piccoli, dal 1° al 6 agosto. Ci sono poi circuiti poetici, diciamo, extra-editoriali. Gruppi che si trovano e leggono in pubblico: non molto noti, spesso ermetici, quasi sempre metropolit­ani. Poi, la novità.

L’HASHTAG #INSTAPOET

raccoglie su Instagram 2,5 milioni di post in più lingue: immagini di versi, spesso scritti a macchina o in grafie liceali. Ma anche versi di poeti canonizzat­i. Un fenomeno ignorato dalla critica, in cui anche molti poeti non si riconoscon­o. Negli Stati Uniti sono entrati in classifica instapoets come Rupi Kaur (@rupikaur_, 1,4 milioni di follower e 500 mila copie vendute) o Lang Leav (368mila follower, 300 mila copie e le sorelle Kardashian tra i fan). In Italia la definizion­e di “poeta social” mette insieme Guido Catalano, che però batteva i primi versi su una macchina per scrivere, e Franco Arminio, classe ‘60 (di cui scrive Iacopo Gori a pag. 94) con lo YouTuber Francesco Sole, 25 anni e 2 milioni di like. Il suo Ti voglio bene (# poesie, sic, prima postate e poi edite da Mondadori) è per qualche critico “il libro più brutto del millennio”, ma piace a molti. Arminio ha venduto oltre 15 mila copie del suo Cedi la strada agli alberi. I libri di Catalano viaggiano a 30 mila ciascuno, e i

suoi reading riempiono locali come il milanese Alcatraz.

«Negli ultimi tre anni», stima Catalano, poeta da almeno venti, «c’è una rinascita dell’interesse per la poesia. Una parte la fanno i social. Creano comunità; aiutano a scoprire se vicino a te c’è un reading; facilitano le scoperte casuali». E per chi le poesie le scrive è un nuovo modo di diffonderl­e, anche in forma acustica (come fa il poeta Lello Voce, le cui letture sono in streaming su Spotify). «Non abbiamo un distributo­re né un ufficio stampa, siamo in due-tre librerie, vendiamo soprattutt­o online», racconta Francesca Genti, fondatrice insieme all’amica Manuela Dago della piccolissi­ma casa editrice Sartoria Utopia: solo poesia, solo libri rilegati a mano, solo micro-tirature. Ma migliaia di condivisio­ni. «Molta gente ci scopre così. Però non tutta la poesia può stare su Facebook. I trovatori del Medioevo dividevano cantar leu e

cantar tost, la poesia lieve dalla poesia ermetica. Ebbene, i social sono perfetti per il cantar leu, ma sono anche un mix di porcherie e meraviglie».

NON È STRANO, QUINDI, CHE MOLTI POETI LI DISERTINO.

«Un posto dove bisogna essere sempre presenti, come Facebook, non è giusto per la poesia», spiega Donalisio. Con due soci ha fondato Nervi edizioni, operazione in controtend­enza: carta di cotone, caratteri in piombo. «E autori che scegliamo solo all’unanimità. In due anni ne abbiamo pubblicati tre. Sui social siamo quasi assenti. Di rado i poeti molto produttivi diventano poi classici; un libro si fa in dieci anni. Deve sedimentar­e. Se posti una poesia al giorno, come fai?»

BREVITÀ, EMOZIONE, ESTETICA:

sono ingredient­i di molta poesia. E anche di un buon post su Instagram. «Sui social si diffonde molto il “poetese”, un linguaggio in versi senza gusto», continua l’editrice Francesca Genti. Tra i titoli della sua Sartoria Utopia, Il nostro

amore distrugger­à il mondo, del torinese Roberto Canella. Per 10 anni ha postato le sue liriche senza firmarle sul suo Tumblr (locusta.tumblr.com). Qualche verso ha avuto una fama virale. A volte i fogli leggeri/ ti

tagliano le dita/ e vedi il sangue/ ma non la ferita (del 1998) è stata condiviso 40 mila volte. «Era un modo di fare uscire il mio lavoro dal cassetto, senza dirlo nemmeno agli amici. “Faccio il poeta” è un’espression­e un po’ così», racconta Canella. Ora c’è un nuovo termine, #instapoet. Per chi vuole usarlo, toglie dall’imbarazzo. E spinge a osare.

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L’hashtag #instapoet raccoglie su Instagram 980mila foto. #Poesia supera i 2,2 milioni. Da sinistra in senso orario, post di: @pierinho00, @ricklan, @valentinad­ieni, @virides_oculi, @la_soave (versi di Jamaica Kincaid), @edizionide­lfrisco (poesia...
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