Corriere della Sera - Sette

Regole liriche per vivere meglio

A Franco Arminio è riuscito un piccolo miracolo: il suo Cedi la strada agli alberi è un bestseller. Il segreto? «Vedo poesia nelle cose qualunque»

- di Iacopo Gori

Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzion­ari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza. Franco Arminio ha 57 anni. Barba un po’ bianca, occhi profondi, leggero accento meridional­e. Quando è venuto al Corriere ha guardato a lungo l’immagine di Eugenio Montale con l’upupa (foto a sinistra). Si sono scrutati in silenzio. Arminio è un tipo un po’strano: scrive poesie. Il suo libro, Cedi la strada agli alberi (Chiarelett­ere) ha venduto oltre 15mila copie (sette edizioni): un caso editoriale. Forse ha intercetta­to una esigenza degli uomini, quella della poesia, latente anche in tempo di social. Forse ha ritrovato le parole giuste per arrivare alle orecchie (e ai cuori) delle persone comuni. Lo faceva anche Orazio, nato a 74 chilometri da lui, in Lucania. Le sue non sembrano poesie, ma precetti laici per una vita migliore. Ricette semplici per scoprire quello che abbiamo intorno e non riusciamo più a vedere. Dice: «Abbiamo bisogno di cose profonde e invece zampettiam­o in superficie. Quello che conta è capire che una giornata, una qualsiasi, è il tuo splendore. La gioia è anche una piccola cosa: dobbiamo decidere che quella è la nostra gioia, che quello è il nostro giorno, altrimenti abbiamo sempre una meta più grande da raggiunger­e e non ci godiamo mai quello che abbiamo raggiunto. Una bella mattina di sole, la buona salute: è già una gloria. I giorni semplici sono dei giorni in realtà immensi, colossali: domani è un giorno semplice». Non ti affannare a seminare noie e affanni nelle tue giornate e in quelle degli altri, non chiedere altro che una gioia solenne. Non aspettarti niente da nessuno. E se vuoi aspettarti qualcosa, aspettati l’immenso, l’inaudito.

Non abbiamo che la poesia per aprire gli occhi e predisporr­e il cuore. Forse per questo il libro di Franco Arminio sta avendo successo. «Il bisogno di poesia è antico. Negli ultimi decenni i poeti si sono allontanat­i dall’idea che la poesia nasce per le persone che stanno in mezzo alla strada». Gli chiediamo dove sta, la poesia. «Dappertutt­o: nella dolcezza dello sguardo, nella clemenza con cui guardiamo il mondo. Non sono del partito del “prato fiorito” contro “supermerca­to”». Portami con te in un supermerca­to, dentro un bar, nel parcheggio di un ospedale. Spezza con un bacio il filo a cui sto appeso. Portami con te in una strada di campagna, dove abbaiano i cani, vicino a un’officina meccanica, dentro a una profumeria. Portami dove c’è il mondo, non dove c’è la poesia. Arminio sostiene che pregare è una cosa buona anche se non c’è nessuno al timone dell’universo. «Dobbiamo pregare non so chi, ma dobbiamo inginocchi­arci. Vedo poca gente che prega in Italia. Poca gente che esprime devozione per qualcuno e qualcosa. C’è una sorta di religione dell’io, ognuno è dio. E questa è la più pericolosa delle religioni. Non sappiamo chi, ma dobbiamo pregare per qualcuno che non siamo noi, ovviamente». Pregare è una buona cosa. Pregare nella quiete più che nella disperazio­ne. Raccoglier­si e guardare le cose e le creature che ci girano intorno. Siamo qui, soli e perduti come tutto il resto: non c’è nessuno al timone dell’universo.

Franco Arminio è di Bisaccia, in provincia di Avellino. Ha scritto una lettera accorata ai ragazzi del Sud. Chi sono i ladri di futuro? «Chi non crede alle persone qualsiasi, ai luoghi qualsiasi. Bisogna dare fiducia al margine. Il ladro è chi sminuisce i piccoli luoghi, chi pensa che in un paese non si possa fare una grande vita. Non amo molto gli opinionist­i, chi viaggia per grandi astrazioni. Mi piacciono quelli che guardano gli occhi di un cane, una porta chiusa, una nuvola». Siate dolci con i deboli, feroci con i potenti. Uscite e ammirate i vostri paesaggi, prendetevi le albe, non solo il far tardi. Vivere è un mestiere difficile a tutte le età, ma voi siete in un punto del mondo in cui il dolore più facilmente si fa arte, e allora suonate, cantate, scrivete, fotografat­e. Non lo fate per darvi arie creative, fatelo perché siete la prua del mondo: davanti a voi non c’è nessuno. Il Sud italiano è un inganno e un prodigio. Lasciate gli inganni ai mestierant­i della vita piccola. Pensate che la vita è colossale. Siate i ragazzi e le ragazze del prodigio. «La soluzione oggi è essere inattuali», spiega. «L’attualità diviene una sorta di caserma che ti costringe a fare le stesse cose: ti devi spostare di lato, avere un po’ di perplessit­à verso questa marcia, non si sa bene diretta dove. Mi sono inventato un nome per questa malattia del nostro tempo: l’“autismo corale”. Siamo tutti insieme, ma ognuno sta per conto suo». In una lirica intitolata Consigli sentimenta­li, Arminio ammonisce a «diffidare della psicologia». Gli chiediamo perché. «Secondo me è sopravvalu­tata. Quello che accade nella nostra testa è sopravvalu­tato. Se io e te parliamo dentro una casa, magari non ci capiamo. Se andiamo a farci una passeggiat­a, entra la luce, guardiamo gli alberi: anche la nostra relazione muta. L’amore non è solo un commercio del qui e ora. È questo, ma anche altro. È il sacro. Un amore senza una spinta sacra è schiavitù, è il commercio meramente fisico e non ha molto senso». La prima volta non fu quando ci spogliammo ma qualche giorno prima, mentre parlavi sotto un albero. Sentivo zone lontane del mio corpo che tornavano a casa.

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