Corriere della Sera - Sette

O.N.G. Onde. Naufraghi. Gommoni

La nostra inviata, imbarcata sulla nave Aquarius, racconta com’è difficile (e talvolta frustrante) salvare vite umane in mare

- MA S DI R TA ERAFINI N C FOTO DI ARCISO ONTRERAS

« ENOUGH IS ENOUGH. È normale che l’Italia dica basta ai migranti, state scoppiando » . Marcella Kraay ha 48 anni. Ad Amsterdam, dove è nata, non torna da parecchio tempo. Iraq, Sud Sudan, Haiti: ha vissuto e lavorato ovunque. «Una volta, in Congo, ho dovuto comprare una mucca e non sapevo come sceglierla » . Da marzo è responsabi­le della missione di Medici Senza Frontiere su Aquarius, la nave che la ong francese utilizza in collaboraz­ione con Sos Méditerran­ée per i salvataggi dei migranti di fronte alla Libia. «Godiamoci questa pace, tra poche ore qua sarà l’inferno » . Beviamo il caffè sedute nella sua cabina, tra le mappe e una pianta di edera comprata a Catania. Il Mediterran­eo, fuori dal boccaporto, è blu e caldo come solo in luglio sa fare. Craig Spencer, medico di bordo, passa a chiedere se vogliamo fare yoga sul ponte. Ma la Sar Zone, la Search and

Rescue Zone di fronte a Tripoli, quella dove dall’inizio dell’anno sono morti in più di un migliaio, non è lontana. Sotto di sé Marcella ha nove persone. Medici, mediatori culturali, un’ostetrica,un logista. Vengono da ogni parte del mondo. In questi mesi il suo team ha tirato fuori dall’acqua migliaia di esseri umani. Ha stretto loro la mano uno a uno. «Welcome on board. Benvenuto a bordo, sei al sicuro ora » . Mare calmo, mare in tempe- sta, «non puoi fare una missione come questa se non hai una motivazion­e fortissima » , dice Kraay finendo il caffè. SUL PONTE PRINCIPALE I RAGAZZI DEL TEAM di soccorso si annoiano sdraiati sui sacchi dei salvagenti, in attesa che vengano avvistati i gommoni. «Ci hanno chiamato taxi del mare, ci hanno chiesto di rispettare un codice, quasi a insinuare che stessimo facendo qualcosa di male. Ma noi quelle regole le rispettiam­o già». Haucke Mack è il capo missione salvataggi­o a bordo di Aquarius. Tedesco, 57 anni, un passato da consulente marittimo, si irrita quando sente parlare

di nuove regole. «Tenere alto il morale della squadra non è facile, anche le donazioni sono precipitat­e da quando sono iniziate le polemiche » . Divieto di sconfinare nelle acque libiche, divieto di spegnere i transponde­r, obbligo di accettare le ispezioni di polizia a bordo, divieto di fare trasbordi di migranti su altre navi. Chi non accetta le nuove regole è fuori dal mare. Quando scattano le operazioni di soccorso, Marcella e Hauck sono sul ponte di comando. Le comunicazi­oni con l’Mrcc (Maritime Rescue Coordinati­on Centre) di Roma sono serrate. È il centro di coordiname­nto italiano a decidere chi salva chi e dove andranno i migranti. «In questi mesi ci hanno accusato di comunicare con i trafficant­i. Ma è evidente che non abbiamo nessun interesse a parlare con loro. Il nostro lavoro è un altro: salvare questi esseri umani » , spiegano i due.

LE SCIALUPPE DI SALVATAGGI­O VENGONO CALATE IN ACQUA.

I ragazzi del rescue team hanno indossato i caschi e le tute d’ordinanza. Il mare è un olio. «Parlo cinque lingue e ho due master, uno in relazioni internazio­nali e l’altro in storia del Medio Oriente. Vorrei specializz­armi in negoziazio­ne dei conflitti » , racconta Seraina Eldaida, 23 anni. Madre libanese, padre statuniten­se, nel 2006 era a Beirut a trovare i parenti: ha visto gli effetti della guerra. «Sono entrata in Medici Senza Frontiere perché non mi basta quello che ho imparato sui libri. Voglio dare il mio contributo » , scandisce mentre intorno a lei tutti iniziano a correre.

Dodici ore dopo l’Aquarius ha imbarcato 860 migranti.

Di questi, più di 200 sono stati trasbordat­i dalla Vos Prudence, l’altra nave di Medici Senza Frontiere. Succede sempre così: sulla nave che tornerà verso l’Italia viene caricato il più alto numero possibile di persone («Questi viaggi costano parecchio » , sottolinea Kraay). Con il nuovo codice però non sarà più possibile perché il

passaggio di migranti da un’imbarcazio­ne all’altra viene vietato. Anche la Guardia Costiera italiana, arrivata nella Sar Zone il giorno prima, porta un gommone carico di migranti vicino ad Aquarius. All’orizzonte si alzano le colonne di fumo provenient­i dai barconi dati alle fiamme. «Cerchiamo di evitare che i trafficant­i vengano a riprenders­eli » dice Basil Fisher della squadra di soccorso. La notte, Alessandro Porro e Mohammad Taher sono di guardia per controllar­e che i migranti non inizino a litigare tra loro. «Sono in Croce Rossa come vo- lontario dal 2007, un anno fa mi hanno assunto. Ma ho scelto di venire qua per sei settimane perché volevo vedere con i miei occhi » .

TAHER, NATO A DACCA, UNA LAUREA

in mediazione culturale, è stato inviato a bordo con un compito ben specifico. «Quando si sono accorti che il numero di migranti provenient­i dal Bangladesh era sempre più alto hanno deciso di mandarmi qui per capire cosa stava succedendo » . Taher e Alessandro hanno visto i segni delle torture sui corpi dei migranti che prima di essere sbattu- ti in mare sono stati rinchiusi nei centri di detenzione dove comandano le bande armate degli Asma Boys. «Anche gli uomini iniziano a raccontare di essere stati vittime di abusi sessuali. Vengono stuprati perché chiamino a casa e si facciano mandare i soldi » .

IL GIORNO DOPO SU AQUARIUS

sono tutti stanchi. Il lavoro da fare è enorme. Il pediatra Tim Harrison, sulla sessantina, rischia di morire soffocato perché gli è andato di traverso qualcosa durante la colazione. Dopo che Tim è stato soccorso l’umore torna buono, il

salvataggi­o è andato bene, anche i ragazzi del Camerun caduti in acqua da un gommone si sono salvati. Nel container dove vengono messi i corpi in caso di decesso non c’è nessuno. Da Roma comunicano a Marcella e Hauck il porto di destinazio­ne e di sbarco. Si va a Brindisi, tutti anelano una birra ghiacciata. Al tramonto, Craig tira fuori il banjo, Seraina canta, le donne nigeriane nello shelter intonano gospel per ringraziar­e Dio. Un branco di delfini danza vicino ad Aquarius. « Mi fa rabbia pensare che queste persone finiranno nelle mani di un’altra mafia » . Rocco Aiello, 40 anni, conosce bene il mare: è originario di Paola, in Calabria, è stato sui pescherecc­i. In questi viaggi ha aiutato centinaia di persone a lasciarsi l’inferno della Libia alle spalle. «Molti di loro non sanno che ad aspettarli in Italia c’è qualche pappone o uno sfruttator­e » . La catena del traffico umano non conosce bar- riere. Libia, Italia, verso nord. Per ogni passo che muovono, i migranti devono pagare: la catena dello sfruttamen­to non finisce mai. «Ma di sicuro stanno meglio in Italia che in Libia » , dice Alain Fredonic, 47 anni, della Martinica. Quando Aquarius attracca al porto di Brindisi, inizia il giro di saluti. Difficile non commuovers­i mentre Mohamed, 7 anni, attraversa la passerella e si incammina verso il capannone dove verrà schedato e dove gli verranno prese le impronte digitali. L’ultimo che salutiamo è Nick Romaniuk, di inverno lavora sulle petroliere, d’estate fa il volontario. Ci rivedremo? «Questa squadra è come una famiglia: non importa in quale parte del mondo sei, quando ti chiama corri » .

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti arrivederc­i fratello mare / mi porto un po’ della tua ghiaia un po’ del tuo sale azzurro / un po’ della tua infinità e un pochino della tua luce e della tua infelicità. Ci hai saputo dir molte cose sul tuo destino mare / eccoci con un po’ più di speranza eccoci con un po’ più di saggezza e ce ne andiamo come siamo venuti / arrivederc­i fratello mare. ( Arrivederc­i fratello mare, di Nazim Hikmet, poeta turco, 1901 - 1963)

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 ??  ?? IL SONNO CHE UNISCE La prua dell’Aquarius con i migranti protetti da teli di alluminio; a destra, migranti e volontari a riposo
IL SONNO CHE UNISCE La prua dell’Aquarius con i migranti protetti da teli di alluminio; a destra, migranti e volontari a riposo
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