PASSAPAROLA
L’amore al tempo dei telefonini. Una profezia di Moravia
LA NOIA DI ALBERTO MORAVIA,
pubblicato la prima volta nel 1960 con incredibile successo e molto scandalo, è ancora un romanzo modernissimo. Bompiani lo ripubblica nella collana “Classici contemporanei” corredandolo, tra l’altro, della recensione di Eugenio Montale al romanzo e di un racconto, Valérie, che è una variazione sul tema della Noia. In
Valérie c’è qualcosa di profetico che ci riguarda da vicino. Raccontando dei due protagonisti del racconto (un lui e una lei), Moravia scrive una frase che suona come un presagio: «Dunque, pensai, finiremo così: ai due capi di un filo telefonico senza neppure vederci». È la prefigurazione dell’amore al tempo dei telefonini e il solo particolare da correggere nella scena immaginata dallo scrittore è la presenza del filo del telefono, ma chiedere a Moravia di indovinare anche l’avvento del wi-fi forse sarebbe chiedere troppo. Il protagonista della Noia (che racconta in prima persona) è Dino, 35 anni, sedicente pittore (in realtà figlio unico di madre vedova molto ricca). L’incipit del romanzo parla chiaro sul suo talento pittorico: «Ricordo benissimo come fu che cessai di dipinge- re». Segue la scena in cui l’uomo, armato di un coltellino, fa a brandelli la tela che stava dipingendo. È un’action
painting con la quale probabilmente Moravia intese omaggiare (sbeffeggiare?) i famosi tagli di Fontana, totem dell’arte novecentesca. Nel prosieguo del romanzo Dino si innamora della scafatissima (ma in maniera inconscia, cosa che la rende ancora più misteriosa) diciassettenne Cecilia, nella quale tutti videro all’uscita del libro una citazione di Lolita, la famigerata ninfetta di Nabokov. Cecilia è stata la modella (in verità l’amante) di Balestrieri, il
pittore vicino di pianerottolo di Dino, un sessantatreenne quasi maniaco sessuale (morirà proprio a causa dei suoi eccessi amorosi). Dino, che è un pittore astratto, detesta Balestrieri perché insiste con il figurativo, ma con il procedere della storia si identificherà sempre di più con lui. Cecilia tira scemo, come si direbbe oggi, l’ex pittore. Lei ha un fidanzato, un attore sfigatissimo, e non vuole lasciarlo. Non vuole nemmeno legarsi troppo a Dino e rifiuta tutto quello che lui le offre: matrimonio, villa sull’Appia, Jaguar, permesso di tenersi l’amante attore e il patrimonio di famiglia.
La noia superò le centomila copie in poche settimane e vinse il Premio Viareggio. Ispirò un film, anch’esso al centro di accese polemiche, soprattutto a causa della bellissima e giovanissima Catherine Spaak che faceva Cecilia (scelta di casting inoppugnabile). La scena, sia nel romanzo sia nel film, che destò scalpore ed entrò nell’immaginario collettivo degli italiani è quella in cui Dino porta Cecilia nella camera da letto di sua madre, la mette nuda sul letto e la ricopre dalla testa ai piedi, a mo’ di lenzuola, con banconote da diecimila lire. Poi fanno sesso come se fosse la prima e ultima volta nel mondo. È una scena tuttora potente anche se ricorda un po’ Paperon de’ Paperoni quando si tuffa tra i suoi dollaroni.
C’È UNA COSA CARINA
ancora da dire. Montale nella recensione sul Cor
riere risparmiò descrivendo la scena di Cecilia nuda coperta di banconote e scrisse che si trattava di tagli da mille e non da diecimila lire (refuso? Variazione tra testo in bozza e testo pubblicato? Riflesso condizionato sparagnino ligure? ). Ultima cosa, la noia di cui soffre Dino e di cui parla diffusamente Moravia (forse anche troppo) è probabilmente quella che oggi chiamiamo depressione. Più di mezzo secolo dopo, La noia resta un bel romanzo.