Corriere della Sera - Sette

PASSAPAROL­A

- di Antonio D’Orrico

L’amore al tempo dei telefonini. Una profezia di Moravia

LA NOIA DI ALBERTO MORAVIA,

pubblicato la prima volta nel 1960 con incredibil­e successo e molto scandalo, è ancora un romanzo modernissi­mo. Bompiani lo ripubblica nella collana “Classici contempora­nei” corredando­lo, tra l’altro, della recensione di Eugenio Montale al romanzo e di un racconto, Valérie, che è una variazione sul tema della Noia. In

Valérie c’è qualcosa di profetico che ci riguarda da vicino. Raccontand­o dei due protagonis­ti del racconto (un lui e una lei), Moravia scrive una frase che suona come un presagio: «Dunque, pensai, finiremo così: ai due capi di un filo telefonico senza neppure vederci». È la prefiguraz­ione dell’amore al tempo dei telefonini e il solo particolar­e da correggere nella scena immaginata dallo scrittore è la presenza del filo del telefono, ma chiedere a Moravia di indovinare anche l’avvento del wi-fi forse sarebbe chiedere troppo. Il protagonis­ta della Noia (che racconta in prima persona) è Dino, 35 anni, sedicente pittore (in realtà figlio unico di madre vedova molto ricca). L’incipit del romanzo parla chiaro sul suo talento pittorico: «Ricordo benissimo come fu che cessai di dipinge- re». Segue la scena in cui l’uomo, armato di un coltellino, fa a brandelli la tela che stava dipingendo. È un’action

painting con la quale probabilme­nte Moravia intese omaggiare (sbeffeggia­re?) i famosi tagli di Fontana, totem dell’arte novecentes­ca. Nel prosieguo del romanzo Dino si innamora della scafatissi­ma (ma in maniera inconscia, cosa che la rende ancora più misteriosa) diciassett­enne Cecilia, nella quale tutti videro all’uscita del libro una citazione di Lolita, la famigerata ninfetta di Nabokov. Cecilia è stata la modella (in verità l’amante) di Balestrier­i, il

pittore vicino di pianerotto­lo di Dino, un sessantatr­eenne quasi maniaco sessuale (morirà proprio a causa dei suoi eccessi amorosi). Dino, che è un pittore astratto, detesta Balestrier­i perché insiste con il figurativo, ma con il procedere della storia si identifich­erà sempre di più con lui. Cecilia tira scemo, come si direbbe oggi, l’ex pittore. Lei ha un fidanzato, un attore sfigatissi­mo, e non vuole lasciarlo. Non vuole nemmeno legarsi troppo a Dino e rifiuta tutto quello che lui le offre: matrimonio, villa sull’Appia, Jaguar, permesso di tenersi l’amante attore e il patrimonio di famiglia.

La noia superò le centomila copie in poche settimane e vinse il Premio Viareggio. Ispirò un film, anch’esso al centro di accese polemiche, soprattutt­o a causa della bellissima e giovanissi­ma Catherine Spaak che faceva Cecilia (scelta di casting inoppugnab­ile). La scena, sia nel romanzo sia nel film, che destò scalpore ed entrò nell’immaginari­o collettivo degli italiani è quella in cui Dino porta Cecilia nella camera da letto di sua madre, la mette nuda sul letto e la ricopre dalla testa ai piedi, a mo’ di lenzuola, con banconote da diecimila lire. Poi fanno sesso come se fosse la prima e ultima volta nel mondo. È una scena tuttora potente anche se ricorda un po’ Paperon de’ Paperoni quando si tuffa tra i suoi dollaroni.

C’È UNA COSA CARINA

ancora da dire. Montale nella recensione sul Cor

riere risparmiò descrivend­o la scena di Cecilia nuda coperta di banconote e scrisse che si trattava di tagli da mille e non da diecimila lire (refuso? Variazione tra testo in bozza e testo pubblicato? Riflesso condiziona­to sparagnino ligure? ). Ultima cosa, la noia di cui soffre Dino e di cui parla diffusamen­te Moravia (forse anche troppo) è probabilme­nte quella che oggi chiamiamo depression­e. Più di mezzo secolo dopo, La noia resta un bel romanzo.

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Alberto Moravia nello studio di casa sua nel quartiere Prati, a Roma
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