Corriere della Sera - Sette

INTERVISTA BARRICATA

Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, parla di cibo, ricordi, visioni politiche e imprendito­riali

- di Vittorio Zincone foto di Massimo Sestini

Nella tenuta Fontafredd­a, che acquistò su consiglio del padre Paolo, il patron di Eataly passeggia ricordando la nascita del gruppo («Fosse stato per Carlin Petrini si sarebbe chiamato Vatel») e annunciand­o querele contro chi lo diffama. Poi spiega i progetti per il futuro. Da Fico, la «Disneyland del cibo», al grande sogno: il Pisello Verde

MENTRE CAMMINA tra un faggio rosso e una sequoia secolare avverte il fotografo: «Svelto a scattare che con la pancia in dentro ho un’autonomia di otto secondi». Doppio Binario in Langa, nella tenuta Fontanafre­dda, tra cantine reali, grotte-frigorifer­o e vigne magiche con Oscar Farinetti. Nel suo fortino eno-gastronomi­co, dove regnano nebbiolo e tartufi, l’imprendito­re è incontenib­ile: gioca allo scolaretto tra i banchi della sala conferenze della sua fondazione, spiega che il sistema più efficace per migliorare è copiare dai migliori, istruisce una coppia di turisti sul metodo classico con cui produrre champagne, spilla barolo da botti di cemento, camminando tra i filari srotola le virtù del dissuasore sessuale per i parassiti dell’uva: «In pratica li facciamo godere ma impediamo loro di riprodursi. Geniale!». Gli cito un paio di “farinettat­e” dell’ultimo periodo: nel libro

Ricordiamo­ci il futuro ha scritto che bisogna porsi come obiettivo quello di salvare il mondo e di ridistribu­ire la ricchezza. Scherzo: «Sembra una frasetta da aspirante miss Italia». Replica: «E vabbè, mi sento burino come una miss di provincia». Farinetti non ama gli snobismi, non ama la cultura del lamen-

to, non ama l’eccesso di malizia rancorosa (soprattutt­o da parte dei giornalist­i): «Si respira una caduta di fiducia preoccupan­te. Gli italiani sono molto meglio di come vengono dipinti. I miei preferiti sono i ventenni: perché sono nati nella merda e sanno di doversi arrangiare con una buona dose di ottimismo».

DA PADRE-FONDATORE DI EATALY è l’alfiere commercial­e dello slowfoodis­mo: il movimento creato da Carlin Petrini che da anni sponsorizz­a cibo

“buono, pulito e giusto”. Ha aperto negozi in tutto il mondo: Asia, America, Russia. Spiega: «Fuori dall’Ue e dagli Stati Uniti, Eataly è diventato un franchisin­g». Appena gli elenco le magagne che gli vengono rinfacciat­e, Farinetti sbuffa: «Solo citarle fa pensare che siano vere e invece sono tutte falsità». La corsia preferenzi­ale per l’appalto Expo, le fiduciarie, i debiti, i dipendenti sottopagat­i con contratti anomali, le perquisizi­oni di alcuni impiegati a Bari. «Balle. E io ci sto pure male. Non sono uno di quegli imprendito­ri capitalist­i che se ne sbatte dei lavoratori. Ho amici che leggendo le menzogne di certi giornali mi chiedono: “Ma perché tratti male i dipendenti?”. È assurdo. Per me è impensabil­e rubare. E considero rubare anche chiedere un favore a un politico». Conclude: «Posso commettere errori, ma mai in cattiva fede. In Italia ho duemila dipendenti ben pagati. Chiedete a loro. Chiedete agli allevatori della Granda, specie sublime di mucche, a cui pago la carne il 31 per cento in più del prezzo di mercato…». Farinetti è convinto che gli attacchi nei suoi confronti siano partiti quando ha cominciato a dire che gli piace Renzi. Annuncia:

«Gli italiani sono meglio di come vengono dipinti. I miei preferiti sono i ventenni: sono nati nella merda e sanno di doversi arrangiare con una buona dose di ottimismo»

«A settembre faremo una conferenza stampa in cui chiariremo punto per punto. Nel frattempo potrebbe partire qualche querela». Lo invito a evitare le querele contro i giornalist­i, perché hanno il sapore dell’intimidazi­one. Insiste: «Non posso ritirare quelle contro chi ha scritto cose gravi su mio padre». Il padre di Farinetti, il comandante Paolo, partigiano, ricorre più volte in tre ore di conversazi­one. È lui che ha suggerito a Oscar di comprare la tenuta di Fontanafre­dda dismessa nel 2007 dal Monte dei Paschi di Siena. «Mi disse: “funsà nan scapé”, non facciamoce­la scappare”. È lui che lo ha portato allo juventinis­mo e al socialismo. «Mio padre era più bravo di me, ma decisament­e meno fortunato». Meno fortunato? Perché? «Costruì l’investimen­to di Unieuro in un periodo sfortunati­ssimo: alla fine degli anni Sessanta. L’inflazione in poco tempo crebbe sopra il 20 per cento, il costo del denaro e gli interessi da pagare erano alle stelle. Andammo vicini al fallimento. Il momento più bello della giornata erano le cinque del pomeriggio, quando le banche chiudevano». Ci spostiamo dal bosco dei pensieri ai sotterrane­i che ospitano le cantine dove è nato il barolo. Su un muro di mattoni c’è una targa: «In questo luogo il 26 luglio 1986 si è tenuto il congresso di fondazione dell’Associazio­ne Arcigola dal quale avrebbe avuto origine SlowFood». Lei nel 1986 era qui con Carlin Petrini? «No, ero in piena evoluzione Unieuro. Con Petrini ci frequentav­amo da ragazzi, poi abbiamo cominciato a collaborar­e dopo il 2000». Lei gli sottopose il progetto di Eataly. «Fu subito entusiasta. Ma non gradiva il nome anglo- fono. Gli dissi: “Tu mica hai chiamato il tuo movimento ‘Cibo Lento’”! Mi suggerì di battezzarl­o con il nome di Vatel, lo chef di Luigi XIV. Non gli diedi retta». Unieuro aveva uno spot tv leggendari­o con Tonino Guerra che diceva al telefono: «Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita». Eataly… «Eataly non fa spot in tv. Però qualche anno fa, dopo aver passato una giornata memorabile con Tonino nell’Eataly di Torino, gli chiesi di trovare una frase per descrivere che cos’è Eataly». Che cosa le suggerì il poeta? «All’inizio nulla. Poi dopo una settimana mi chiamò e mi disse: “Ce l’ho: Eataly è quel posto dove trovi quello che non cercavi”. Prima o poi userò questo slogan». Farinetti si arrampica su una collina gonfia d’uva. Indica una piccola stazione meteo. Dice: «Il futuro dell’agricoltur­a è l’abbinament­o tra tecnologia e tradizione». Sostiene che dieci anni di studio e dieci di Eataly gli abbiano fatto capire il valore della terra e dei mestieri di chi la lavora. Si gira verso un casale diroccato: «Lì ci farò delle suite». Gli domando perché

«Su duemila dipendenti di Eataly in Italia, 238 sono extracomun­itari. E abbiamo trenta rifugiati politici che si sono integrati benissimo»

alla testa di alcuni filari siano state piazzate delle sculture di pietra tribali. Risponde: «Sono il passo oltre il bio-dinamico». In che senso? «I nostri antenati, le nostre nonne, avevano riti propiziato­ri per scacciare le gelate, la grandine o la malora. Ho scoperto da poco che qui si mettevano queste sculture. È la magia in agricoltur­a, il magismo. E allora ho deciso di riprodurle e di metterle a protezione di una vigna. La Vigna Magica. Sarà anche il nome del vino che ne verrà fuori». L’imprendito­re mi vede scettico. «Le assicuro che il vino di questa vigna è più buono». Sorride: «Bisogna crederci. È un vino biologico che va oltre la retorica del biodinamis­mo. La suggestion­e è importante». Farinetti è così. La narrazione per lui è centrale. Spiega: «Ogni dieci anni cambio mestiere». Ora vuole aprire Fico a Bologna. «La Disneyland del cibo. Voglio portarci sei milioni di personesta­re poi all’anno.nella provinciaC­on tre italiana milioni dovedi turistisi produconod­a smileccorn­ie da sogno». Sei milioni non sono pochi. Serviranno infrastrut­ture… «Ce la faremo. A New York abbiamo creato uno degli spazi più visitati d’America. Fico comunque fa ancora parte della galassia Eataly. Il mio progetto per il futuro è Green Pea». Il pisello verde? «Esatto. Il target poetico è il rispetto. Vorrei che comportars­i bene e rispettare il pianeta diventasse una cosa figa, un piacere, e non un dovere. Cioè: se faccio la differenzi­ata cucco di più». Non mi ha ancora detto che cosa dovrebbe essere Green Pea. «Le ho spiegato il nocciolo. Tutte le mie idee imprendito­riali sono come le pesche: hanno un nocciolo che sarebbe il target poetico, la polpa che rappresent­a il desiderio del pubblico e la pelle che è il marketing. Green Pea sarà il palazzo più bello del mondo, il più sostenibil­e, quindicimi­la metri, tutto di legno…». Un luogo di educazione al rispetto per il pianeta… «Educazione? Fermi tutti. Venderemo. Venderemo vestiti prodotti con cotone organico, energia e consulenze sul risparmio energetico, auto e bici elettriche e pezzi di arredament­o. Tutti griffati con il pisello verde. Chi non avrà addosso qualcosa con il pisello verde sarà uno sfigato. Spendo tutto quello che ho, non me ne frega niente. Mia moglie mi ha detto: “Ma torneremo poveri”. E anche se fosse? Ci siamo nati poveri». Dove sarà il Palazzo del Pisello Verde? «A Torino. La città più creativa d’Italia. Ho già parlato con la sindaco Appendino». Come ha reagito? «Benissimo. Mi ha chiesto di raccontare il progetto ai suoi 24 consiglier­i del M5S». Farinetti sulla graticola pentastell­ata. «È piaciuto molto anche a loro». Ci infiliamo di nuovo nei sotterrane­i gonfi di botti.

Dopo venti minuti che parliamo si spegne la luce. Farinetti: «È una tecnica che uso con le ragazze, ahah. Scherzo eh, sono sposato da 39 anni con la stessa donna che adoro». Quando riemergiam­o il patron di Eataly indica una gigantogra­fia appesa fuori dall’ingresso di un ristorante: «È Emanuele Alberto Mirafiori, figlio illegittim­o di Vittorio Emanuele II e padre sviluppato­re dell’azienda vinicola di Fontanafre­dda. Qui è vestito da Bacco. Vi ricorda qualcuno?». Effettivam­ente assomiglia molto a Matteo Renzi. Lei è ancora renziano? «La parola “renziano” non l’ho mai sopportata, perché dà l’idea della tifoseria. Renzi mi piace ancora molto: è uno che si sveglia alle 6,30 del mattino e cerca soluzioni». Romano Prodi, Dario Franceschi­ni e Walter Veltroni hanno cominciato a bacchettar­lo. «Lo dicono alcuni titoli di giornale a cui non darei troppo ascolto. Piuttosto devo dire che un bel tema di cui parlare è Giuliano Pisapia, lo stimo molto». Lo vorrebbe alleato di Renzi? «Mi piacerebbe da pazzi: Giuliano e Matteo insieme». Chi dovrebbe fare il premier? «Di premier ne abbiamo uno che non è affatto male: Paolo Gentiloni. Oggi sono infuriato con il Parlamento che non riesce a far passare una legge come lo Ius Soli, con quelli che raccontano notizie false per alimentare la paura dello straniero. Si dovrebbero fare letture pubbliche di Furore, il capolavoro di John Steinbeck. Lì si capisce tutto: non si può fermare chi viene dalla fame e dalla guerra. I muri e i blocchi navali non servono». Le diranno: vuole gli immigrati? Se li prenda a casa sua. »Risponderò: su duemila dipendenti di Eataly in Italia, 283 sono extracomun­itari. E abbiamo trenta rifugiati politici che si sono integrati benissimo».

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LA TENUTA DEL RE Fontafredd­a ha una superficie di 54 ettari. Faceva parte del patrimonio privato di Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna dal 1849 al 1861
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