Corriere della Sera - Sette

MACCHINE DEL TEMPO

- ricordi pilotati da Stefano Rodi

l tè nel deserto di Salvatores

IN SINTESI: GABRIELE SALVATORES, SENZA AUTO, non sarebbe diventato Gabriele Salvatores. O almeno, di sicuro, non avremmo visto alcuni dei suoi film che, sulle quattro ruote, hanno girato parecchio. Non a caso i road movie tornano di frequente nella sua produzione. A cominciare da Marrakech Express. «Eravamo in pieno deserto, non c’era nulla. Stavamo facendo un sopralluog­o, con la Volvo di Diego Abatantuon­o e guidava lui». A un certo punto, un bambino, su una collinetta, fa segno di raggiunger­lo e, con un misto di parole e gesti, dice che a casa sua li stanno aspettando per offrire un tè. «Era una scena surreale e incomprens­ibile. È salito con noi e ci ha guidato a una tenda, dove suo padre in effetti ci ha offerto il tè. Noi gli abbiamo chiesto come poteva sapere che saremmo arrivati e lui ci ha risposto che non lo sapeva affatto ma, siccome lì non si vedeva mai nessuno, aveva deciso di invitarci». L’auto per il regista «è un luogo unico: chiuso, ma in movimento». Quando guida, ascolta musica. Il genere dipende dal film che ha in testa. Il primo ricordo di auto non è con lui alla guida. Risale a molto anni prima. Da bambino, fine anni 50: «Eravamo sulla 1100, partiti per le vacanze. Guidava mio padre e mia mamma era seduta di fianco a lui, io e mia sorella dietro. Io dormivo e mi sono svegliato all’improvviso, perché con l’auto abbiamo urtato un motoclista sbucato da un incrocio senza rispettare la precedenza. L’ho visto per terra. Non si era fatto male ma quell’episodio me lo ricordo bene: è stata la prima volta nella mia vita nella quale ho capito che anche mio padre poteva fare qualcosa di sbagliato. Fino a quel momento non l’avevo mai preso in consideraz­ione».

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