Corriere della Sera - Sette

Nemmeno Agatha Christie aveva pensato a una detective che indaga in coma

- ANTONIO D’ORRICO

AMBER REYNOLDS lavora in una trasmissio­ne radiofonic­a di successo, ma non va d’accordo con Madeline, la stella del programma, e rischia il licenziame­nto. Non va meglio nella vita privata. Paul, il marito, è uno scrittore che ha sfondato con il primo libro, ma si è piantato sul secondo. Ciliegina sulla torta, Amber è in ospedale in coma dopo un misterioso incidente stradale. Era da sola? Guidava lei? L’unica a saperlo è Amber stessa, ma non può parlare né comunicare in altri modi. Nel dormivegli­a, cerca di ricostruir­e la settimana di Natale in cui la sua vita è crollata. Ricorda che ha cominciato a nutrire sospetti sui rapporti tra suo marito e sua sorella, a vedere segnali infausti dovunque. Un giorno ha preso una bibita dal frigo. Niente di speciale. Eppure: «Quando sollevo la linguetta, la lattina sibila come se volesse rivelarmi un segreto». Subito dopo un pettirosso sbatte contro il vetro della finestra in cucina e muore. Reazione di Amber: «Una volta, un’amica mi aveva detto che i pettirossi sono i morti che tornano con un messaggio. Mi chiedo che messaggio potrebbe essere, e mi accorgo di avere la pelle d’oca».

OGNI PICCOLA BUGIA è il romanzo d’esordio di Alice Feeney che si occupa di arte e intratteni­mento alla Bbc. Come avrete capito ha fatto tesoro di Hitchcock e ha imparato quanta paura sanno destare i volatili se usati al momento giusto. D’altra parte, in antico non si cercava di cogliere presagi dal volo degli uccelli? Alice racconta che ha imparato come si fa un romanzo alla Faber Academy, la nota scuola di scrittura in Bloomsbury (difficile trovare una location più suggestiva del più letterario dei quartieri londinesi). Effettivam­ente il tempo che ha passato alla Academy della casa editrice Faber and Faber non è stato tempo

buttato via. Anche se un’impronta scolastica permane nello stile della Feeney. Dopo la grande stagione dei giallisti scandinavi, del noir venuto dal freddo, adesso sono ritornati a dominare la scena del thriller i maestri inglesi. Si tratta quasi esclusivam­ente di autrici, da B.A. Paris a Shari Lapena, a Paula Hawkins, e non sono proprio delle maestre. Le potremmo chiamare pronipotin­e di Agatha Christie, ma stento a credere che la Regina del giallo si sarebbe riconosciu­ta in una di loro. Ci sono alcune differenze fondamenta­li tra Agatha e le sue (presunte) eredi. Una di fondo riguarda le condizioni di salute del reo. I colpevoli di questi nuovi gialli inglesi sono quasi sempre malati, afflitti da spettacola­ri turbe mentali. Più che gialli sembrano psicodramm­i. L’assassino nel giallo classico non è una persona che agisce su spinta patologica, ma è mossa da desideri comuni (l’avidità, l’amore) che fanno parte della vita di tutti e sono portati alle estreme conseguenz­e. Tutti possiamo essere assassini, dice Agatha Christie, diventarlo o meno dipende dalle situazioni. Ora invece l’assassino è sempre uno spostato, un tipo morboso. Il mito dei serial killer ha ospedalizz­ato per sempre la figura dell’omicida? Un’altra differenza sta nella mancanza di leggerezza (pur nella tragicità del genere). Il giallo classico inglese è anche la commedia all’italiana degli inglesi, un modo per raccontare i vizi nazionali, i tic sociali. Nel nuovo giallo inglese, invece, tutto è psicologia, ed è una psicologia clinica. Alice Feeney è comunque più brava della celebratis­sima Hawkins. La trovata che regge il libro (l’investigat­rice in coma) mi pare una novità assoluta. Però resta molto più bello, malgrado siano passati quasi cento anni, L’assassinio di Roger Ackroyd della Christie. Le nuove gialliste hanno tanta strada da fare ancora.

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In Inghilterr­a è il momento delle pronipotin­e di Agatha Christie, la Regina del giallo (ma a lei piacerebbe­ro?)
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