Corea del Nord: la soluzione è militare?
«Per risolvere la crisi l’unica ipotesi è un intervento armato. Ma deve occuparsene la Cina, che sarebbe incentivata a muoversi solo se gli Usa fossero davvero sul punto di attaccare», sostiene il giornalista inglese. «Nonostante il linguaggio bellicoso, l’America vuole essere prudente. L’importante è non fare errori di valutazione», replica il politologo italiano Sì Bill Emmott
A MIO PARERE QUELLA MILITARE è l’unica soluzione alla crisi nucleare che ha come protagonista la Corea del Nord. Attenzione, però, a intervenire non devono essere gli Stati Uniti, come molti ipotizzano, bensì la Cina, alleato e protettore di Pyongyang, l’unico Paese che potrebbe davvero prenderne il controllo e portare il suo arsenale nucleare in sicurezza. La diplomazia potrà forse riuscire a contenere la situazione, come ha fatto negli ultimi trent’anni, ma non risolverla definitivamente. Se le circostanze non si deteriorano ulteriormente penso che le probabilità che la Cina scelga di agire in questo senso si aggirino intorno al 20 per cento. Se però apparisse evidente che l’America sta per sferrare un attacco, allora a mio avviso la possibilità che Pechino si mobiliti con le sue truppe per evitarlo diventerebbe assai elevata. Finché Kim Jong-un si limita ai test, per quanto aggressivi, non credo che gli Usa agiranno con un’offensiva bellica, per quanto Donald Trump sia imprevedibile. Nel caso in cui la Corea del Nord dovesse lanciare un qualsiasi tipo di attacco verso Giappone, Corea del Sud, o verso un territorio americano, le cose cambierebbero. In ogni caso la situazione è seria e non va presa alla leggera. E speriamo che soprattutto non la prenda alla leggera la Cina.
No Paolo Magri
NON C’È SOLUZIONE MILITARE alla crisi con la Corea del Nord, ed è anche su questo che scommette il leader Kim Jong-un nelle sue ripetute provocazioni agli americani e alla comunità internazionale. Nonostante il linguaggio bellicoso usato da Trump, il dittatore conta sulla consapevolezza americana delle conseguenze che avrebbe un attacco preventivo – anche selettivo – a obiettivi sensibili del regime. Pur nell’ipotesi che la Corea sia ancora priva della tecnologia necessaria per un’offensiva nucleare, nel caso di un’incursione militare americana i nordcoreani sarebbero comunque in grado di reagire, immediatamente, con armi convenzionali che potrebbero colpire la Corea del Sud (a partire da Seul), gli oltre 30mila soldati statunitensi lì stanziati e il Giappone: uno scenario inquietante, che invita l’amministrazione alla cautela. Ma è importante comprendere la fragilità della scommessa di Kim: agisce nella convinzione che gli americani lo considerino (ancora) un giocatore razionale, non intenzionato a portare le sue minacce alle estreme conseguenze e in quanto tale da non provocare con inutili e pericolosi interventi militari. Se così non fosse, saremmo di fronte a un suo grave errore di valutazione, simile a quelli che portarono allo scoppio delle grandi guerre del ’900.
Bill Emmott, 61 anni, ex direttore dell’Economist, ha pubblicato a maggio Il destino dell’Occidente (Marsilio) Paolo Magri, 57 anni, è direttore dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano