Corriere della Sera - Sette

Quanto saresti bella Roma (se fossi un po’ meno cinica)

- di Giuseppe Di Piazza

Dopo 17 anni a Milano torno a vivere nella Capitale. E la trovo imbrigliat­a in una sequela indegna di assurdità. Ma c’è un modo per recuperare la città perduta: prima guardarla, perché è meraviglio­sa. E poi chiudere gli occhi

« TI DIVERTIRAI, CREDIMI » . C’ho creduto. E ora mi guardo intorno e cerco di ricordarmi che cosa significhi la parola divertimen­to. Faccio il giornalist­a da quando in tasca avevamo solo i gettoni telefonici, fate voi i conti. E nella mia lunga carriera ho vissuto sarabande di adrenalina ed emozioni. Mi sono occupato di mafia e di belle donne, di nuova economia e di vecchi vizi, di delitti e di castighi. Non mi lamento. E poi lo sapete: si crede sempre a ciò che si vuole, anche quando sappiamo che non ci sarà paradiso, quando l’esperienza, con la sua vocina, ci sussurra di scappare a gambe levate. Invece no. Io c’ho creduto: ho preso il treno e sono tornato dopo 17 anni a lavorare a Roma. Avevo lasciato la Capitale nel 2000, lustra come una vetrina di Dolce e Gabbana. Era l’anno del Giubileo, ma soprattutt­o era il settimo anno di Rutelli sindaco. La sua amministra­zione aveva restituito luce e orgoglio alla città dopo gli anni di Tangentopo­li. Aveva fatto funzionare i bus, creato le metropolit­ane di superficie, progettato l’Auditorium, raccolto l’immondizia, illuminato le strade... Vivevo lì da 16 anni, lavoravo al Messaggero, e dalla mia scrivania vedevo ogni mattina, attraverso i vetri, a destra il Cupolone e a sinistra le bandiere che sventolava­no sul Quirinale. Potere spirituale e potere temporale. Era un bel colpo d’occhio sulla città che amavo. Un pomeriggio chiusi le palpebre, le riaprii, e mi ritrovai a Milano: avevo deciso di inseguire il più tipico dei sogni profession­ali, la Grande Carriera. Mi andò bene, molto bene. Poi, qualche mese fa, dopo più di tre lustri – giusto il tempo di veder diventare Milano la più moderna, rispettosa ed europea città d’Italia – l’offerta, accettata, di ritornare a Roma.

Che cosa è diventata in questi 17 anni la Capitale? Allineo sulla mia scrivania di responsabi­le del supplement­o romano del Corriere della Sera le foto di questi primi due mesi di lavoro: fontane chiuse per la siccità, bus in fiamme per mancata manutenzio­ne, incendi devastanti alle porte della città, guerriglia urbana tra senzatetto e polizia, cassonetti stracolmi di immondizia, milioni di cicche incastrate tra i sanpietrin­i a comporre uno stralunato quadro optical, case di sbandati a cielo aperto, venditori abusivi d’acqua un po’ ovunque, minimarket bengalesi in ogni dove, rastrellie­re del bike sharing mestamente vuote per mancanza di bici... Vorrei buttare tutto nel cestino e raccontare ai romani quant’è bella la loro, la nostra città. Vorrei proiettare sui palazzi, ogni giorno, La dolce vita e La grande bellezza. Una sequenza d’orgoglio. Ma non posso farlo, devo star dietro - come tutti - a una sequela ingiusta, indegna, di emergenze. E questo toglie divertimen­to non solo al mio lavoro (cosa di cui avete diritto a fregarvene, vi capisco) ma a un’intera città costretta a vivere facendo slalom tra assurdità.

CERTO, IL RACCONTO CHE POSSO FARVI è quello del ritornato, il racconto di chi - dopo una lunga assenza - rientra in casa e quasi non riconosce i figli. Chi in quella casa è rimasto, non ha di questi problemi: ha visto crescere, invecchiar­e, magari imbruttire, ogni cosa, ogni essere umano. Parlando con i miei amici ritrovo in loro, nei loro giudizi, il solito beffardo cinismo della città papalina: Roma ha visto di tutto, era già Capitale di un impero quando gli altri stavano su palafitte, io so’ io e voi... Insomma, la solita storia del Marchese del Grillo, solo che stavolta Grillo si chiama Beppe, e la sua Virginia Raggi, madonnina infilzata dagli occhi tristi, ha una città che le sta scivolando via tra le dita, assessore cacciato dopo assessore cacciato, manager in fuga dopo manager in fuga.

L’ALTRA SERA, UN TOP MANAGER SPEZZINO che lavora da tre anni a Roma mi ha detto qualcosa di sorprenden­te sui pregiudizi caduti. Era arrivato da Milano accettando una bella offerta di lavoro, in tasca come Baedeker una battuta al veleno: «Roma? L’unica città mediorient­ale che non ha un quartiere europeo » . Gli ho chiesto se era davvero così. «Sbagliavan­o » , mi ha detto. «Questa è una città meraviglio­sa, che mi consola con la sua bellezza » . Volevo abbracciar­lo perché in quell’istante ho capito come ritrovare la mia Roma perduta: aspettando, affidandom­i a Kronos. Prima o poi finirà la siccità, l’immondizia verrà raccolta, i bus funzionera­nno, gli incendi saranno domati, i senzatetto troveranno casa. E io tornerò giovane e, soprattutt­o, Totti sarà di nuovo capitano. Sì, adesso ci credo.

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QUESTIONE ROMANA Piazza del Campidogli­o, a Roma, con la statua dedicata a Marco Aurelio
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