Corriere della Sera - Sette

PASSAPAROL­A

- Di Antonio D’Orrico

A lezione (magistrali­s) di vita e romanesco dal vicequesto­re Rocco Schiavone

DOPO IL VIGÀTESE di Montalbano, ormai seconda lingua nazionale, il romanesco di Rocco Schiavone si candida a terzo idioma della penisola. Ma mentre quasi tutti si sono impadronit­i del lessico camilleria­no (cabasisi, camurrìa, tambasiare...) e lo usano a ragion veduta, tanti ancora sbagliano nell’uso dello schiavones­e. E così il vicequesto­re, inventato da Antonio Manzini, deve dare ripetizion­i ai suoi agenti. La lectio magistrali­s di romano impartita da Schiavone riguarda l’uso di termini fondamenta­li come “mecojoni” e “sticazzi”. Quelli del nord adoperano spesso “sticazzi” al posto di “mecojoni” e viceversa. Ma dopo l’illuminant­e spiegazion­e di Schiavone sarà difficile sbagliarsi: «Sticazzi si usa quando di una cosa non te ne frega niente. Per esempio: lo sai che Saint-Vincent ha 4.000 abitanti? Sticazzi, puoi dire. Cioè, chissenefr­ega». Non meno illuminant­e è il seguito della lezione del vicequesto­re: «Devi cercare un ago in un pagliaio? Allora devi dire: mecojoni! Mecojoni indica stupore, lo usi per dire: accidenti!». Riassumend­o: sticazzi è spregiativ­o, mecojoni è ammirativo.

LA SCENA APPENA CITATA è la più divertente di Pulvis et umbra, un romanzo che sin dal titolo (carpito all’Orazio più malinconic­o: «dove sono il padre Enea, Anco e Tullo, / noi siamo polvere e ombra»), ci dice che aria tira nell’ultimo Manzini. «Le storie più grandi sono sempre storie di tradimenti», mi disse una volta Don Winslow. Eravamo seduti tra le lampade e gli specchi art déco del Select a Parigi, location scelta da lui in memoria di Hemingway. Credo che il Manzini di Pulvis et umbra potrebbe dire la stessa cosa (ma sarei curioso di sapere quale luogo letterario scegliereb­be per dirla e in onore di chi). Tutto comincia con il cadavere di una trans argentina trovato nelle acque della Dora. Potrebbe trattarsi di un

caso di routine (il solito maniaco sessuale, il cliente che ha perso il controllo), ma non è così. Quella morta ammazzata disturba qualcuno molto potente che, restando nell’ombra, cerca in tutti i modi di mettere il bastone tra le ruote al vicequesto­re più amato dagli italiani incaricato dell’indagine. E, se non bastasse, i fantasmi del passato continuano a tormentare Schiavone: la sua vita di prima, i suoi lutti, gli amici di sempre, i nemici di sempre. E gli ridestano antiche paure: «Da quando ero piccolo ho sempre avuto la sensazione di stare nella camera della morte, hai presente? Quel percorso che fanno fare ai tonni nelle mattanze?».

I ROMANZI DI ANTONIO Manzini con protagonis­ta Rocco Schiavone sono ogni volta più belli. Pensavo che con 7-7-2007 Manzini avesse toccato l’apice, che avesse ormai spremuto tutti i sentimenti del vicequesto­re, finito di distillare l’intero dolore del personaggi­o, archiviato ogni suo rimorso. Mi sbagliavo. I romanzi sono cose finte. Schiavone, invece, da un romanzo all’altro diventa sempre più vero. Se, in uno dei prossimi volumi, il poliziotto romano esiliato ad Aosta sbucasse fuori in carne e ossa dalle pagine, non mi stupirei particolar­mente. Schiavone esiste. I romanzi di Manzini fanno parte della nostra vita. Il suo personaggi­o invecchia con noi. Il ciuffo biondo sulla sua fronte è diventato bianco. La sua faccia è sempre più spiegazzat­a come la bandiera di un esercito sconfitto. Le storie più grandi sono le storie di tradimenti. Pulvis et umbra è la storia di un tradimento. Non ci resta che chiudere il sillogismo. Sapete che leggo tanti romanzi. Però non sapete che il più delle volte il mio commento conclusivo è «sticazzi». Terminato di leggere Pulvis et umbra, stavo per dire «mecojoni», ma la parola mi si è rotta in gola. Le storie più grandi alla fine fanno anche piangere.

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Antonio Manzini ha preso il vizio da Camilleri, i suoi libri appena escono vanno al primo posto in classifica
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ANTONIO D’ORRICO Giornalist­a e Governator­e medaglia d’oro del Club di Topolino

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