DERBY ARTISTICO
Hirst o non Hirst?
Falsi reperti archeologici, un colosso senza faccia, una testa di Medusa. La mostra veneziana dell’artista inglese Damien Hirst (celebre per il teschio ricoperto di diamanti) mette in scena l’antico e la mitologia, falsificando alla perfezione oggetti di culto delle civiltà di tutto il mondo. Un’idea kitsch o un’ispirazione geniale? Due giornalisti del Corriere appassionati d’arte ne discutono da posizioni opposte. Il verdetto? Negli occhi di chi legge
FRANCESCA PINI Damien Hirst un artista impegnato come richiede una Biennale di Venezia? Non con questa mostra a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana. Vorrei vederlo all’opera, invitato ufficiale come artista del padiglione inglese. Lì le cose cambierebbero, altro che americanata.
GIAN LUCA BAUZANO E se avesse ragione lui, invece? A Venezia e fuori Laguna non si parla d’altro che di questo doppio progetto. E, benché fosse una sorta di “Fuori Biennale” essendo un progetto della Fondazione Pinault, viene identificato con la manifesta- zione ufficiale. L’idea funziona.
FP Eh, certo, una trovata (costosissima), premiante per il mercato.
GLB Slogan antico, ma evergreen: “La pubblicità è l’anima del commercio”. Hirst come Caravaggio, e lui, le sue opere, oltre a realizzarle le vende pure. Eccome. Pensiamo al successo del suo Teschio. Più fenomeno di costume e di marketing di quello! Alle spalle secoli di iconografia del memento mori, ma a farne un fenomeno capace di essere trasformato in oggettistica, dalle T-shirt ai gioielli,
e diventare riferimento per una marea di creativi è stato solo Mr Hirst.
FP Io, a dire il vero, invece del Teschio di Hirst ho ancora negli occhi la bellissima sala allestita alla Tate Modern di Londra (la sua personale del 2012) con le farfalle che volavano sul viso, schiudendosi dai bozzoli. Vuoi mettere la leggerezza di quell’immagine, quella sensazione di solletico, contro la pesantezza visiva, fisica, delle opere esposte a Venezia? A cominciare da quel colosso tipo Rodi all’entrata, possente demone in resina.
GLB Le farfalle di Hirst le ho viste pure io. Ma a Palermo a Palazzo Mazzarino, parte della collezione Berlingieri. Aveva scelto di trasformarle in grandi vetrate appese alle pareti: stavano davvero bene tra arazzi, statue e busti in marmo antichi. Il colosso, invece, lo definirei imponente. Vuoi mettere la possibilità di vederlo “fettina dopo fettina” dagli affacci dei balconi interni di Palazzo Grassi? Che vis-à-vis! Anche se Hirst la faccia non gliel’ha fatta.
FP Forse per non rimettercela! La passione per i mostri come quelli in pietra del giardino di Bomarzo, per le creature marine, per le teste di Medusa è ricorrente nella storia dell’arte, nutrita dalla mitologia. Una linfa alla quale Hirst si riannoda per impaginare le sue storie – sulle orme di Rubens –, agli antipodi della tecnologia, per far sognare in grande consacrando se stesso come stupor mundi. Le scenografie delle feste di corte cinquecentesche e seicentesche confluiscono nell’immaginario di Hirst e nelle sue installazioni, le cui opere, realizzate a imitazione perfetta di quelle antiche, rappresentano la grandeur di un teatro del mondo – alla stregua degli allestimenti lirici dell’Arena di Verona – dove le figure femminili hanno anche il volto di famose modelle. Però, sulla scia di un Marc Quinn che per primo raffigurò Kate Moss.
«Hirst non ha fatto la faccia al suo colosso tipo Rodi. Forse perché non voleva rimetterci la sua»
«A Venezia non ci fa mancare nulla, comprese foto e riprese subacquee che sembrano vere. E il visitatore resta sbalordito»
GLB Ci può stare tutto ma proprio tutto in un progetto come questo. Dall’arte al teatro, dal museo-camera delle meraviglie al viaggio enciclopedico. Hirst a Venezia ha dato sfogo alla fantasia e al gioco. Massime espressioni creative. E che ne dici del lusso? Ci sta pure la presa in giro, con quel giusto tocco di trash di cui oggi non si riesce più a farne a meno. È persino riuscito a superare il Franco Zeffirelli dei tempi d’oro all’Opera. Parli di modelle? Hirst porta all’ennesima potenza il concetto alla base di una sfilata, l’ispirazione. Così il volto di una statua di una regina egizia ricorda quello di una modella. Le top model di oggi sono al pari di sirene della mitologia.
FP Il suo carnet di viaggio nei secoli e nelle civiltà – egizia, mesoamericana, cicladica, etrusca, romana con i grandi marmi – mette insieme, in una giostra del kitsch, un museo più globale che ideale, che ambisce a un sapere enciclopedico, però da Reader’s digest,
«È un furbo profeta di questi tempi, coglie l’opportunità creativa di un mondo dove trionfa il fake, il fasullo»
la famosa rivista americana che selezionava articoli in un pot-pourri.
GLB Sarà anche come dici, però è una sorta di guanto di sfida lanciato da Hirst alla stessa Biennale. Gli altri artisti fanno un’opera per un padiglione? Bene io ti faccio un intero museo. Dove l’apparenza diventa contenuto, il passato diventa presente. Non solo. Sfrutto le più complesse tecnologie per realizzare il piuccheperfetto tarocco antico.
FP Ma qui tutto esprime decadentismo – sarà Venezia, come per Visconti? – e la dismissione della cultura, con un trionfo del fake sempre più reale con le false notizie virali. Hirst è un perspicace, furbo profeta di questi tempi, ne coglie l’opportunità creativa e ricreativa. I reperti archeologici presentati sono tutti filologicamente taroccati in una strenua ricerca di recupero del passato a guisa di “copia conforme”. Pericolosa l’idea del falso più vero del vero. A farne le
«“Dell’artista il fin è la maraviglia”, diceva Marino. Se Hirst riesce a stupirmi e a divertirmi, ben venga il tarocco»
spese sono i musei del mondo, con le loro originali, straordinarie collezioni.
GLB Ma questo è proprio il jolly del progetto di Hirst! Mentre passi da una stanza all’altra – lo si avverte maggiormente a Punta della Dogana – ti ritrovi nei panni di Jack Sparrow Pirata dei Caraibi. Oppure in quelli del blasonato archeologo Howard Carter (l’artefice della scoperta della tomba di Tutankhamon) o di un Indiana Jones con le sue arche perdute.
FP Hirst fa un esercizio di stile riuscito, quello della pura spettacolarizzazione del mestiere dell’artista e dello scultore che ha in sé sempre qualcosa di “eroico”. Nella sua doppia mostra c’è la prova provata della volontà di dominio sulla materia (oro, bronzo, marmo, malachite...) una hybris che, cambiando fronte, a Icaro costò le penne.
GLB Volontà? Francamente vedo anche la sua capacità di domarla, la materia. Non solo di manipolarla liberamente, in modo ludico. Hirst sembra dire, strizzandoti l’occhietto: “guarda che bravi, abbiamo recuperato e rimesso a nuovo il tutto. E tu ti bei in-consapevolmente del falso d’autore”.
FP L’artista crea un doppio inganno con le riprese sottomarine di falsi recuperi negli abissi delle statue, i cui corpi sono ricoperti da concrezioni coralline. Hirst afferma di aver lavorato 11 anni al progetto, ma un artista prima di lui, Jason deCaires, ha creato opere simili, che vediamo proprio qui a Venezia al padiglione delle Grenadine. Banksy ha creato la sua Dismaland, lui Hirstland, poi verrà anche Catteland. Chi copia chi?
GLB Sull’annosa questione della primogenitura di uova e galline non mi ci voglio addentrare. Hirst a Venezia ha un intero progetto e non ci fa mancare nulla. Comprese foto e riprese subacquee. Talmente ben taroccate da essere vere. E il visitatore resta con l’occhione sgranato. Per dirla con Giovan Battista Marino: «Dell’artista il fin è la maraviglia » . Se Hirst mi riesce a stupire, a divertire e non annoiare, ben vengano anche il colosso tarocco e la barca dei sogni archeologici.