Corriere della Sera - Sette

INCONTRI IN PISTA

Il primo appuntamen­to? Ai box. Il secondo? Al ristorante. Per 24 ore sono stata l’invidia di amici e colleghi. Qui vi racconto il dietro le quinte dell’intervista con il campione di MotoGp incontrato a Misano poco prima dell'ultimo Gran Premio

- di Manuela Croci

Andrea Dovizioso - A passeggio e a cena col campione modesto

«VAI A PASSEGGIAR­E in pista con il Dovi? Preparati, lui più che camminare disegna la traiettori­a della corsa». È giovedì, ora di pranzo. Sono da poco arrivata all’autodromo di Misano e questo è il benvenuto della mia rombante 24 ore tra le due ruote. A pronunciar­e la frase è uno degli uomini del team Ducati che segue Andrea Dovizioso, il campione italiano che in sella a una moto italiana guida la classifica di MotoGp. Non succedeva dai tempi di Gianfranco Bonera su MV Agusta, era il 1974. C’è un misto di simpatia e tenerezza nelle parole dell’ingegnere mentre parla del pilota numero 04. Nato a Forlimpopo­li, con caparbietà, ha infilato in quattro mesi (giugno-settembre) quattro primi posti: Mugello, Barcellona, Austria, Gran Bretagna. Prima di incontrare DesmoDovi, faccio conoscenza con la sua moto. Entro nel box e mi spiegano che di solito questa è zona off limits, ma io non faccio certo paura, di motori non capisco niente. Tanto che le mie prime domande sono: ma non siamo venuti per vedere la moto? È quella? C’è solo un motore (almeno così mi sembra) più una serie di fili collegati a dei computer... Mi dicono che stanno scaricando i dati delle telemetrie e mi rassicuran­o: prima di sera sarà completata, la vedrò in tutto il suo splendore. Fatico a crederci, ovviamente avranno ragione loro. Giro lo sguardo, Andrea Dovizioso è lì, sta scegliendo le gomme per la gara. Ci salutiamo, ha il sorriso di un ragazzino. Usciamo in pista con il fotografo. Ed è proprio sotto il cielo nuvoloso di Misano che capisco il senso di quello che mi era stato detto un’ora prima: il Dovi – come lo chiamano tutti, lasciando trasparire un accento emiliano – guarda la pista, si sporge verso la pit lane, poi torna sui suoi passi e inizia a camminare seguendo una traiettori­a tutta sua. «È il percorso che farai in gara?». «Sì», conferma distrattam­ente rimanendo con lo sguardo puntato sull’asfalto. Almeno fino a quando dietro di noi si sente un rombo fortissimo. Il mio cuore sobbalza. «Il mio non più così tanto», scherza. «Certo è ancora un suono che mi carica, mi emoziona». Poi torna a chiudersi, a ripercorre­re nella sua mente le curve che lo aspettano già dal mattino dopo. Sarà solo a sera inoltrata che, seduta accanto a lui a cena, mi svelerà il perché di tutta quella concentraz­ione. «Ci sono piloti molto istintivi che corrono senza pensare abbastanza, altri che riflettono troppo rischiando quasi di fermarsi. E poi ci sono quelli come me che mescolano un pizzico di follia con la strategia. Ti spiego. Per raggiunger­e certe velocità o fare alcune manovre azzardate devi andare oltre la razionalit­à, però ci sono volte in cui è la strategia a fare la differenza: in Austria, ad esempio, mentre correvo studiavo gli altri piloti, chi era messo meglio e chi peggio con le gomme, come stavano affrontand­o le curve. Così ho capito quando

era il momento giusto di superare. Non ero il più veloce, forse ero solo il più lucido». Sorride ricordando la vittoria al Red Bull Ring in cui ha preceduto le Honda di Marquez e Pedrosa. Quella è stata «la gara delle palle», come lui stesso l’ha definita. Seguita dalla vittoria sul tracciato inglese di Silverston­e che ha portato il 31enne della Ducati al primo posto della classifica piloti, posizione che adesso divide con Marquez, vincitore a Misano. Per Andrea, classe 1986, affrontare la gara di casa da leader è stata una grande soddisfazi­one. «Quando sono entrato nel paddock ho pensato: “Wow! Siamo là davanti, ce la possiamo giocare”. Certo, un po’ di pressione ora inizia a farsi sentire» spiega divertito mentre gusta il salmone in crosta preparato nel ristorante che il suo team ha allestito dentro il circuito. Seduto al suo fianco c’è il “colpevole” di questa passione per le due ruote: papà Antonio, un metro e sessanta di simpatia esplosiva e contagiosa. È sempre vicino al figlio. Durante le mie 24 ore al paddock lo vedo scorrazzar­e da una parte all’altra a bordo di uno scooter, pronto a scherzare con tutti. «Quando sono nato il mio babbo correva con le moto da cross, praticamen­te sono nato in pista» ricorda Dovizioso. «Nei weekend andavamo a seguire le gare, ero sempre in mezzo alla terra. Per un bambino era un sogno. La passione è iniziata vedendo i salti, i traguardi, gli schizzi di fango. Così, appena ho impa- rato ad andare con la bici senza rotelle, sono salito su una moto, avevo quattro anni». Mamma Annamaria, invece non era così entusiasta. «E non lo è nemmeno adesso. Prima non guardava le gare, si chiudeva in una stanza aspettando la fine. Ora ha iniziato a seguire qualche passaggio, ma non è molto rilassata. Questo mondo non le piace, c’è poco da fare». E tua figlia Sara che ne pensa? «È ancora piccola, ha sette anni. Per ora è solo incuriosit­a da tutto questo can can».

PICCOLO BREAK, siamo interrotti dall’arrivo di un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico fatti apposta per Andrea. Mi guardo attorno, tutti i tavoli si sono riempiti. Ci saranno 70-80 persone. Accanto a noi riconosco i meccanici, gli ingegneri, i magazzinie­ri che parlano e ridono ricordando le vacanze appena trascorse. Più in là ci sono i ducatisti doc, grandi tifosi di Dovizioso e

Lorenzo. Sono qui per cenare con i loro beniamini. Penso che in questo momento vorrebbero essere al mio posto, seduta fianco a fianco a DesmoDovi. E con loro vorrebbe esserci anche il mio amico Massimo, appassiona­to di motori e tifosissim­o del forlivese. Prima di partire gli avevo chiesto di suggerirmi un paio di domande. Ne aveva tante, alcune molto tecniche. Perché, mi ha spiegato, i ducatisti sono così: un team dentro e fuori dal circuito. Ma quello tra il pilota che corre con il numero 04 e l’azienda di Borgo Panigale non è sempre stato un matrimonio rose e fiori. «Ci sono stati anni mooooolto duri» mi interrompe Dovi. «Però avevamo lo stesso obiettivo: volevamo ritornare su e questo ci ha dato forza. I risultati non dipendono solo dalla moto o solo dal pilota, è tutto molto complesso: ci sono 60 ingegneri che lavorano su quelle schegge che guido in pista. Ora, sì, è un matrimonio riuscito».

MOTO, MOTO, MOTO. Provo a sviare l’argomento. Cosa fai quando non sei in pista? «Sono un papà e, come tutti i genitori, la giornata è scandita dai ritmi di mia figlia. Poi ho un gruppo di amici, lo stesso di 15 anni fa». Ma è vero che avete un tatuaggio in comune? Alza l’avambracci­o destro e mi mostra la scritta: “Ten Boa Team”. «Siamo cresciuti insieme. Certo, adesso non andiamo più in discoteca, facciamo una vita tranquilla». Se per tranquillo si intende fare motocross e correre con le moto d’acqua… Si lascia scappare una risata più forte, alza lo sguardo e si fa serio: «Mi piace lo sport, di qualsiasi tipo. Sono molto competitiv­o, ma in modo sano. Faccio fatica a fare un’attività tanto per farla, ho sempre

bisogno di un cronometro e di qualcosa che mi sproni a dare il meglio di me». È successo anche il mercoledì prima della corsa di Misano. «C’è stata una gara di moto d’acqua. Ero andato in spiaggia solo per assistere. Ma una volta lì, come si fa a non salire… Così ho chiesto di poter gareggiare, e ho vinto». Anche tua figlia è una sportiva? «Sara sta facendo ginnastica artistica, le piace moltissimo anche se è faticoso. Fa lezione quattro volte a settimana ed è ancora piccolina. Però è lei che vuole andarci ed è una cosa bellissima perché i ragazzini devono sentire il bisogno di voler fare dello sport. Stai bene fisicament­e, bruci tutte le energie e, soprattutt­o, non vai a fare cavolate». Prima del caffè, ci concediamo una pausa. I ragazzi del suo team lo reclamano, sono tutti in attesa che l’ultimo rientrato racconti la sua vacanza a Ibiza. Mi guardo attorno: è un mondo tutto al maschile… «In realtà, ci sono state anche piloti donne. Due ragazze spagnole correvano in Moto3, una lo fa ancora adesso. Certo è difficile, guidare in MotoGp è devastante. Direi per pochi. Per capire lo sforzo bisogna andare in pista con un pilota. Sai, è possibile fare queste prove. Anche qui a Misano ci sono delle moto con la doppia sella: potresti provare». La tentazione viene subito spazzata via dai racconti di chi al tavolo ha fatto questo test e lo racconta così: 15 giri e non ho camminato per due giorni. Ecco, meglio che ci vediamo domani al box: io sto a guardare e tu corri. Venerdì mattina, ore 9,55, partono i primi test in pista. Al box tutto è pronto. I motori rombano, gli ingegneri e i meccanici si muovono come orchestral­i diretti da un Maestro invisibile. Ognuno sa cosa fare e quando farlo. Andrea mi passa accanto, indossa la tuta. Non mi vede, è troppo concentrat­o. Non è più il momento di sorridere, c’è un cronometro da battere.

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 ??  ?? «Quando corro mescolo follia e strategia. In Austria, ho vinto studiando gli avversari e superando al momento giusto. Non ero il più veloce, ma forse il più lucido»
«Quando corro mescolo follia e strategia. In Austria, ho vinto studiando gli avversari e superando al momento giusto. Non ero il più veloce, ma forse il più lucido»
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 ??  ?? Dovizioso festeggia la vittoria al Gran Premio d’Italia che si è svolto a giugno sul circuito del Mugello. A destra, il pilota mentre prepara la strategia con il suo team. Sotto, la sua Ducati nei box
Dovizioso festeggia la vittoria al Gran Premio d’Italia che si è svolto a giugno sul circuito del Mugello. A destra, il pilota mentre prepara la strategia con il suo team. Sotto, la sua Ducati nei box
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