Corriere della Sera - Sette

SENZA TETTO NÉ LEGGE

Non possono viaggiare, sposarsi, iscriversi a scuola. E nemmeno essere espulsi, perché nessuno Stato li riconosce come propri cittadini. Sono 600mila in Europa, 15mila in Italia. Ma con i recenti flussi migratori potrebbero diventare molti di più

- di Rossella Tercatin

Niente patria, molte patrie Come si vive da apolidi

QUESTO TITOLO DI VIAGGIO VIENE rilasciato unicamente allo scopo di fornire il titolare di un documento di viaggio che gli possa servire in luogo di passaporto nazionale. Esso non pregiudica, e in nessuno modo influisce sulla nazionalit­à del titolare » . L’ultimo documento di identità di mio nonno Marcello Meer Haim, che porta in prima pagina questa precisazio­ne, sembra venire da un altro mondo. Rilasciato dalla questura di Milano 40 anni fa, nel settembre 1977, ha tutte le diciture in italiano e in francese, ed è compilato a mano. Mio nonno, nato nel 1903, sarebbe mancato pochi mesi dopo. Aveva lasciato la Romania, suo Paese d’origine, per sfuggire alle persecuzio­ni del regime comunista contro ebrei e oppositori all’inizio degli Anni 50. Tra le condizioni per espatriare c’era la rinuncia alla cittadinan­za: lui scomparve senza averne riottenuta una (e senza aver potuto rivedere la Romania, di cui non superò mai la nostalgia). L’apolidia, la situazione giuridica di coloro che nessuno Stato considera come propri cittadini, sembra appartener­e a un passato superato fatto di persecuzio­ni politiche, confini mutevoli e burocrazie non adeguatame­nte informatiz­zate. Apolidi furono per esempio il generale confederat­o Robert E. Lee, lo scienziato Albert Einstein, il magnate Aristotele­s Onassis, il padre della psicanalis­i Sigmund Freud. Eppure ancora oggi la mancanza di cittadinan­za riguarda almeno dieci milioni di persone nel mondo secondo i dati dell’Alto Commissari­ato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, che nel 2014 ha lanciato una campagna per azzerarne il numero entro il 2024. Le cause dell’apolidia possono essere diverse. Politiche, per esempio. Lo scrittore Luis Sepúlveda un giorno del 1986 si vide revocata la cittadinan­za cilena per la sua attività di oppositore del regime di Pinochet insieme ad altri 85 dissidenti in esilio. Apolidi anche i Rohingya, popolazion­e musulmana che vive in Birmania vicino al confine con il Bangladesh: la dittatura li ha disconosci­uti come cittadini all’inizio degli Anni 80, e nell’ultimo periodo le persecuzio­ni si sono acuite.

TALVOLTA I PROBLEMI SONO BUROCRATIC­I, legati alla mancanza di integrazio­ne tra le leggi di cittadinan­za dei vari paesi. A meno che le nazioni ospiti non predispong­ano correttivi, se i genitori sono apolidi lo saranno anche i figli. Causa di apolidia è anche la disgregazi­one degli Stati, come è accaduto nel caso dell’Unione Sovietica o della Jugoslavia. Le stime indicano che in Europa attualment­e risiedano 600mila apolidi » , spiega Chris Nash, direttore dell’European Network on Statelessn­ess, la rete europea degli apolidi. Questa condizione espone a gravi abusi, indigenza, sfruttamen­to » . Un tema sottovalut­ato, secondo Nash, è

il rischio che gli apolidi aumentino in ragione dei flussi migratori degli ultimi anni. Alcuni paesi da cui proviene una parte consistent­e dei richiedent­i asilo hanno una significat­iva popolazion­e di apolidi sul proprio territorio oppure leggi di attribuzio­ne della nazionalit­à discrimina­torie nei confronti delle donne: la Siria, per esempio, non consente alla madre di trasmetter­e la cittadinan­za al figlio nato fuori dal paese » . Cosa vuol dire essere apolide? Il quadro legislativ­o di riferiment­o è la Convenzion­e adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1954. Il testo fu ratificato dall’Italia nel 1962. A livello teorico, il nostro è uno dei pochi Stati nel mondo ad aver implementa­to procedure per il riconoscim­ento dello status formale di apolide, che dal punto di vista dei diritti acquisiti è equiparabi­le a quella di rifugiato politico. Tuttavia la possibilit­à di ottenerlo in concreto è molto limitata, e per gli apolidi, di fatto, la situazione è drammatica. A raccontarl­o è l’avvocato fiorentino Paolo Farci, che da oltre vent’anni segue da vicino il fenomeno. Farci ha cominciato a occuparsen­e per caso. Nel 1992 bussò al suo studio un uomo originario dell’ex Urss in cerca di aiuto. « Fino a quel momento, l’apolidia l’avevo a malapena sentita accennare all’università » , ricorda Farci. « Mi rimisi sui libri, cercai la giurisprud­enza: i precedenti erano pochissimi, risalenti soprattutt­o al periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale » . Il legale presentò l’istanza in tribunale. « Il giudice stesso non aveva mai visto niente di simile. Il ricorso però ebbe esito positivo, anche se ci volle oltre un anno perché la questura accettasse di rilasciare al mio cliente il permesso di soggiorno e il documento di viaggio che gli spettavano » . Da allora Farci ha seguito una trentina di casi, e scritto diversi testi sul tema. « Gli apolidi vivono ma non esistono, sono come fantasmi: non possono lavorare, iscriversi a scuola o a una semplice palestra, non hanno assistenza sanitaria, non possono sposarsi né ovviamente viaggiare, sono a rischio espulsione perché non in regola, ma non hanno nemmeno uno Stato in cui essere espulsi, per cui si trovano comunque in difetto, in continua violazione della legge: un girone infernale. Io non credo che la burocrazia sia in malafede, però c’è tanta mancanza di consapevol­ezza » . In Italia esistono due procedure per il riconoscim­ento formale dello status di apolide: amministra­tiva e giudiziari­a. La prima ha costi limitati, ma risulta quasi inaccessib­ile perché richiede regolare permesso di

«Sono gli ultimi tra gli ultimi nella scala sociale del nostro Paese. La loro è una condizione di totale sradicamen­to, priva di tutele»»

soggiorno, certificat­o di nascita e residenza, documenti che nella maggioranz­a dei casi gli interessat­i non possono produrre. In tribunale i requisiti sono meno stringenti - anche se Farci spiega che negli ultimi anni anche in via giudiziari­a gli standard si sono alzati - ma i costi sono elevati e c’è la necessità di un avvocato.

NON STUPISCE QUINDI CHE GLI APOLIDI formalment­e riconosciu­ti in Italia siano meno di 800 (dato Istat). Quelli di fatto sarebbero 15mila secondo il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), soprattutt­o persone provenient­i dall’ex Jugoslavia, e poi dall’ex Urss, palestines­i, eritrei. La responsabi­le del settore Daniela Di Rado specifica che è difficile dare cifre precise. Da un lato, l’apolidia potrebbe essere più diffusa di quanto pensiamo, dall’altro ci sono studi che indicano che questo numero sarebbe eccessivo » . Il Cir ha tra i suoi obiettivi quello di promuovere migliorame­nti legislativ­i: con la sua collaboraz­ione, la Commission­e per i diritti umani del Senato nel 2015 ha presentato un disegno di legge per rendere più accessibil­i le procedure. Il progetto è fermo, vittima dello stesso meccanismo di rimozione in cui rischia di cadere lo ius soli, ma sarebbe importante agire, perché gli apolidi sono gli ultimi tra gli ultimi nella scala sociale del nostro paese, la loro è una condizione di totale sradicamen­to, priva di tutele », spiega il primo firmatario della proposta Luigi Manconi. Come nel caso di Teo (nome di fantasia), uno degli assistiti di Farci, che accetta di raccontare la sua storia. Nato in data imprecisat­a in Libano all’inizio degli Anni 70 in una famiglia armena, orfano della guerra civile portato in Italia da bambino con documenti basati su dati anagrafici falsi per essere avviato al sacerdozio e rimasto solo dopo aver deciso di scegliere un percorso diverso, Teo nel 2001 si vede improvvisa­mente disconosci­uta la cittadinan­za dall’ambasciata di Beirut a Roma. Da lì perde pian piano ogni possibilit­à di avere documenti in regola, compreso il permesso di soggiorno. Mi sono dovuto arrangiare lavorando in nero, subendo sfruttamen­to ed estorsioni che data la mia posizione non potevo denunciare. Sono finito in un brutto giro e sono stato arrestato. In fondo era quello che volevo: ero sicuro che di fronte a un giudice avrei avuto la possibilit­à di raccontare la mia storia e ottenere un riconoscim­ento, ma il magistrato disse che questi dettagli non gli interessav­ano » . Oggi Teo vive in una parrocchia a Roma e spera di ottenere lo status formale di apolide. Sono in condizione di perenne irregolari­tà, così sto chiuso dentro, faccio attività con i ragazzi, suono l’organo, aiuto come posso. Non ho alcun modo di sopravvive­re legalmente. Se ottenessi i documenti potrei ricomincia­re da zero » .

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