Corriere della Sera - Sette

PERMETTE UNA FOTO?

Negli Anni 70 Jean “Johnny” Pigozzi ha iniziato a fotografar­si con le star. Poi è diventato loro amico (senza smettere di immortalar­si con loro). Storia dell'uomo che ha anticipato l'arte dell'autoscatto narcisista

- di Chiara Severgnini

Selfie made-man

«JOHNNY È UNO DEI PIÙ GRANDI personaggi al mondo. Però non so con precisione cosa faccia, a parte scattare continuame­nte fotografie». Non c’è frase più adatta di questa – pronunciat­a da Elton John – per iniziare un articolo su Jean (Johnny per gli amici americani) Pigozzi. Perché l’uomo in questione non si lascia descrivere facilmente. È amico dei vip, ma non è egli stesso un vip. D’altro canto, definirlo un signor nessuno sarebbe inesatto, perché Pigozzi, se mai, è una moltitudin­e di cose. Nella biografia di un comune mortale ci sono voci che di norma sono univoche: la nazionalit­à, il luogo di residenza, la profession­e. Nel caso di Pigozzi, ciascuna richiede un piccolo elenco. Lui si definisce «un italiano nato in Francia», perché ha visto la luce a Parigi ma entrambi i suoi genitori erano di Torino. Oggi, a 65 anni, vive tra New York, Ginevra, Antibes, Londra, Parigi e Panama. Ereditiero di una piccola fortuna – il padre ha fondato la casa automobili­stica Simca, poi comprata da Chrysler – di mestiere Pigozzi fa l’imprendito­re, il venture capitalist (è stato tra i primi a investire su Facebook), il collezioni­sta d’arte e il

fotografo. Segni particolar­i: può vantarsi di avere inventato il selfie (ma non la parola “selfie”).

I SUOI SOGGETTI preferiti sono le star. Ovvero, in molti casi, i suoi amici, conoscenti, ospiti. Ma andiamo con ordine. Pigozzi ha iniziato con la fotografia da ragazzino, grazie a una vecchia Leica regalatagl­i dal padre. Ad Harvard, dove è arrivato nel 1970 per studiare arte, si dedicava a soggetti ben poco glamour: cibo, automobili incidentat­e, cani. «Ero un fotografo pigro», ha ammesso, «gli altri studenti andavano a fare belle foto agli alberi in Maine, io invece non ho mai cercato di fare scatti graziosi». La prima vip del suo catalogo è stata Faye Dunaway, giunta ad Harvard nel 1973 per ritirare il premio “Donna dell’anno”: in quello che potrebbe essere il primo “selfie con la star” della storia, lo si vede, giovanissi­mo, in compagnia dell’attrice. Pigozzi ha iniziato a frequentar­e New York –e i newyorkesi famosi – già negli anni dell'università, grazie alla sua amicizia con Delfina Rattazzi, quartogeni­ta di Urbano Rattazzi e Susanna Agnelli. Gli agganci giusti, e tanti soldi da spendere, lo hanno aiutato, ma a portarlo così vicino alle star era, ed è ancora, anche il suo carattere. «Johnny aveva carisma», ha raccontato il suo ex compagno di studi Paul Josefowitz a Vanity Fair. «Una volta ero ospite da lui ad Antibes, in Francia, e lui mi ha detto: “Ieri ho incontrato John Lin- dsay in aereo, domani viene a pranzo qui”. E il giorno dopo è venuto davvero». Lindsay, all’epoca, era sindaco di New York. Pigozzi, invece, era un brillante studente di Harvard di origini europee, e nulla più. Armato di questa sconcertan­te capacità di risultare simpatico, Pigozzi nel corso degli anni ha continuato a scattare foto ovunque: prima ai party newyorkesi, poi nell’atelier-comune artistica di Andy Warhol, la Facto-

ry, infine nelle feste private che oggi organizza nelle sue proprietà sparse in tutto il mondo (molte delle quali arredate dal suo amico Ettore Sottsass). Ha iniziato a fare foto quando era uno studente d’arte che non sapeva cosa fare della sua eredità, ha continuato mentre si lanciava in una lunga serie di avventure imprendito­riali e non ha smesso neanche quando è diventato un milionario, un collezioni­sta d'arte e un filantropo.

I SUOI SCATTI sono stati esposti un po’ ovunque: al Musée d’Art Moderne di Parigi, alla Helmut Newton Foundation di Berlino, alla Gagosian Gallery di New York. Ha ritratto tutti, o quasi: Woody Allen, Bono, Andy Warhol, Sharon Stone, Steve Jobs, Mick Jagger, Elizabeth Taylor, Naomi Campbell… L’elenco potrebbe continuare per dieci pagine. Un’occhiata superficia­le alle sue raccolte – come Pool Party, edita nel 2016 da Rizzoli, o la nuova ME+CO, interament­e dedicata agli autoscatti – può far venire in mente lo stile dei paparazzi. Ma è un’impression­e sbagliata, perché Pigozzi non scatta, e non ha mai scattato, da intruso. Neanche quando era solo uno studente di Harvard che alle feste chiedeva alle star di concedergl­i una foto. Il «selfie king», come lo definisce Ash Carter nella postfazion­e di ME+CO, riusciva sempre a sembrare al suo posto, guancia contro guancia con attori e attrici, artisti e artiste, sportivi e sportive. Questo è il segreto dei selfie di Pigozzi, insieme alla sua fida Leica con il flash e alle sue «braccia lunghe». La formula non è perfetta: non tutti si sono voluti far ritrarre da lui con questa tecnica – Patti Smith, ad esempio, si è rifiutata – e a volte il risultato non è lusinghier­o. Tra doppi menti, guance lucide di sudore e rughe d’espression­e, le star, nei selfie di Pigozzi, a volte somigliano a noi. Le loro facce sono un po’ le nostre facce, il loro stupore davanti al flash somiglia al nostro quando la fotocamera interna dello smartphone ci coglie impreparat­i. E questo vale più del primato – vero o presunto – nell’arte del selfie.

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 ?? Con l'attore (e futuro governator­e della California) Arnold Schwarzene­gger nel 1977 ??
Con l'attore (e futuro governator­e della California) Arnold Schwarzene­gger nel 1977
 ?? Con il pittore David Hockney nel 1977 ??
Con il pittore David Hockney nel 1977
 ?? Con l'attore Clint Eastwood nel 1985 ??
Con l'attore Clint Eastwood nel 1985
 ?? Con gli artisti Ai Weiwei e Maurizio Cattelan nel 2016 ??
Con gli artisti Ai Weiwei e Maurizio Cattelan nel 2016
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