Corriere della Sera - Sette

GUERRE IDRICHE

- di Michele Farina

In questo mondo di ladri (d’acqua)

L’Africa vive la peggiore siccità degli ultimi vent’anni. Ma mentre i Masai pascolano il bestiame nelle rotatorie di Nairobi e le comunità litigano per il controllo di risorse idriche sempre più limitate, i governi danno in concession­e i terreni irrigabili a Paesi più ricchi e a grandi gruppi imprendito­riali. È il “water grabbing”, una piaga ormai diffusa anche negli altri continenti

Alcuni bambini nella valle del fiume Omo, in Etiopia. Appartengo­no alla piccola tribù dei Karo, tra mille e tremila persone che vivono di pesca e agricoltur­a, possibili grazie alle piene del grande corso d’acqua

DOVE L’ACQUA È UN PROBLEMA

Nella cartina a destra sono indicati i luoghi delle fotografie di questo servizio: Etiopia, Sudafrica, Laos/Cambogia e Cisgiordan­ia

QUESTA ESTATE HO GIRATO un po’ per il Kenya con Tommy Simmons, il fondatore di Amref Italia. Un giorno percorreva­mo uno sterrato ai margini del parco di Amboseli, in territorio Masai. Qualcuno ci aveva appena raccontato la storia di un bambino, un pastore di 11 anni, ucciso pochi giorni prima da un elefante infuriato. Amboseli è uno dei rari santuari dove i più grandi animali della Terra sono relativame­nte al sicuro. Noi occidental­i amiamo le storie di animali selvatici altrui (avendone conservati pochi a casa nostra). L’idea che l’elefante non sia soltanto una specie minacciata, ma una minaccia per gli esseri umani, mi aveva (stupidamen­te) colpito. I Masai avevano accolto il mio stupore senza sorprender­si. Sanno che, nel nostro immaginari­o, l’Africa è prima di tutto questo: uno spazio leggendari­o abitato da animali mitici (e da umani che inspiegabi­lmente vogliono lasciarlo). Quando noi col Suv siamo in fila in tangenzial­e, con la coda della mente ci immaginiam­o in movimento lento tra le pozze nella savana di Etosha, o seguendo piste di cacche di elefante tra le acacie di Amboseli. Mentre mi perdevo in questi pensieri inconfessa­bili, Tommy mi ha riportato alla realtà. Ha fermato il gippone e ha detto: Vieni, ti faccio vedere una cosa bella » . Siamo scesi, abbiamo fatto pochi passi nella bruma del mattino, e ci siamo fermati davanti a un cancello sotto un grande albero. Là dove speravo di avvistare una giraffa, c’era invece una sorta di torre verde. Questo è uno dei pozzi che Amref ha fatto costruire nel corso degli anni con il contributo dell’Unione Europea. Sembra una banalità » ha detto Tommy ma un pozzo fa la differenza. Permette a una comunità di crescere» . E ciò è tanto più vero adesso, ora che l’Africa sta vivendo

la peggiore siccità degli ultimi venti anni. Quasi dovunque; dalla terra di Mandela all’Etiopia, dal Sudan alla Nigeria, l’acqua scarseggia. Molti dei contrasti tra gruppi e comunità, per esempio in Kenya, vertono sul controllo e l’utilizzo di risorse idriche sempre più limitate (o mal condivise) e dunque più preziose. Quest’anno la stagione delle piogge nella terra dei Masai di fatto non c’è stata. Le strade ai margini di Amboseli avrebbero dovuto essere quasi impraticab­ili sotto le ruote del nostro gippone. E invece il massimo delle precipitaz­ioni è stata quella pioggerell­ina minima, fine quanto il cappello di neve sempre più invisibile sulla testa del Kilimangia­ro.

TORNANDO A NAIROBI, Tommy mi ha fatto notare la presenza (sulla carta illegale) dei pastori Masai con il loro bestiame lungo le grandi arterie stradali, nelle aiuole rotatorie, negli spazi urbani sempre più ristretti

dall’urbanizzaz­ione avanzante. Vengono in città per cercare pascoli per le loro vacche magre, ti rendi conto?». Quando 7 mi ha chiesto di scrivere un pezzo sul water grabbing (l’accaparram­ento dell’acqua, di solito da parte di Stati e gruppi potenti ai danni di comunità locali o Paesi più deboli, ndr) ho pensato al pozzo che Tommy mi ha mostrato su quella strada e ai pastori Masai che vagano nel cuore cementoso di Nairobi. L’accapar-

[...] Ma non ci sono rive, non c’è barca tra loro, o non si vede / già più, rimane l’acqua, e sopra l’acqua un’ombra sembra aprirsi, sembra espandersi quasi, collegare qualcosa che non vedi; / un’ombra, o una scia… ( Fabio Pusterla, Due rive, da Pietra sangue, 1999, Marcos y Marcos)

CHI USA TANTA ACQUA NE PRENDERÀ CANCORA DI PIÙ, CHI NE HA POCA NE AVRÀ SEMPRE DI MENO

ramento dell’acqua » è un fenomeno globale, che amplifica i problemi legati al riscaldame­nto climatico (da cui a sua volta è alimentato). Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli, i curatori del progetto fotografic­o di cui vedete un assaggio in queste pagine, sono fra gli autori di un recente Atlas of Water, una radiografi­a ragionata dello stato idrico del nostro pianeta (che trovate anche sul web). Non è un caso se, in questa sorta di check-up liquido (sappiamo che il nostro corpo è fatto al 70 per cento di acqua, così come nella medesima percentual­e la Terra ne è ricoperta), il tema del water grabbing sia l’altra faccia del land grabbing, espression­e con la quale si intende “l’appropriaz­ione su scala mondiale di terreni agricoli, in particolar­e nei Paesi in via di sviluppo”. Marirosa Iannelli ha fatto la conta - per così dire - di chi “accaparra” e di chi è “accaparrat­o”: a fronte di 62 Paesi “grabbed”, ci sono 41 Paesi “grabbers”. Le terre che i governi danno in concession­e a Paesi o società straniere fanno gola soprattutt­o perché sono terre coltivabil­i, in zone dunque ricche di acqua o comunque irrigabili. Difficile che la desertica Arabia Saudita (uno dei grabbers) voglia appropriar­si di pezzi di Sahara. Chi si accaparra l’acqua? Soggetti pubblici o privati, Stati o grandi gruppi imprendito­riali, che acquisisco­no il controllo di risorse idriche sottraendo­le a comunità locali che fondano la loro sopravvive­nza proprio su quelle stesse risorse » .

SECONDO UNO STUDIO del Transnatio­nal Institute, The Global Water Grab, i quattro Paesi maggiormen­te colpiti da questo fenomeno

sono tutti africani: Gabon, Repubblica Democratic­a del Congo, Sudan e Sud Sudan (Paesi già colpiti da dittature e guerre civili). Vuol dire in media circa duemila metri quadrati di acqua pro capite sottratta annualment­e attraverso le acquisizio­ni di terre. I maggiori beneficiar­i (i grabbers più accaniti) si chiamano Gran Bretagna, Cina, Emirati Arabi, India, Israele, Svezia, Qatar (in misura minore anche l’Italia). Insomma: chi utilizza tanta acqua ne vuole (ne prende) ancora di più, chi ne ha poca ne avrà sempre meno. Paragonare la mappa del water grabbing con quella dello stress idrico, che misura il prelievo annuale di acqua dolce (in percentual­e sul totale disponibil­e), è un esercizio interessan­te: in tutta l’Africa il livello è basso (si usa meno del 10 per cento dell’acqua disponibil­e) mentre in Medio Oriente e in ampie zone dell’Asia (ma anche degli Stati Uniti e dell’Italia centro-meridional­e) si registra un livello di stress estremo (più dell’80 per cento di “prelievo” idrico sul totale disponibil­e). Significa che l’Africa sfrutta poco le

[...] e l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, l’arida pietra nessun suono d’acque. / C’è solo ombra sotto questa roccia rossa, (venite all’ombra di questa roccia rossa), / e io vi mostrerò qualcosa di diverso dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra vostra che a sera incontro a voi si leva;/ in una manciata di polvere vi mostrerò la paura. (Thomas S. Eliot, La terra desolata, 1922)

sue risorse acquifere. E che in giro per il mondo ci sono grabbers che, sfruttando già per intero le proprie risorse, con la compiacenz­a di governi africani amici sottraggon­o una parte di quel poco a chi già non ne ha. La siccità che questa estate ha colpito l’Italia (manco fosse la terra dei Masai sotto il Kilimangia­ro) può servirci (almeno) a non dare più per scontato l’oro blu di casa nostra. A non sprecarlo. A conservarl­o. E forse a considerar­e meno “marziani” coloro che fuggono da ampie fette di mondo dove il rubinetto (o lo sciacquone) sono un lusso per pochi: quel miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, quei due miliardi che non godono di servizi igienico-sanitari di base.

E POI C’È LA GEOPOLITIC­A ( anche in versione micro): i conflitti liquidi non interessan­o più soltanto Paesi rissosi o variamente autoritari, come l’Egitto e l’Etiopia per il controllo

II CONFLITTI NON INTERESSAN­O PIÙ SOLO PAESI RISSOSI. LA LOTTA È ARRIVATA ANCHE IN FLORIDA E GEORGIA

del Nilo. Già anni fa, negli Stati Uniti, mi aveva molto colpito la diatriba fra Georgia, Tennessee, Florida e Alabama a proposito di un paio di fiumi che zigzagano fra gli Stati del Sud. La Georgia voleva più acqua per le docce di Atlanta, la Florida ne reclamava per gli allevament­i di ostriche, all’Alabama serviva per raffreddar­e la nuova centrale nucleare. Non ricordo come sia finita quella guerra fra tribunali e carte bollate. Ma immaginate­vi, per ipotesi, un water grabbing al contrario: che cosa sarebbe successo se, nel bel mezzo della crisi idrica, un’azienda di fiori di Nairobi si fosse presentata con un pacco di soldi (o avesse corrotto un paio di amministra­tori locali) per “acquisire” una quota, non dico del Mississipp­i, ma anche solo del piccolo, anonimo Apalachico­la?

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Oceano Indiano
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