GUERRE IDRICHE
In questo mondo di ladri (d’acqua)
L’Africa vive la peggiore siccità degli ultimi vent’anni. Ma mentre i Masai pascolano il bestiame nelle rotatorie di Nairobi e le comunità litigano per il controllo di risorse idriche sempre più limitate, i governi danno in concessione i terreni irrigabili a Paesi più ricchi e a grandi gruppi imprenditoriali. È il “water grabbing”, una piaga ormai diffusa anche negli altri continenti
Alcuni bambini nella valle del fiume Omo, in Etiopia. Appartengono alla piccola tribù dei Karo, tra mille e tremila persone che vivono di pesca e agricoltura, possibili grazie alle piene del grande corso d’acqua
DOVE L’ACQUA È UN PROBLEMA
Nella cartina a destra sono indicati i luoghi delle fotografie di questo servizio: Etiopia, Sudafrica, Laos/Cambogia e Cisgiordania
QUESTA ESTATE HO GIRATO un po’ per il Kenya con Tommy Simmons, il fondatore di Amref Italia. Un giorno percorrevamo uno sterrato ai margini del parco di Amboseli, in territorio Masai. Qualcuno ci aveva appena raccontato la storia di un bambino, un pastore di 11 anni, ucciso pochi giorni prima da un elefante infuriato. Amboseli è uno dei rari santuari dove i più grandi animali della Terra sono relativamente al sicuro. Noi occidentali amiamo le storie di animali selvatici altrui (avendone conservati pochi a casa nostra). L’idea che l’elefante non sia soltanto una specie minacciata, ma una minaccia per gli esseri umani, mi aveva (stupidamente) colpito. I Masai avevano accolto il mio stupore senza sorprendersi. Sanno che, nel nostro immaginario, l’Africa è prima di tutto questo: uno spazio leggendario abitato da animali mitici (e da umani che inspiegabilmente vogliono lasciarlo). Quando noi col Suv siamo in fila in tangenziale, con la coda della mente ci immaginiamo in movimento lento tra le pozze nella savana di Etosha, o seguendo piste di cacche di elefante tra le acacie di Amboseli. Mentre mi perdevo in questi pensieri inconfessabili, Tommy mi ha riportato alla realtà. Ha fermato il gippone e ha detto: Vieni, ti faccio vedere una cosa bella » . Siamo scesi, abbiamo fatto pochi passi nella bruma del mattino, e ci siamo fermati davanti a un cancello sotto un grande albero. Là dove speravo di avvistare una giraffa, c’era invece una sorta di torre verde. Questo è uno dei pozzi che Amref ha fatto costruire nel corso degli anni con il contributo dell’Unione Europea. Sembra una banalità » ha detto Tommy ma un pozzo fa la differenza. Permette a una comunità di crescere» . E ciò è tanto più vero adesso, ora che l’Africa sta vivendo
la peggiore siccità degli ultimi venti anni. Quasi dovunque; dalla terra di Mandela all’Etiopia, dal Sudan alla Nigeria, l’acqua scarseggia. Molti dei contrasti tra gruppi e comunità, per esempio in Kenya, vertono sul controllo e l’utilizzo di risorse idriche sempre più limitate (o mal condivise) e dunque più preziose. Quest’anno la stagione delle piogge nella terra dei Masai di fatto non c’è stata. Le strade ai margini di Amboseli avrebbero dovuto essere quasi impraticabili sotto le ruote del nostro gippone. E invece il massimo delle precipitazioni è stata quella pioggerellina minima, fine quanto il cappello di neve sempre più invisibile sulla testa del Kilimangiaro.
TORNANDO A NAIROBI, Tommy mi ha fatto notare la presenza (sulla carta illegale) dei pastori Masai con il loro bestiame lungo le grandi arterie stradali, nelle aiuole rotatorie, negli spazi urbani sempre più ristretti
dall’urbanizzazione avanzante. Vengono in città per cercare pascoli per le loro vacche magre, ti rendi conto?». Quando 7 mi ha chiesto di scrivere un pezzo sul water grabbing (l’accaparramento dell’acqua, di solito da parte di Stati e gruppi potenti ai danni di comunità locali o Paesi più deboli, ndr) ho pensato al pozzo che Tommy mi ha mostrato su quella strada e ai pastori Masai che vagano nel cuore cementoso di Nairobi. L’accapar-
[...] Ma non ci sono rive, non c’è barca tra loro, o non si vede / già più, rimane l’acqua, e sopra l’acqua un’ombra sembra aprirsi, sembra espandersi quasi, collegare qualcosa che non vedi; / un’ombra, o una scia… ( Fabio Pusterla, Due rive, da Pietra sangue, 1999, Marcos y Marcos)
CHI USA TANTA ACQUA NE PRENDERÀ CANCORA DI PIÙ, CHI NE HA POCA NE AVRÀ SEMPRE DI MENO
ramento dell’acqua » è un fenomeno globale, che amplifica i problemi legati al riscaldamento climatico (da cui a sua volta è alimentato). Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli, i curatori del progetto fotografico di cui vedete un assaggio in queste pagine, sono fra gli autori di un recente Atlas of Water, una radiografia ragionata dello stato idrico del nostro pianeta (che trovate anche sul web). Non è un caso se, in questa sorta di check-up liquido (sappiamo che il nostro corpo è fatto al 70 per cento di acqua, così come nella medesima percentuale la Terra ne è ricoperta), il tema del water grabbing sia l’altra faccia del land grabbing, espressione con la quale si intende “l’appropriazione su scala mondiale di terreni agricoli, in particolare nei Paesi in via di sviluppo”. Marirosa Iannelli ha fatto la conta - per così dire - di chi “accaparra” e di chi è “accaparrato”: a fronte di 62 Paesi “grabbed”, ci sono 41 Paesi “grabbers”. Le terre che i governi danno in concessione a Paesi o società straniere fanno gola soprattutto perché sono terre coltivabili, in zone dunque ricche di acqua o comunque irrigabili. Difficile che la desertica Arabia Saudita (uno dei grabbers) voglia appropriarsi di pezzi di Sahara. Chi si accaparra l’acqua? Soggetti pubblici o privati, Stati o grandi gruppi imprenditoriali, che acquisiscono il controllo di risorse idriche sottraendole a comunità locali che fondano la loro sopravvivenza proprio su quelle stesse risorse » .
SECONDO UNO STUDIO del Transnational Institute, The Global Water Grab, i quattro Paesi maggiormente colpiti da questo fenomeno
sono tutti africani: Gabon, Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Sud Sudan (Paesi già colpiti da dittature e guerre civili). Vuol dire in media circa duemila metri quadrati di acqua pro capite sottratta annualmente attraverso le acquisizioni di terre. I maggiori beneficiari (i grabbers più accaniti) si chiamano Gran Bretagna, Cina, Emirati Arabi, India, Israele, Svezia, Qatar (in misura minore anche l’Italia). Insomma: chi utilizza tanta acqua ne vuole (ne prende) ancora di più, chi ne ha poca ne avrà sempre meno. Paragonare la mappa del water grabbing con quella dello stress idrico, che misura il prelievo annuale di acqua dolce (in percentuale sul totale disponibile), è un esercizio interessante: in tutta l’Africa il livello è basso (si usa meno del 10 per cento dell’acqua disponibile) mentre in Medio Oriente e in ampie zone dell’Asia (ma anche degli Stati Uniti e dell’Italia centro-meridionale) si registra un livello di stress estremo (più dell’80 per cento di “prelievo” idrico sul totale disponibile). Significa che l’Africa sfrutta poco le
[...] e l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, l’arida pietra nessun suono d’acque. / C’è solo ombra sotto questa roccia rossa, (venite all’ombra di questa roccia rossa), / e io vi mostrerò qualcosa di diverso dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra vostra che a sera incontro a voi si leva;/ in una manciata di polvere vi mostrerò la paura. (Thomas S. Eliot, La terra desolata, 1922)
sue risorse acquifere. E che in giro per il mondo ci sono grabbers che, sfruttando già per intero le proprie risorse, con la compiacenza di governi africani amici sottraggono una parte di quel poco a chi già non ne ha. La siccità che questa estate ha colpito l’Italia (manco fosse la terra dei Masai sotto il Kilimangiaro) può servirci (almeno) a non dare più per scontato l’oro blu di casa nostra. A non sprecarlo. A conservarlo. E forse a considerare meno “marziani” coloro che fuggono da ampie fette di mondo dove il rubinetto (o lo sciacquone) sono un lusso per pochi: quel miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, quei due miliardi che non godono di servizi igienico-sanitari di base.
E POI C’È LA GEOPOLITICA ( anche in versione micro): i conflitti liquidi non interessano più soltanto Paesi rissosi o variamente autoritari, come l’Egitto e l’Etiopia per il controllo
II CONFLITTI NON INTERESSANO PIÙ SOLO PAESI RISSOSI. LA LOTTA È ARRIVATA ANCHE IN FLORIDA E GEORGIA
del Nilo. Già anni fa, negli Stati Uniti, mi aveva molto colpito la diatriba fra Georgia, Tennessee, Florida e Alabama a proposito di un paio di fiumi che zigzagano fra gli Stati del Sud. La Georgia voleva più acqua per le docce di Atlanta, la Florida ne reclamava per gli allevamenti di ostriche, all’Alabama serviva per raffreddare la nuova centrale nucleare. Non ricordo come sia finita quella guerra fra tribunali e carte bollate. Ma immaginatevi, per ipotesi, un water grabbing al contrario: che cosa sarebbe successo se, nel bel mezzo della crisi idrica, un’azienda di fiori di Nairobi si fosse presentata con un pacco di soldi (o avesse corrotto un paio di amministratori locali) per “acquisire” una quota, non dico del Mississippi, ma anche solo del piccolo, anonimo Apalachicola?