MANO LIBERA
Chi insulta un disabile non ha diritto all’anonimato
MA IL NOME? È passato un mese da quando un anonimo ha affisso in un centro commerciale di Carugate (Milano) quell’ignobile cartello di invettive («Sono contento che ti sia capitata questa disgrazia!») contro il portatore di handicap che, trovato occupato il posto per disabili, si era rivolto ai vigili perché il prepotente venisse almeno multato. Un mese. Il tempo interminabile che impiegavano i nostri nonni per andare da Le Havre a New York. Eppure il nome di quel «signore» non è mai uscito. Si sa che è brianzolo, che ha circa quarant’anni, che abita dalle parti di Carugate. Pare perfino sia laureato. Fine. Ma, come ha scritto sul Corriere Gianni Santucci, «Questura di Milano e Procura di Monza non lasciano filtrare informazioni sull’identità dell’uomo». Privacy.
PER CARITÀ, come dice l’Authority quello alla protezione dei dati personali «è un diritto fondamentale dell’individuo tutelato dal Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), oltre che da vari altri atti normativi italiani e internazionali» e «grazie ad esso ogni individuo può pretendere che i propri dati personali siano trattati da terzi solo nel rispetto delle regole e dei principi stabiliti dalla legge». Ma non c’è giorno che Iddio mandi in terra senza che quel diritto alla privacy venga violato. Perfino nei casi in cui chi ha rubato una scatola di tonno al supermercato è un vecchio senza soldi o
(peggio ancora) un immigrato. Sia chiaro: del nome e del cognome di quel figuro che per vendicarsi della multa presa per il parcheggio ha ideato quel cartello non ci interessa un fico secco. Nonostante il cartello fosse «stampato al computer in due colori, plastificato, fatto probabilmente il giorno dopo aver preso la multa per aver parcheggiato abusivamente su un posteggio riservato». Elementi che, come ha scritto Santucci, «escludono l’ipotesi di un gesto di impeto e implicano al contrario una laboriosa preparazione».
E QUESTO È IL PUNTO: se la merita, uno così, l’indulgenza bonaria dell’anonimato? Caso chiuso con una semplice lettera di scuse alla Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) inviata dopo un mese e su ovvio consiglio dell’avvocato? Certo, la gogna è una brutta cosa, ma non è questo uno dei casi in cui sarebbe utile la «sanzione morale»? Per anni la politica, in particolare a proposito delle norme per regolare i conflitti di interesse e reati limitrofi alla cattiva amministrazione, ha discusso intorno ai benefici di questa famosa «sanzione morale». Per indurre il reo a riportarsi sulla retta via. Con lo stesso metro: un vicino di casa di quell’anonimo di cui parliamo potrebbe o no rivendicare il diritto di sapere se «quel signore lì» è capace di sputare in faccia a un disabile certe frasi infami? Magari potrebbe scegliere di non andare più a mangiarci insieme una pizza, di non comprare più nulla nel suo negozio, di non frequentare più la sua officina… Cose così, estranee a ogni forma di violenza. Solo un modo per dire: non mi piaci. Senza bisogno del pollice verso di emoticon… A meno che il magistrato, saggiamente, non decida di appioppare al troglodita troppo tardi «pentito» la pena più severa: fargli spingere per qualche settimana almeno la carrozzina di un disabile. Chissà, magari capirebbe perfino lui…