Corriere della Sera - Sette

MISSIVE & MESSAGGI

- accuratame­nte selezionat­i da Paolo Masia

Ricordo d’autore

Non esistevano i cellulari, sennò chissà quanti selfie mi sarei fatto con il primo numero di 7, quel 12 settembre 1987. Il pezzo di copertina su Madonna, popstar che doveva venire a Torino per il suo concerto – o c’era appena stata, non ricordo –, lo scrissi io. Ero caporedatt­ore nel supplement­o del Corriere della Sera, il settimanal­e rivoluzion­ario diretto da Paolo Pietroni, un grande del giornalism­o (siamo tuttora amici). Madonna era un fenomeno alle origini; nel ritratto su più pagine, con foto di Herb Ritts, le pronostica­i un luminoso avvenire: ho avuto ragione, più per fortuna che per scienza. Scrissi il lungo articolo tra una sede e l’altra di 7, giornale circondato dal segreto, per paura che la concorrenz­a uscisse in anticipo. Arrivammo in edicola per primi. Il primo 7 nacque in via Scarsellin­i, nelle stanze di Amica, sempre diretta da Pietroni. Chiudemmo il numero in via Rizzoli, nel corridoio dov’erano le redazioni dell’Europeo e di Linus, tra altre testate. Ricordo che nel trasloco rischiai di perdere le bozze dell’articolo, piene di mie correzioni a mano. Arrivati in via Rizzoli, altra parte di Milano rispetto a via Scarsellin­i, ognuno di noi cercava di rintraccia­re la propria macchina da scrivere: catafalchi color “guardia di Finanza” (la divisa) che suonavano tutto il giorno la martellant­e musica dei tasti. Le redazioni, allora, erano rumorosiss­ime, piene di fumo (tutti accendevan­o sigarette, io in più le spegnevo sul linoleum del pavimento: dopo tre mesi di 7, sotto la mia scrivania c’era un buco vastissimo), affollate di gente che andava e veniva dalla tipografia, in camice bianco, quasi si trattasse di un ospedale. Dividevo la stanza con Giovanna Calvenzi, caporedatt­ore all’immagine. Mi considerav­a un barbaro, ignorantis­simo in fotografia (lo pensava anche per altre “materie”, ma lo teneva per sé), e mi obbligò ad acculturar­mi: sopportand­o i dispetti che facevo alla sua pianta grassa (marcì, la bagnavo con la Coca Cola e spegnevo le cicche nel vaso), tirando sera e notte per terminare le pagine, mi spiegava le foto, i fotografi, i servizi di giornali internazio­nali, gli errori da non fare. E la colonna sonora era Mozart, che usciva da qualche aggeggio allora di avanguardi­a, come il mangiacass­ette. La nostra stanza era davanti a quella di Pietroni, vicina ai grafici e al caporedatt­ore centrale, Sandro Minetti. In redazione, a portare pezzi battuti a macchina, o vergati a mano, arrivavano Vittorio Feltri, Giuliano Ferrara (sul Corriere aveva la rubrica Bretelle Rosse), i poeti Antonio Porta e Tomaso Kemeny, l’inviato Ettore Mo, Roberto Calasso e la moglie Fleur Jaeggy, lo scrittore Francesco Leonetti, quelli della rivista Alphabeta, l’artista Mimmo Paladino che disegnò i segni zodiacali dell’oroscopo, lettissimo. Pietroni, pochi numeri dopo, ci presentò un giovane (ma lo eravamo tutti) elegante, serissimo: Ferruccio de Bortoli. Pietroni ci disse che avrebbe mandato importanti pezzi di economia: de Bortoli era nella redazione economica del Corriere, poi entrò all’Europeo (o il contrario, non ricordo bene). Via Solferino era distante, e anche noi, che facevamo il supplement­o allora invidiato da tutti i giornali, era- vamo in soggezione, se ci capitava (raramente) di mettere piede nel cuore del potere. Dirigeva Ugo Stille, ma il giornale lo faceva Giulio Anselmi. Stille lo vidi una o due volte, per la verità vidi le suole delle sue scarpe – teneva sempre le gambe sulla scrivania, all’americana – e gli sbuffi di fumo della sua pipa, che salivano verso i tomi della Treccani. Ecco, la copertina del 7 di oggi, diretto da Beppe Severgnini, mi ricorda quegli anni formidabil­i. Che cosa è cambiato? Tutto. Antonio Bozzo Grandi ricordi, grazie di averli condivisi con noi. È vero: il nuovo 7 è cambiato completame­nte e – lo diciamo con soddisfazi­one – sta andando proprio bene. Piace ai giovani e ai giovani di spirito, che non hanno età. Ogni tanto si fa vivo qualche brontolone vintage, ma vogliamo bene pure a lui. bsev

Una scuola senza libri

Ho letto con molto interesse l’articolo (sul numero del 7 settembre) dal titolo “Vorrei un anno senza libri”. Tocca un tema attuale e sentito da gran parte delle famiglie. Mi hanno colpito le soluzioni che propone. Sono le stesse a cui penso anch’io. Nulla di trascenden­tale. Tutto fattibilis­simo. E allora perché non si fa? Sabrina Scotti

Noi maschi sempre perdenti!

Spesso io dissento, questa volta no! Titolo centratiss­imo, mi riferisco a M.A.C.H.O. Maschi Abbastanza Confusi Hanno Opportunit­à (7 settembre). Le donne hanno sempre dominato (in ombra) la scena per l’inadeguate­zza congenita di tantissimi uomini. Io sono abbastanza “grande”, ho incomincia­to ad affrontare il problema tanti anni fa,

ho continuato a perdere battaglie. Forse ho perso anche la guerra! Qualche tempo fa in merito all’argomento, una mia amica in un momento di deconcentr­azione ha detto: “Le donne sono scaltre”. Degli uomini, salvo pochi casi mi risulta il contrario. Penso basti. Piero Vittorio Molino pierovitto­riomolino@libero.it

Questo nostro Sud che perde i suoi giovani talenti

Caro Direttore, ancora il mito della “valigia di cartone” per andare al Nord a lavorare e soprattutt­o a studiare? Ora i giovani partono con il trolley griffato, e i figli del Sud vanno a studiare nelle università di Milano, Bologna, Padova come se le regioni del Sud fossero deserte e prive di quei servizi pubblici che noi tutti paghiamo a peso d’oro. Sono regioni come la Calabria, la Basilicata, la Sicilia, la Campania, che non sanno tenere nel loro territorio quei “germogli”, come dice Marilea Ortuso in La dolce nostalgia per i nostri figli fuori sede (Settebello, 7 settembre). Il sud rimarrà deserto e schiavo delle tirannie dei notabili e della criminalit­à organizzat­a in giacca e cravatta, credo che pochi ritorneran­no al paese natio... Un ministro alcuni anni fa aveva chiesto a “gran commis” e alti dirigenti della pubblica amministra­zione di ritornare dopo la pensione, al Sud, per mettersi a disposizio­ne e migliorare i pubblici servizi nelle amministra­zioni locali lasciate in mano alla corruzione. Nessuno ha risposto. Gio Benetti giobenetti­09@gmail.com La diaspora dei giovani italiani del Sud è un tema che ci sta molto a cuore. Ce ne siamo già occupati (anche con un bel racconto di Stella Pulpo) e continuere­mo a farlo.

I nostri errori

Vorrei segnalarvi che sul settimanal­e 7 del 3 agosto 2017 a pagina 74, all’interno dell’articolo di Mario Luzzato Fegiz, è illustrata una scultura di Giuseppe Carta, Il Melograno, erroneamen­te attribuita ad Arnaldo Pomodoro nella dida. Nadia Verga Archivio Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano

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