DIPENDENTI
Crescono le piccole e medie impresi cinesi con lavoratori italiani. Tutti contenti?
L'APPUNTAMENTO è alle nove di mattina in una zona residenziale di Milano. Villette borghesi, un parco curato, una scuola privata. Arrivo in leggero ritardo. Il custode mi dice che «il titolare ne ha approfittato per bere un caffè». Tornerà a momenti. Una ragazza dai capelli rossi mi invita a entrare in un ufficio al piano terra. Chiede se sono lì «per il colloquio». Rispondo di no. Mi fa accomodare su un divano di pelle nera. Intorno a
Non ci sono solo il controllo di grandi gruppi, come Pirelli, Inter e Milan, e la costellazione di ristoranti e negozi. Crescono anche le piccole e medie imprese cinesi con dipendenti italiani. Lavoratori soddisfatti? Spesso, non sempre
me vetrate luminose, piante, manichini, manifesti pubblicitari e foto di sfilate. Qualche minuto dopo arriva un gruppo di ragazzi. Sono il team della Cvg. Non è una start up, né una società aperta da qualche rampollo creativo. È un’azienda di abbigliamento, nata nel 2007, con 50 punti vendita e 500 dipendenti, per la maggior parte italiani, come la produzione. Il fondatore, invece, è cinese. Si chiama Wu Wujie ha 32 anni e vive in Italia da quando ne aveva 16. I genitori sono grossisti, lui però voleva fare «qualcosa di diverso». E ci è riuscito. Non è un caso isolato. A Milano ci sono sempre più aziende cinesi con dipendenti italiani, spesso giovani e laureati. Ragazzi che, senza queste nuove realtà, farebbero ancora più fatica a trovare un lavoro. Capitali e investitori cinesi hanno acquisito
grandi gruppi: Milan, Inter e Pirelli, solo per citarne alcuni. Molti cittadini cinesi gestiscono da anni ristoranti, centri estetici, negozi di gadget e abbigliamento all’ingrosso. Ma la vera novità è la conquista dell’imprenditoria tradizionalmente italiana. Quella piccola e media, che, per anni, è stata il tratto distintivo e la locomotiva della nostra economia. È una nuova terra di mezzo tra Cina e Italia. I contratti sono regolari, molti a tempo indeterminato. Gli stipendi vanno in media dai 1200 ai 2500 euro, a seconda della posizione. I rapporti sono «diretti e meno gerarchici», mi dicono in tanti. Secondo la Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi le ditte individuali con titolare cinese a Milano sono 5.454. Rappresentano l’11% del totale italiano che è di 48.285 e in un anno sono cresciute del 4,2% (rispetto al +2,8% nazionale). Nel capoluogo lombardo danno lavoro a quasi 14mila persone. Gli italiani sono circa 1.500. Queste imprese operano soprattutto nel commercio (1.679), nella ristorazione (1.358) e nei servizi (1.064).
VALENTINA ROSTI, 33 anni, è in Cvg dal 2015, si occupa della selezione del personale. Faceva lo stesso lavoro in un’azienda a gestione italiana, ma non tornerebbe più indietro. «Qui è tutto più diretto, efficace, veloce. Si va dritti agli obiettivi», racconta. «Ho più prospettive di carriera. Sono in un ambiente meritocratico, dove si premia chi è bravo, non chi è più simpatico». E lo stakanovismo cinese? «Si lavora tanto. Bisogna stare al passo. Ma si perde poco tempo. Nell’orario d’ufficio non ci sono distrazioni». Stefano Di Giorgio, 38 anni, è con Wu Wujie dall’inizio. «Voleva differenziarsi rispetto ai marchi di abbigliamento cinese e fare un prodotto italiano, di qualità», ricorda. «Abbiamo lavorato sodo, portando quasi tutta la produzione qui,
scegliendo architetti italiani per l’arredo dei negozi. Wujie è stato il primo cinese a aprire una catena di moda nei centri commerciali. Il valore aggiunto del nostro rapporto professionale sono la fiducia e la contaminazione. Io sono diventato un po’ più cinese e lui un po’ più italiano».
ANCHE PER "LUCA" SHENG SONG, 33 anni, la sinergia culturale è alla base del suo successo imprenditoriale. Arrivato a Milano a 4 anni, si è laureato in management all’Università Bocconi. Nel 2013 ha fondato China Power, prima e unica società etnica di energia in Europa. «Diamo gas e luce alle Pmi cinesi. Acquistiamo le forniture grazie al libero mercato e offriamo la bollettazione in cinese, così abbattiamo le