AGADEZ
COSA C’È DIETRO IL VELO DEGLI UOMINI DI
La capitale dei tuareg era una città sicura nel mezzo del deserto. Negli ultimi dieci anni è diventata il pericoloso crocevia di traffici sporchi e rotte dei migranti. Il sindaco sta provando a renderla più vivibile. Ma ora il calo del fenomeno migratorio rischia di favorire l’espansione del jihadismo
«LA MIGRAZIONE È UNA RETE fatta di individui potenti che hanno molti, molti soldi». Un’affermazione coraggiosa che acquista ancora più valore se a pronunciarla è Rhissa Feltou, sindaco tuareg della città nigerina di Agadez, la storica “porta del deserto” ai margini del Sahara. Fino a una decina di anni fa era relativamente sicura. Poi è diventata teatro di traffici e banditismi di vario genere che le autorità, nonostante qualche tentativo, non riescono a controllare. È da questo crocevia, infatti che, negli ultimi vent’anni, sono passate centinaia di migliaia di persone provenienti da ogni Stato dell’Africa occidentale e centrale. Arrivarci, però, non è mai stato facile. Ho percorso due volte il tragitto partendo da Niamey, capitale del Niger. Durante i quasi mille chilometri e le 17 ore di bus ho tentato di confondermi tra i passeggeri sfruttando il colore della mia pelle e le mie origini togolesi. Ad ogni posto di blocco, poliziotti, gendarmi e militari confiscano i documenti, costringono i migranti a scendere e li raggruppano in una stanza. Si viene insultati, percossi,
e detenuti fino a quando non si paga la “tassa” di transito. Chi non ha soldi viene portato via. Solo la spedizione di denaro da parte di amici o familiari può permettere la continuazione del viaggio. Fondata nel quattordicesimo secolo, Agadez è diventata in seguito una tappa fondamentale per il commercio transahariano. Oggi, ogni settimana, un convo- glio militare percorre la via verso la frontiera con la Libia. I camion carichi di soldati con i fucili Ak-47 in mano fanno da scorta a mercanzia e migranti. Di quest’ultimi, solo il dieci per cento che parte dall’Africa occidentale utilizza la via del mare. Il restante 90 per cento preferisce viaggiare via terra. Sebbene sia impossibile avere cifre esatte sui numeri di migranti in marcia, un fatto è però certo: sono tanti e in cerca di lavoro. Tutti intenzionati a sfidare l’oceano di sabbia che non perdona per raggiungere il Nord Africa o, in percentuale assai minore, l’Europa. Uno dei percorsi più rischiosi al mondo e di cui non si riusciranno mai a contare le vittime. «Abbiamo trovato otto migranti, tra cui cinque bambini, tutti morti
FRA I TUAREG MUSULMANI È L’UOMO A COPRIRSI QUASI INTERAMENTE IL VISO INDOSSANDO VELO E TURBANTI
di sete», aveva confermato pochi mesi fa alla stampa Feltou in una delle telefonate avute con le autorità a Niamey, le organizzazioni umanitarie e i giornalisti. Diverse volte infatti il sindaco ha dovuto accertare morti, saccheggi, e file di sconosciuti in cammino senza acqua né cibo. I cimiteri nel deserto sono però sprovvisti di tombe, bare o epitaffi. «Nel corso del 2016 i migranti che hanno attraversato il Paese sono stati almeno 335mila», recita un rapporto dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim). Tra di essi sono stati scoperti 34 corpi senza vita nella cittadina di Assamakka, a pochissimi chilometri dal confine con l’Algeria. Erano lì da una settimana e almeno 20 appartenevano a minorenni. Sono deceduti mentre tentavano a tutti i costi di raggiungere il centro abitato più vicino.
DA QUANDO L’UNIONE EUROPEA ha aumentato il finanziamento di progetti e centri di accoglienza per i migranti, Agadez ha iniziato a svuotarsi. I circa 50 ghetti in cui venivano raggruppati uomini, donne e bambini pronti a migrare sembrano spariti. Fino a poco
tempo prima li si vedeva verso la periferia della città, dentro strutture fatte di mattoni, arbusti o sacchi di plastica. Gli individui incaricati di gestire i gruppi di passeggeri annotavano tutto su un quaderno: nomi, cognomi, età, mezzo con cui viaggiare e destinazione. Era un processo ben organizzato. Le attese potevano durare anni. Le autorità tolleravano e ammettevano di sfruttare tale mercato. Dal 2016, invece, alcuni trafficanti sono stati arrestati. Complice una legge contro il traffico di esseri umani che il Parlamento nigerino ha approvato in modo unanime a metà del 2015. Le nuove normative sono basate su un protocollo dell’Onu che, attraverso le varie agenzie, ha lanciato delle campagne d’informazione contro l’illegalità di questo fenomeno migratorio e il rischio che possa collegarsi alle reti del terrorismo islamico. Il giornalista locale, Ibrahim Manzo Diallo, ha però raccolto molte opinioni contrarie rispetto a quelle espresse da gran parte degli organi internazionali che vogliono combattere la migrazione. Secondo lui, infatti, è proprio la mancanza di tale mercato migratorio che sta aumentando l’ondata di jihadismo nella regione. «Molti ex trafficanti e migranti ritrovatisi senza lavoro
e speranze a causa delle politiche dell’Unione Europea potrebbero essere reclutati dai vari gruppi jihadisti del Sahara», scrive Diallo.
SEMPRE PIÙ PERSONE, nigerine o provenienti dagli Stati limitrofi, si sono avventurate nel mercato dell’oro. Il territorio circostante, in particolare l’altopiano dell’Aïr , nasconde infatti diversi giacimenti del prezioso metallo giallo. Il mestiere è però molto pericoloso e non sempre redditizio. È un lavoro che a volte si paga con la vita. La comunità internazionale ha invece avviato alcuni programmi legati all’agricoltura. In realtà si tratta di un errore poiché nel deserto è difficile coltivare e la gente del posto predilige l’allevamento. Il mercato del bestiame è infatti una delle poche attività che continua a sopravvivere, seppur con difficoltà legate soprattutto alla siccità. A poca distanza dalla Grande Moschea in argilla del XIV secolo, la compravendita di cammelli, vacche e capre è rimasta sostanzialmente immutata. Essendo culturalmente nomade e dedita alla pastorizia, la popolazione si riunisce regolarmente per commerciare gli animali che serviranno a provvedere al proprio cibo e trasporto. Come succedeva secoli
S SEMPRE PIÙ PERSONE SI AVVENTURANO NELLA RICERCA DELL’ORO FRA LE SABBIE DEL DESERTO. UN MESTIERE PERICOLOSO
fa, vecchi e giovani discutono animatamente qualità e quantità della merce. Anche gli indumenti tradizionali, lunghi e colorati, sono rimasti gli stessi. Il più rappresentativo della regione si chiama tagelmust. I tuareg sono una comunità in gran parte musulmana dove è l’uomo a indossare il velo, o turbante, coprendosi quasi tutto il viso, più della stessa don- na. Un’usanza legata più all’imbarazzo di mostrare la propria bocca che al mistero. Soprattutto quando indossato dagli uomini adulti, serve a celare le proprie sembianze in presenza di estranei o gente di rango superiore. Il tessuto fatto di soffice cotone può oltrepassare i dieci metri di lunghezza. Il tagelmust è anche fondamentale per proteggere la testa e il collo da sole, vento e le improvvise tempeste di sabbia.
IL DESERTO STA INFATTI avanzando e cambiando la morfologia del territorio. I tuareg più anziani ricordano bene quando la città giaceva in mezzo al verde. La temperatura non era così cocente durante gran parte della giornata. Distendersi su una stuoia sotto un
albero, anche nelle ore più calde, era un’abitudine piacevole. A causa del cambiamento climatico, invece, le temperature raggiungono spesso punte di 50 gradi, mentre le alluvioni riescono a distruggere intere abitazioni e strade. Ma non è cambiato solo il clima. Dal 2007 Agadez subisce ribellioni, attentati e rapimenti. Una delle mete turistiche più ambite in Africa occidentale è ora preda dell’insicurezza. Per contrastare criminalità e terrorismo, gli eserciti di potenze straniere come Stati Uniti e Francia hanno installato delle basi militari da cui lanciare discrete operazioni e controllare il territorio con i droni. Le forze di sicurezza nigerine sono anch’esse molto armate e sempre in allerta. Tutti infatti san- no che l’instabilità nella regione ha fatto perdere ad Agadez il fascino per cui era nota al mondo.