Corriere della Sera - Sette

«Le mie vittorie aiutano le ragazze nere a guardare in alto»

20 anni, è la più forte ginnasta della storia (uno sport dominato da atlete bianche o asiatiche). «Avere modelli serve, ed è servito anche a me», spiega, convinta che i suoi successi siano uno stimolo per le giovani afroameric­ane. Di Obama, Trump e razzis

- di Viviana Mazza

HOUSTON — «Sapere che ginnaste come me e Gabby Douglas e atlete come Serena Williams o la ballerina Misty Copeland ce l’hanno fatta, per le ragazze afroameric­ane significa avere modelli cui guardare. Fa capire loro che possono fare tante cose ed essere tutto ciò che vogliono». Il fatto che Obama è stato presidente ha cambiato qualcosa? «Molte ragazze non vedono le opportunit­à. Da bambina trovare una Barbie nera era così raro che diventava subito la tua migliore amica. Ora Gabby ha lanciato una sua Barbie, e sono contenta per lei e perché piacerà un sacco alle bambine. Avere modelli aiuta». E tu hai un modello? «Fuori dallo sport i miei genitori. Nella ginnastica artistica Alicia Sacramone ( bionda, italoameri­cana, medaglia d’argento alle Olimpiadi 2008, ora 29enne in pensione, ndr). Volevo essere proprio come lei perché aveva potenza, grazia: aveva tutto. Non faceva le parallele, e anch’io dicevo che non le avrei fatte… ma ora le faccio». Simone Biles è la più forte e premiata ginnasta americana – secondo alcuni la più grande di tutti i tempi. Alta un

metro e 46 è un concentrat­o di velocità, forza, precisione e determinaz­ione. Con il suo doppio teso con mezzo avvitament­o (un movimento che viene chiamato The Biles perché inimitabil­e) sfida le leggi della gravità. Molti ginnasti riescono ad eccellere in una disciplina, ma Simone, imbattibil­e nel corpo libero, è straordina­ria pure nel volteggio e alla trave. Le Olimpiadi di Rio – con 4 medaglie d’oro e una di bronzo, che si aggiungono alle 14 dei Campionati Mondiali – hanno consacrato la sua fama. Nera in uno sport dominato tradiziona­lmente da atlete bianche o asiatiche, è una rivoluzion­aria, una role model. La incontriam­o nella grande palestra che la sua famiglia gestisce a Houston, in Texas. All’ingresso un papà afroameric­ano accompagna due bimbe di tre e quattro anni in body, pronte a emulare la loro eroina. Ma a vent’anni Simone sa che la ginnastica artistica non è un “paese per vecchi”: così, mentre comincia ad allenarsi per le prossime Olimpiadi, a Tokyo nel 2020, ci racconta che sta già pensando a cosa fare da grande. Quanto ti alleni? «34 ore a settimana: sei al giorno, quattro di sabato. Domenica libera: andiamo in chiesa e ceniamo in famiglia». Qual è il segreto del “Biles”? «Per me non è così pazzesco, perché sento sempre di avere il completo controllo in aria. Ho sempre avuto un senso dell’aria, sin da bambina, ma negli anni impari anche come correggert­i. Il mio motto è: punta al 100% negli allenament­i, anche se pensi che stai per cadere. Così in gara saprai come gestire l’errore anziché perdere la testa». A farti da genitori sono stati tuo nonno Ron e sua moglie Nellie. Ti hanno adottata a tre anni insieme a tua sorella e vi hanno cresciute con i loro due figli perché tua madre Shannon aveva problemi di alcol e droga, come anche tuo padre. Qualcuno dice che sai cadere in piedi come ginnasta perché hai dovuto imparare a farlo nella vita. «In realtà io non sento di aver avuto un’infanzia difficile, perché i miei nonni erano lì per noi ed ero così piccola, non mi ricordo molto». Negli ultimi anni Shannon ha detto che non fa più uso di droghe e che ti vuole bene. Vi sentite spesso? «Solo per i compleanni, Pasqua, Natale. Quand’ero piccola aveva problemi, così i miei genitori ( i nonni, ndr) non volevano che noi bambine fossimo esposte a quella situazione. Ora che siamo cresciute, abbiamo messo dei paletti. E siccome di persona non la vedo da tempo, non saprei di che parlare». Una volta Nellie ha invitato Shannon a una competizio­ne, e tu sei caduta. «Voleva vedermi gareggiare, non pensavo che sarebbe stato un problema, ma poi c’erano anche altri familiari, tutti volevano passare del tempo insieme: era difficile concentrar­si. Però non darei necessaria­mente la colpa a loro. Sono caduta perché succede. Ma quanto ho pianto dopo!» Quest’estate in America una ragazza è stata uccisa a una manifestaz­ione di suprematis­ti bianchi, poi Trump ha cominciato ad attaccare gli atleti afroameric­ani che si sono inginocchi­ati per protesta durante l’inno nazionale. Queste cose influenzan­o il modo in cui vedi il tuo Paese? «Sì, ma non ne posso parlare». Perché qualunque cosa dici diventereb­be un caso? «Sì». Meglio non farsi coinvolger­e? «Noi ginnaste viviamo nella nostra bolla, ho passato tutta la mia vita in palestra, anche se quando cresci cominci a notare di più le cose». Ma anche dentro la “bolla” esiste il razzismo. Nel 2013, l’italiana Carlotta Ferlito, arrivata quinta alla trave ai Mondiali di Anversa (tu avevi vinto il bronzo), disse: «La prossima volta ci dipingerem­o la pelle di nero così da poter vincere anche noi». «Credo che fosse triste, dispiaciut­a e le emozioni hanno scatenato quel che ha detto. Non avrebbe dovuto, ma è andata così. Alla fine però si è scusata». Poi il portavoce della Federazion­e italiana infiammò di nuovo la polemica dicendo che il nuovo codice dei

«Il mio motto è: punta al 100 per cento in allenament­o anche se pensi di cadere. In gara non perderai la testa e gestirai l’errore»

punteggi aiuta le persone di colore, più forti e muscolose, penalizzan­do il più artistico stile est-europeo». «Ho la sensazione che tutti abbiano la loro idea di ciò che la ginnastica artistica dovrebbe essere. La parte artistica del nostro sport è soggettiva, ed è per questo che puoi scegliere esercizi adatti al tuo corpo. Io non sono certo una ballerina: mi avete vista, sono muscolosa. Perché dovrei esibirmi in movimenti da danza classica, mentre posso fare quel che il mio corpo sa fare? Negli anni la po- tenza è diventata più importante, anche perché è cambiato il codice. Ora tutti possono usarlo a proprio vantaggio». Ti capita di essere insultata sui social per il tuo aspetto? «Nella corsa, nel nuoto, nella ginnastica, nella pallavolo, indossiamo uniformi striminzit­e, perciò è facile prenderci di mira. Però più ci sono celebrità diverse dalla tipica modella supermagra, più i giovani capiscono che ogni tipo di corpo è bello e che quel che conta è cosa ne fai. Serena usa il suo corpo per la potenza, Beyoncé per la bellezza in sé,

«Quando ero piccola mia madre aveva dei problemi ( di droga, ndr). Ora ci sentiamo al telefono per le feste»

ed entrambe sono delle icone». E tu come usi il tuo corpo? «Più per la potenza, come Serena. Ma a volte posso essere aggraziata, credo» (sorride). Rispondi agli attacchi o ci resti male come è capitato a Gabby quando è stata criticata per non aver messo la mano sul petto durante l’inno nazionale? «Per la maggior parte li ignoro. Dicono quelle cose perché possono nasconders­i dietro il computer o il telefono, vogliono solo attenzione. A volte rispondo, senza scendere al loro livello. Quando mi hanno scritto che non sono un buon modello per le ragazze perché ero andata in vacanza con la famiglia alle Hawaii, mi ribolliva il sangue. Ci vedono sempre in palestra e pensano che il nostro unico compito sia di intrattene­re la gente, ma siamo anche delle persone normali!» Volevi andare all’università, ma diventando profession­ista non l’hai potuto fare. Ti manca quell’esperienza? «È un po’ dura guardare gli altri andare al college: vivere in dormitorio è la fase più divertente di tutte. Sento che sto perdendo queste esperienze, ma posso sempre

«Mi alleno sei ore al giorno, quattro al sabato. Alla domenica andiamo in chiesa e ceniamo in famiglia»

recuperarl­e, mentre le cose che sto facendo non potrò ripeterle mai più». Dopo Tokyo andrai all’università? «Probabilme­nte. Mia madre vuole che cominci già a fare dei corsi online. Vediamo se riesco a bilanciarl­i con gli allenament­i». Sei sotto i riflettori sin da piccolissi­ma. A volte vorresti… «Fuggire? A volte sì…ed è a questo che servono le vacanze… e dormire: solo quando dormi puoi fuggire dal mondo, spegnere tutti i pensieri e le emozioni. È che nessuno ti può insegnare a gestire la fama. Tutti sanno chi sei e hanno aspettativ­e su di te prima che tu possa formularle per te stessa. Corrono da te, ti abbraccian­o, si comportano come se ti conoscesse­ro perché ti hanno vista dappertutt­o. Tu non hai modo di identifica­rti con loro mentre loro possono identifica­rsi con te». Però la fama dà delle opportunit­à…hai incontrato Zac Efron. «Sì (ride), alle Olimpiadi, pensavo di svenire! È stato così carino…». Il tuo fidanzato sarà stato geloso. «Niente fidanzato, quindi tutto bene (ride)». Sei stata anche a Ballando con le stelle. «Adoro ballare, ma non è una cosa in cui mi sentivo sicura. Non avevo mai ballato sui tacchi, ed era la prima prima volta con un ragazzo». Come ti vedi tra vent’anni? «A 40 spero di avere dei figli e un marito e ovviamente di lavorare». Che lavoro? «Qualcosa legato al business dello sport». Tipo gestire la palestra? «No, no…». Perché no? «Avrò sempre la ginnastica cui tornare, ma voglio provare altre cose». Allora l’avvocato? «Mhmm, in effetti sono brava a litigare». Hai le idee piuttosto chiare. «Sì, perché nella ginnastica impari a stabilire degli obiettivi sin da piccola. Siamo auto-motivate, ambiziose e sappiamo sempre quel che vogliamo».

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 ??  ?? STUDI ONLINE Simone Biles riceve il premio Kids’ Choice Sports Awards 2017, a Los Angeles. «Dopo i Giochi di Tokyo del 2020», dice, «andrò all’università. Intanto potrei cominciare a seguire corsi online»
STUDI ONLINE Simone Biles riceve il premio Kids’ Choice Sports Awards 2017, a Los Angeles. «Dopo i Giochi di Tokyo del 2020», dice, «andrò all’università. Intanto potrei cominciare a seguire corsi online»
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 ??  ?? EQUILIBRIO VOLANTE Un volteggio durante l’esercizio alla trave, a Rio de Janeiro. A destra, a sei anni, con la sorella Adria
EQUILIBRIO VOLANTE Un volteggio durante l’esercizio alla trave, a Rio de Janeiro. A destra, a sei anni, con la sorella Adria
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