OUTSIDE THE BOX
Perché un lombardo o un veneto non dovrebbero sentirsi italiani? Perché un catalano non può sentirsi anche spagnolo, dopo aver condiviso tanta strada insieme con altre regioni – o nazioni – della Spagna? I grandi Stati nazionali da pochi decenni vivono in
Le nostre patrie sono cerchi concentrici
DIMENTICATE, SE POSSIBILE, la prepotente goffaggine del governo centrale spagnolo e la irritante superficialità di quello catalano. La questione sollevata dallo scontro sul referendum è semplice: quando e come una nazione può pretendere l’indipendenza? Conta la storia? La geografia? La lingua? La cultura? O la maggioranza? E quale maggioranza? Quella dello Stato che verrà o quella dello Stato che c’è già, ed è contrario alla separazione di una sua parte?
SONO DOMANDE SEMPLICI, ma le risposte sono difficili. Per questo abbiamo affidato la storia di copertina (pagine 18-25) a un collega esperto come Antonio Polito, che conosce la politica italiana e europea. Il suo viaggio nelle potenziali secessioni europee è preoccupante, e dimostra come, dalla storia, abbiamo imparato poco. I grandi Stati nazionali, che hanno provocato guerre e disastri per secoli, da pochi decenni sono in pace e collaborano all’interno dell’Unione Europea, rinunciando a parte della propria sovranità. Vogliamo buttare tutto?
LASCIAMO ALL’ANALISI di Polito, e alla mappa che correda il suo racconto, l’esame delle complicazioni europee. Restiamo all’Italia, che tra dieci giorni terrà due referendum sull’autonomia, in Lombardia e in Veneto. Come li abbiamo disinnescati? Dichiarandoci tutti favorevoli alla “maggiore autonomia”: che vuol dire tutto e niente, come le vicende regionali italiane dimostrano. C’è del metodo nella nostra follia, avrebbe detto Shakespeare (che non poteva prevedere Bossi e Salvini, ma conosceva il genere umano).
ESISTE UN COMUN DENOMINATORE continentale, nazionale, regionale, provinciale, locale, perfino rionale. Io sono nato nel centro di Crema, sono lombardo, sono italiano, sono europeo (me ne accorgo ogni volta che sbarco in America: I’m a European! » , protesto quando esagerano con l’aria condizionata). Siamo fatti come il tronco di un albero: cerchi concentrici. Se sono comunicanti, l’albero è in salute. Se sono si
gillati, l’albero avvizzisce.
C’È SEMPRE QUALCUNO che, in nome di un interesse, prova a convincerci che i cerchi del tronco sono, in effetti, muri e barriere. Ma non è vero. Non esiste un’unica patria. Perché un lombardo o un veneto non dovrebbero sentirsi italiani, come un sardo o un toscano? Fa parte della loro identità. Perché un catalano non può sentirsi anche spagnolo, dopo aver condiviso tanta strada insieme con altre regioni – o nazioni – della Spagna? Perché l’indipendenza è un sogno? Ma i sogni vanno spiegati. Non siamo Alice nel Giardino delle Meraviglie Politiche.
È UN SOGNO O UN INCUBO diventare un piccolo Stato marginale – 7,5 milioni di abitanti, un decimo del territorio dell’Italia – escluso, almeno temporaneamente, dalla Unione Europea che oggi ci riunisce e ci protegge? Gli scozzesi – orgogliosi e ammirevoli quanto i catalani – si sono posti questa domanda. E hanno risposto: forse no. L’unione fa la forza, anche in Europa. Sembrerà banale, ma è vero.
LASCIATE CHE GLI AGITATORI si agitino. La verità è semplice: la frantumazione dell’ordine europeo porterà, inevitabilmente, al disordine. E cosa uscirà dal disordine, nessuno lo sa. Ecco perché a Madrid potrebbero essere più rispettosi, e a Barcellona più cauti.