CRITICO ROTANTE
Sono un milanese tipico, adoro il sushi di Minoru
SONO UN MILANESE per molti versi assai tipico. Tra le tipicità c’è il desiderio costante di nutrirmi di cibo giapponese, o meglio di sushi. Che rispetto alla vasta cultura culinaria del Giappone è in realtà solo una percentuale minima, che a Milano diventa però un plebiscito consolidato in moda cittadina. Siamo arrivati al punto che abito in una delle città al mondo con il maggior numero di locali del Sol Levante: 400 e passa quelli censiti. Anche se poi a scavare si tratta spesso di cinesi: tanto per il milanese (in questo caso imbruttito) le differenze somatiche, di lingua e di gusto risultano indistinguibili. I giapponesi validi (censiti dalla Airg, l’Associazione Italiana dei Ristoratori Giapponesi) non sono più di 30. In ogni caso, tutti i milanesi si dipingono grandi esperti di tonno crudo, e ti spiegano la differenza tra katsuo, maguro e toro come se fosse una materia curriculare delle scuole della città. Da parte mia, anche qui come ogni buon milanese farebbe, cercherò di convincervi – con questo articolo – che naturalmente la mia passione è nata prima che il wasabi diventasse una moda. Una moda che anzi ho precorso e naturalmente contribuito a diffondere. Ecco dunque poche righe emozionate sul mio rapporto con Poporoya e “sushi-Shiro”, quel signore – che in realtà si chiama Minoru Hirazawa – che quando entri ed esci dal minuscolo locale in via Eustachi ti saluta con l’inconfondibile: «Ciao neeh», un misto giappomeneghino impossibile da rendere per scritto. Il locale, nato come negozio di alimentari giapponese, quest’anno festeggia i 40 anni di vita.
NEL 1984 ESORDIVA come ristorante di sushi, con 20 anni buoni di anticipo su tutto ciò che di modaiolo ne è seguito (anche su Shiro Poporoya, la recente emanazione per masse del ristorante originale). Il mio di esordio sui tavoli di legno di Shiro – 10 posti a sedere al massimo – è avvenuto poco dopo, a inizio anni Novanta: abitavo in zona, e il mio amico Alessio non concepiva cena fuori che non fosse da Shiro. E così in tenera età sono stato educato al sushi e al sashimi, al chirashi e ai temaki. Puri, senza ombra di fusion o di contaminazioni brasiliane. È il mio rifugio per il palato, una sorta di comfort food.
CONFLITTO D’INTERESSE