Corriere della Sera - Sette

MACCHINE DEL TEMPO

- ricordi pilotati da Stefano Rodi

La sala d’incisione viaggiante di Finardi

«STASERA SUONO A SANTO STEFANO BELBO, domani a Marano Lagunare, provincia di Udine lontana 497 chilometri. Il giorno dopo in provincia di Venezia. L’automobile, forse, è la mia vera casa». Eugenio Finardi non ha dubbi sulle quattro ruote: «Ci ho passato metà della vita, dormendoci anche di notte, non di rado». Per questo le vetture con cui è entrato in sintonia hanno bisogno di alcuni requisiti fondamenta­li. Uno in particolar­e: «Ci devono stare tre chitarre, e si deve poter star comodi per suonarne una». Sulla Kia Carnival, soprannomi­nata la “Bluesmobil­e”, avendo tolto l’ultima fila di poltroncin­e troneggiav­a un amplificat­ore per quella elettrica. Viaggi lunghi, di solito con alla guida il fedele amico d’infanzia Mario Camerini, fratello del cantante Alberto. «Non mi hanno mai attratto le auto veloci, tipo Porsche per intendersi. Adoro quelle “furgonate”. Come il Berlingo, che ho tenuto per 12 anni». Poi un Leoncino Subaru, quattro ruote motrici. «Beveva come un irlandese, ma teneva la strada alla grande». Il totale di chilometri percorso è incalcolab­ile. Diversi giri della terra completi, impossibil­e dire quanti, tutti accompagna­ti da tanta musica. La monotappa più lunga una decina di anni fa, con la Bluesmobil­e, sempre in compagnia di Mario. «Partimmo verso le due di notte da Marina di Ragusa dove avevo suonato al Festival blues. Alle sei del pomeriggio salivo sul palco a Firenze, alla Festa dell’Unità. Quella volta non gli diedi neanche un cambio perché dovevo recuperare energie. Una volta arrivati lui è sceso, ha chiuso la portiera, e ha detto: “Basta, mi licenzio”. E lo ha fatto davvero». Sempre con lui, nei primi Anni 70, Finardi aveva macinato un Milano-Milazzo, con una 600 color grigio topo. «Amicizia e musica producono grande energia».

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