Questo romanzo di Saunders sui morti l’avrebbe scritto molto meglio Totò
IL WASHINGTON POST dice che Lincoln nel Bardo di George Saunders è un libro «che rimette in discussione la nostra idea di romanzo». Vediamo se è vero. Una sera di febbraio del 1862 i Lincoln, Abraham, il presidente, e la first lady, diedero un fastoso ricevimento. C’era la guerra civile in corso e, dopo, qualcuno disse che non avrebbero dovuto dare quel ballo e che ciò che accadde fu una conseguenza di una mancanza di delicatezza. Successe che, poco prima dell’inizio della festa, Willie, l’undicenne adorato figlio del presidente, si sentì male. Perciò «non fu una serata gioiosa per la padrona di casa e il marito, che sorridevano meccanicamente. Continuavano a salire di sopra a vedere come stava Willie, e lui non stava affatto bene». La cosa apparve subito molto grave. Ma, nonostante questo, gli ospiti si trattennero quasi fino all’alba. Tanto che i domestici non andarono a letto e passarono la notte «a pulire, bevendo il vino avanzato mentre sgobbavano. Molti di loro, stanchi, accaldati e ubriachi, presero a litigare, e fecero a pugni in cucina». Le cose stavano prendevano una strana piega. Una brutta piega: «Venne il mattino e Willie stava peggio». Poi morì e la madre e il padre ne furono schiantati. Il presidente più di tutti (se è lecito fare una classifica nel dolore), perché lo amava alla follia. «Era come ci si immagina sarà il proprio figlio, prima di avere figli». Era speciale. Sin da piccolissimo, aveva «una compostezza – i francesi lo chiamano aplomb – straordinaria». Il pianeta intero sembrò partecipare al lutto: «Verso mezzogiorno il Presidente, la moglie e Robert scesero